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Guglielmo

ll legale della figlia di Messina Denaro: "Non ha rinnegato suo padre"

Auto si schianta contro un furgone in sosta, muore un 85enneNotizie di Cronaca in tempo reale - Pag. 566Sparatoria di Alatri: gli amici di Thomas cercano vendetta

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Messina Denaro, due giorni prima dell'arresto era al supermercato a fare la spesaAnsa COMMENTA E CONDIVIDI Nel guardare indietro alla mia vita,Guglielmo ringrazio Dio per avermi posto accanto la musica quasi come una compagna di viaggio, che sempre mi ha offerto conforto e gioia». Benedetto XVI guardava così alla musica, una passione nata in famiglia. Coltivata negli anni del sacerdozio. Mai abbandonata, nemmeno quando Joseph Ratzinger fu chiamato a diventare il successore di Pietro. Convinto, il Pontefice emerito scomparso il 31 dicembre, che «vi è una misteriosa e profonda parentela tra musica e speranza, tra canto e vita eterna: non per nulla la tradizione cristiana raffigura gli spiriti beati nell’atto di cantare in coro, rapiti ed estasiati dalla bellezza di Dio. Ma l’autentica arte, come la preghiera, non ci estranea dalla realtà di ogni giorno, bensì ad essa ci rimanda per “irrigarla” e farla germogliare, perché rechi frutti di bene e di pace». Dunque la musica come lode a Dio. Lo diceva Agostino. Una lode che Benedetto XVI ha sempre innalzato. «Nell’ambito delle più diverse culture e religioni è presente una grande letteratura, una grande architettura, una grande pittura e grandi sculture. E ovunque c’è anche la musica. In nessun’altro ambito culturale c’è una musica di grandezza pari a quella nata nell’ambito della fede cristiana: da Palestrina a Bach, a Händel, sino a Mozart, Beethoven e Bruckner. La musica occidentale è qualcosa di unico, che non ha eguali nelle altre culture. Certo, la musica occidentale supera di molto l’ambito religioso ed ecclesiale. E tuttavia essa trova comunque la sua sorgente più profonda nell’incontro con Dio» spiegava Joseph Ratzinger nel 2015. Filo rosso di tutte le sue riflessioni sui grandi autori. Eccone tre a lui cari. Per Benedetto XVI Johann Sebastian Bach era il «maestro dei maestri». Un musicista che aveva una concezione profondamente religiosa dell’arte: onorare Dio e ricreare lo spirito dell’uomo. « Soli Deo gloria. Questa frase appare come un ritornello nei manoscritti di Bach e costituisce un elemento centrale per comprendere la musica del grande autore tedesco. La profonda devozione fu un elemento essenziale del suo carattere, e la sua solida fede sostenne ed illuminò tutta la sua vita. Sulla copertina del Kleines Orgelbüchlein si possono leggere queste due righe: “Al Dio Altissimo per onorarlo, agli altri per istruirli”. L’ascolto della sua musica richiama una grande costruzione architettonica in cui tutto è armoniosamente compaginato, quasi a tentare di riprodurre quella perfetta armonia che Dio ha impresso nella sua creazione » ricordava il Pontefice nel 2011 dopo un concerto a Castel Gandolfo con l’ensemble New seasons diretto da Albrecht Mayer e la violinista Arabella Steinbecher impegnati nella Partita n.2 in re minore per violino solo e nel Concerto in do minore Bwv1060. Per Joseph Ratzinger Bach «è uno splendido architetto della musica, con un uso ineguagliato del contrappunto, un architetto guidato da un tenace ésprit de géometrie, simbolo di ordine e di saggezza, riflesso di Dio e così la razionalità pura diventa musica nel senso più elevato e puro, bellezza splendente». Bach al centro della riflessione di Benedetto XVI anche nell’udienza del mercoledì del 31 agosto 2011 dedicata alla «bellezza dell’arte come vera strada verso Dio, la Bellezza suprema» e alla musica «la più grande apologia della nostra fede. Al pari della scia luminosa dei santi e più degli argomenti di ragione». E per farlo Joseph Ratzinger attingeva alla sua memoria personale di ascoltatore. « Mi torna in mente un concerto di musiche di Johann Sebastian Bach, a Monaco di Baviera, diretto da Leonard Bernstein. Al termine dell’ultimo brano, la Cantata Bwv 140 Wachet auf, ruft uns die Stimme, sentii, non per ragionamento, ma nel profondo del cuore, che ciò che avevo ascoltato mi aveva trasmesso verità, verità del sommo compositore, e mi spingeva a ringraziare Dio. Accanto a me c’era il vescovo luterano di Monaco e spontaneamente gli dissi: “Sentendo