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Professore del Dipartimento di Gestione del Rischio di BlackRock

La siccità mette in ginocchio la Sicilia: richiesto stato di emergenza nazionale

Terremoto nel Mar Ionio: scossa di magnitudo 4.6 tra Puglia e GreciaScende dall'auto in panne: 85enne travolta da un'altra macchinaLa siccità mette in ginocchio la Sicilia: richiesto stato di emergenza nazionale

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Runner travolta e uccisa da un suv mentre fa joggingL’Associazione magistrati della Corte dei conti ha organizzato un evento per ricordare il 5 aprile 1965,VOL quando presero servizio le prime otto donne in magistratura, promosse al primo concorso pubblico aperto anche a loro Oggi diamo per scontata la parità di genere, ma è una conquista recente e nient’affatto scontata. Sono, ad esempio, appena 60 anni che è stato consentito l’accesso in magistratura anche alle donne con il concorso del 3 maggio 1963. Fu vinto da 8 donne che entrarono in servizio il 5 aprile 1965: Letizia De Martino, Ada Lepore, Maria Gabriella Luccioli, Graziana Calcagno Pini, Raffaella D’Antonio, Annunziata Izzo, Giulia De Marco e Emilia Capelli. Il regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, all’art. 8, n. 1, aveva posto tra i requisiti per l’ammissione alle funzioni giudiziarie “l’essere cittadino italiano, di razza italiana, di sesso maschile, ed iscritto al P.N.F.”. Anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione ci vollero ben 15 anni prima che vedesse la luce la legge n. 66 del 9 febbraio 1963 composta di soli due articoli: Art. 1. La donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la Magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazione di mansioni e di svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge. L’arruolamento della donna nelle forze armate e nei corpi speciali è regolato da leggi particolari. Art. 2. La legge 17 luglio 1919, n. 1176, il successivo regolamento approvato con regio decreto 4 gennaio 1920, n. 39 ed ogni altra disposizione incompatibile con la presente legge sono abrogati. C’è da aspettare, invece, il 1971 per avere la prima donna magistrato contabile che è stata Brigida Monte. Da allora, si è passati dallo 0,18% (1971) al 39,17% (2023) di presenza femminile nella magistratura della Corte dei Conti: ancora minoranza ma, di certo, i passi sono stati da gigante. L’Associazione Magistrati della Corte dei conti ha deciso di istituire il 5 aprile la Giornata delle Donne in Magistratura. Una giornata di riflessione e confronto, incentrata, in prima battuta, sul tema della parità di genere che quest’anno, per la prima volta, ha messo attorno allo stesso tavolo i vertici delle istituzioni giuridiche e l’accademia: Margherita Cassano, Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione, Gabriella Luccioli una delle otto vincitrici del primo concorso; Gabriella Palmieri Sandulli, Avvocato Generale dello Stato; Enrica Laterza, già Presidente Aggiunto della Corte dei Conti; Antonella Polimeni, Rettrice dell’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma; Cinthia Pinotti, già Presidente di Sezione della Corte dei Conti, Wally Ferrante, prima  Presidente dell’Associazione Avvocati e Procuratori dello Stato, Paola Briguori, prima Presidente donna dell’Associazione dei magistrati contabili. Hanno partecipato anche Guido Carlino, e Tommaso Miele, rispettivamente Presidente e Presidente Aggiunto della Corte dei Conti, quest’ultimo anche nella veste di Presidente del Comitato Pari Opportunità. L’evento si è sviluppato attraverso le tappe fondamentali dell’emancipazione femminile, narrate da chi ha contribuito in prima persona alla costruzione del percorso. La testimonianza diretta delle relatrici ha valorizzato, senza scadere nella retorica celebrativa, l’opera che quotidianamente, con sobrietà e dedizione, contraddistingue l’esercizio delle funzioni, esaltando il senso dell’uguaglianza nella diversità. In retrospettiva, ne è uscito il ritratto, talora anche pungente, di una società che ancora alla metà del secolo scorso era intrisa di pregiudizi e steccati culturali, che mal digeriva l’ingerenza delle donne in ruoli tradizionalmente rivestiti da soli uomini, e che non solo rendeva alto il tetto di cristallo da sfondare, ma, ancor prima, scivoloso il pavimento sul quale camminare. Si è ricordato che l’emancipazione passa attraverso l’esercizio effettivo dei diritti fondamentali e la rimozione degli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese, come recita l’art. 3, comma 2, Cost. Costituisce condizione indispensabile per lo sviluppo di ogni personalità l’accesso all’istruzione, perché nulla libera lo spirito più della conoscenza. Per questo, in occasione di tale evento, quest'anno si sono accesi i riflettori sul tema: “La questione femminile in Medioriente - Il diritto (negato) allo studio”. Gli avvelenamenti delle studentesse iraniane e il ritorno alla “clausura” per le giovani afghane hanno