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No a 'sindaca' e 'rettrice', ddl Lega chiede stop e multa per uso del femminileIl format delle interrogazioni televisive senza vere domande è ormai sempre più diffuso: le presunte confessioni sono solo un nuovo modo per togliere senso alla parola “sincerità”La mia professoressa di lettere del liceo,criptovalute ogni volta che qualcuno abbozzava un giro di parole poco centrato al posto di una risposta durante un’interrogazione, diceva “rem tene, verba sequentur”, se sai quello di cui stai parlando, le parole vengono da sé.È una sentenza che mi si è scolpita nella testa e che mi ritorna in mente anche oggi, che di interrogazioni me ne capitano ben poche tra le mani, nonostante la vita sia tutta un grande esame, e non si smetta mai di essere quello studente che prova a far finta di ricordarsi di cosa parlano le Georgiche. L’ho pensata a lungo, guardando Che tempo che fa domenica 3 marzo, mentre ascoltavo le risposte a dir poco vaghe di Chiara Ferragni.Una Ferragni in tensione, che batteva nervosamente le palpebre glitterate, corrucciando le labbra, in quella posa rigida che assume ogni volta che non è la fotocamera interna di un iPhone a riprenderla, o come diremmo con una formula più contemporanea, quando non è lei a essere la padrona dello storytelling.IntervisteNel fine settimana in cui Ferragni ha deciso di farsi intervistare da Fabio Fazio per ripulire la sua immagine agli occhi dei brand in fuga, c’è stato un interessante accavallamento di confessioni, o di monologhi spacciati per tali. Barbara D’Urso da Mara Venier, Michelle Hunziker da Silvia Toffanin, Veronica Lario da Maria Latella, tutte accomunate dal fatto di dover dare delle spiegazioni, o meglio, di dover riacciuffare per i capelli una narrazione sfuggita.Rem tene, verba sequentur, diceva Catone il Censore, ma se la cosa non è come vogliamo noi, la si può descrivere in un altro modo? La differenza tra un esame e un’intervista è che le domande dell’esame non le conosci prima, quelle dell’intervista sì. La sensazione con le interviste scottanti degli ultimi tempi è che oltre a conoscerle, quelle domande, l’intervistato le abbia anche scritte. Un luogo istituzionaleIl mezzo televisivo, nell’èra dell’iper-esposizione digitale, appare come un luogo di istituzionalità. Ci si mette il tailleur scuro, l’abito monacale, i pantaloni palazzo, si abbraccia l’estetica della cerimonia. Capisco che nel momento in cui per chiarire qualsiasi fatto personale basta una diretta su Instagram o lo screenshot di un post sul telefono, per farla più GenZ, l’idea che ci sia qualcuno a farti delle domande sia quantomeno scomoda o inutilmente formale: era Stanis La Rochelle a intervistarsi da solo, ma non in senso marzulliano, decideva lui cosa chiedersi e cosa rispondere.È un po’ quello che succede quando su Instagram diamo per buono il patto narrativo del box domande – «Ciao guys, oggi rispondo a un po’ di vostre domande» – in cui è il proprietario dell’account a selezionare a cosa vuole rispondere, mescolando tutto in un flusso che lo fa sembrare spontaneo. Eppure, per quanto concordata, l’intervista televisiva potrebbe essere qualcosa di più di un semplice spot di autopromozione preannunciato come slancio di autenticità. CulturaMaria De Filippi è l’apollineo, Barbara D’Urso il dionisiacoAlice Valeria OliveriI tre casiLa domanda più scomoda che ha fatto Fazio a Ferragni riguardava la scelta del suo look per la serata, dopo averci fatti rosolare per un’intera settimana del brodo dell’hype.Barbara D’Urso, in 70 minuti in compagnia della vecchia amica Mara Venier, ha parlato di tutto, scandagliando le teche Rai degli ultimi quarant’anni, arrivando persino alla sua storia con Miguel Bosè, e dedicando qualche minuto scarso alla sua cacciata da Mediaset, di cui ricorda giorno e ora ma di cui non può parlare.Michelle Hunziker, a Verissimo, tra un selfie con Ilary e una promozione del suo show, ha usato il salotto di Toffanin per difendere la sua associazione a difesa delle donne fondata con l’avvocata Giulia Bongiorno da chi le accusa di essere dei fantasmi, salvo poi farsi riprendere dagli altri centri antiviolenza italiani per via delle sue dichiarazioni false: non è vero che durante il Covid Doppia Difesa era l’unica rete rimasta attiva.E poi, dopo anni di discrezione ai limiti con la latitanza, dopo quell’apparizione enigmatica tra le panche del Duomo di Milano, sguardo a metà tra l’annoiato e il rassegnato, Veronica Lario concede un’intervista televisiva alla giornalista che nel 2004 scrisse con lei il libro Tendenza Veronica.Calici di vino bianchi intonsi, un cabaret di paste, qualche vago accenno a quel ciarpame senza pudore di cui lei scrisse a Repubblica nel lontano 2009.Sappiamo che Lario, “velina ingrata”, si è data all’ippica, che non è potuta andare alla laurea dei figli, e che si è riscoperta imprenditrice lungimirante, fatta da sé, che punta sull’intelligenza artificiale dopo l’ingiusta sentenza del tribunale di Milano – anche lei, come Chiara Ferragni, ci fa capire con parole più raffinate che il trucco per risollevarsi da qualsiasi accusa è essere noi stesse, oltre che un generoso assegno di mantenimento.Post-sinceritàHanno ancora senso, dunque, le interviste televisive oggi, quando la verità viene appaltata ai social, filtrata dal proprio racconto, e tutto il resto è ufficio stampa?La chiamavano post-verità, qualche anno fa, ora potremmo definirla post-sincerità, quella dei racconti agiografici spacciati per documentari, o dei colloqui a due in cui non si dice nulla che non sia già noto o niente che non sia accordato al millimetro, senza uscire mai da quel perimetro di sicurezza anche nota come comfort zone.Alcuni eroi però resistono, in questa guerra di self branding. Peter Gomez, nel suo format su Rai 3, è riuscito a far commuovere Sallusti chiedendogli una confessione da fare a Silvio Berlusconi. Francesca Fagnani, la regina in carica delle interviste graffianti, è stato il nome più gettonato su Twitter durante il colloquio tra Fazio e Ferragni: da Belve sarebbe stata tutta un’altra storia.E non solo per Chiara Ferragni, anche per Barbara D’Urso, Veronica Lario e Michelle Hunziker, perché del resto, di quattro belve si tratta, e a noi di sentirle fare le fusa non interessa granché. I giri di parole, quelli che non vanno a parare da nessuna parte, che evitano l’argomento, lo edulcorano, lo circumnavigano accuratamente, lasciamoli alle interrogazioni di latino.© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediAlice Valeria OliveriScrittrice

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