segnato ancora più nettamente il divario generazionale tra chi nel 1965, nel vecchio continente, ha avuto la forza di sfidare ogni pregiudizio e avviare un percorso che vede oggi sempre più significativa la presenza delle donne in ogni settore della vita lavorativa, compresa la magistratura, e chi ancora oggi combatte per conquistare diritti fondamentali e “togliere il velo” a ogni ipocrisia. All’incontro hanno, perciò, preso parte anche Soraya Malek, già Principessa d’Afghanistan, attivista per i diritti delle donne afghane, e Rayhane Tabrizi, attivista per i diritti delle donne iraniane. I loro interventi hanno delineato un quadro angosciante di povertà, emarginazione, arretramento culturale e sociale di larghi strati delle rispettive comunità, con percentuali significative soprattutto tra le ragazze. Il rischio rimane quello di avvolgere di un assordante silenzio i movimenti di protesta e di far calare il sipario su chi sta soffrendo, nell’indifferenza generale. I recenti avvenimenti in Iran e Afghanistan impongono di non abbandonare chi lotta per i diritti civili e politici delle donne in altre aree del mondo, ma anche nel nostro Paese l’attuazione del principio costituzionale sancito dall’art. 34 Cost., rischia di diventare recessiva, soprattutto nella fase post Covid che registra tassi elevatissimi di abbandono scolastico e universitario. i dati Secondo i dati raccolti dall’Eurostat, nel 2021 il 41% della popolazione europea di età compresa tra i 24 e i 34 anni ha conseguito almeno una laurea, ma l’Italia, con il 28% di giovani laureati, è al penultimo posto (supera solo la Romania). Nel corso del dibattito è emersa l’assenza di un disegno organico del sistema di welfare rivolto all’istruzione terziaria, sia per favorire l’accesso agli studi universitari, sia per garantirne l’applicazione in maniera uniforme sull’intero territorio nazionale attraverso la formulazione dei livelli di prestazione essenziali (c.d. LEP). In questi termini si è espressa la Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato della Corte dei Conti, con l’indagine approvata già con delibera n. 16/2020/G. Fra le criticità evidenziate, anche la mancata copertura delle richieste, con l’inaccettabile fenomeno degli “idonei non beneficiari” e la lentezza delle procedure amministrative, dall’accoglimento della domanda all’effettiva erogazione dell’aiuto. La finalità di garantire il diritto allo studio a tutti gli studenti meritevoli anche se privi di mezzi economici passa attraverso l’incremento delle risorse finanziarie sia statali che regionali e, allo scopo, si consiglia l’ampliamento delle fasce di reddito degli aventi diritto a misure di agevolazione (della mobilità, dei canoni di locazione di immobili e dell’assistenza sanitaria gratuita per i fuori sede), l’avvio di un regime sperimentale che riconosca il reddito di formazione a tutti gli studenti in condizioni particolarmente disagiate, ad una più equa ripartizione della contribuzione studentesca attuata anche attraverso la previsione di una “no tax area”. In tale ottica, significativi sono anche alcuni passaggi contenuti nella Relazione sullo stato di attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che la Corte dei Conti ha presentato martedì 28 marzo scorso al Parlamento. Dopo aver registrato ampi divari di genere in molti ambiti, dalla formazione, al contesto lavorativo, a quello familiare e nei processi decisionali, si è dato atto che, nel luglio 2021 il Governo ha presentato la Strategia Nazionale per la Parità di Genere, che si pone l’obiettivo di guadagnare 5 punti nella classifica del Gender Equality Index curato dell’EIGE (European Institute for Gender Equality) nei 5 anni successivi, per raggiungere un posizionamento migliore rispetto alla media europea entro il 2026 e rientrare entro 10 anni tra i primi 10 paesi europei. La fotografia scattata dalla magistratura contabile non è, tuttavia, confortante, sol che si pensi che l’indicatore individuato per l’illustrazione della situazione dei divari di genere è la quota di laureate STEM, e su questo fronte, l’Italia registra ancora un significativo gap gender. Benché la quota di donne con titolo universitario (nella fascia di età 30-34 anni) sia nettamente superiore a quella degli uomini, la presenza femminile è sottorappresentata nelle discipline di area STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), che sono quelle maggiormente richieste sul mercato del lavoro, e questo è un fattore di svantaggio. In una situazione di deciso arretramento si colloca l’Italia anche per il tasso di “occupazione relativa delle madri”, posizionandosi agli ultimi posti in Europa: sono ancora in gioco le difficoltà nella conciliazione tra vita privata e vita professionale, accentuate dalla significativa asimmetria nella distribuzione del lavoro familiare. © Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediMaria Cristina Razzano Consigliera della Corte dei conti

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