questo si capisce: è vero; è vera la fede così forte, e la bellezza che esprime irresistibilmente la presenza della verità di Dio”». Un affetto particolare «mi lega, potrei dire da sempre, a Wolfgang Amadeus Mozart» ricordava Benedetto XVI nel 2010, a Castel Gandolfo quando l’Orchestra di Padova e del Veneto eseguì il Requiem in re minore, pagina che il compositore di Salisburgo, morendo, lasciò incompiuta. «Ogni volta che ascolto la musica di Mozart non posso non riandare con la memoria alla mia chiesa parrocchiale, quando, da ragazzo, nei giorni di festa, risuonava una sua Messa: nel cuore percepivo che un raggio della bellezza del Cielo mi aveva raggiunto e questa sensazione la provo ogni volta, anche oggi, ascoltando la grande meditazione, drammatica e serena, sulla morte che è il suo Requiem. In Mozart ogni cosa è in perfetta armonia, ogni nota, ogni frase musicale è così e non potrebbe essere altrimenti; anche gli opposti sono riconciliati e la Mozart’sche Heiterkeit, la serenità mozartiana avvolge tutto, in ogni momento. È un dono questo della Grazia di Dio, ma è anche il frutto della viva fede di Mozart, che – specie nella sua musica sacra – riesce a far trasparire la luminosa risposta dell’Amore divino, che dona speranza, anche quando la vita umana è lacerata dalla sofferenza e dalla morte» rifletteva Papa Ratzinger per il quale «il Requiem di Mozart è un’alta espressione di fede, che ben conosce la tragicità dell’esistenza umana e che non tace sui suoi aspetti drammatici, e perciò è un’espressione di fede propriamente cristiana, consapevole che tutta la vita dell’uomo è illuminata dall’amore di Dio». E poi Ludwig van Beethoven. « La Sinfonia n.9 in re minore, questo capolavoro imponente, che appartiene al patrimonio universale dell’umanità, suscita sempre di nuovo la mia meraviglia». Benedetto XVI ha proposto la sua riflessione sul capolavoro di Beethoven, il 1 giugno 2012 al Teatro alla Scala di Milano dopo La Nona proposta da Daniel Barenboim con orchestra e coro del Piermarini. « La gestazione della Sinfonia fu lunga e complessa, ma fin dalle celebri prime sedici battute del primo movimento, si crea un clima di attesa di qualcosa di grandioso e l’attesa non è delusa. Beethoven pur seguendo sostanzialmente le forme e il linguaggio tradizionale della sinfonia classica, fa percepire qualcosa di nuovo già dall’ampiezza senza precedenti di tutti i movimenti dell’opera, che si conferma con la parte finale introdotta da una terribile dissonanza, dalla quale si stacca il recitativo con le famose parole O amici, non questi toni, intoniamone altri di più attraenti e gioiosi, parole che, in un certo senso, voltano pagina e introducono il tema principale dell’Inno alla Gioia. È una visione ideale di umanità quella che Beethoven disegna con la sua musica. Non è una gioia propriamente cristiana quella che Beethoven canta, è la gioia, però, della fraterna convivenza dei popoli, della vittoria sull’egoismo, ed è il desiderio che il cammino dell’umanità sia segnato dall’amore, quasi un invito che rivolge a tutti al di là di ogni barriera e convinzione». Un concerto che arrivava a poche ore dal terremoto che colpì l’Emilia Romagna e la provincia di Mantova. « Le parole riprese dall’Inno alla gioia di Schiller suonano come vuote per noi, anzi, sembrano non vere. Non proviamo affatto le scintille divine dell’Elisio. Non siamo ebbri di fuoco, ma piuttosto paralizzati dal dolore per così tanta e incomprensibile distruzione che è costata vite umane, che ha tolto casa e dimora a tanti. Anche l’ipotesi che sopra il cielo stellato deve abitare un buon padre, ci pare discutibile. Il buon padre è solo sopra il cielo stellato? La sua bontà non arriva giù fino a noi? Noi cerchiamo un Dio che non troneggia a distanza, ma entra nella nostra vita e nella nostra sofferenza » riflette Joseph Ratzinger. Poi, anche profeticamente, avvertiva: « In quest’ora, le parole di Beethoven, Amici, non questi toni …, le vorremmo quasi riferire proprio a quelle di Schiller. Non questi toni. Non abbiamo bisogno di un discorso irreale di un Dio lontano e di una fratellanza non impegnativa. Siamo in cerca del Dio vicino. Cerchiamo una fraternità che, in mezzo alle sofferenze, sostiene l’altro e così aiuta ad andare avanti. Dopo questo concerto molti andranno all’adorazione eucaristica – al Dio che si è messo nelle nostre sofferenze e continua a farlo. Al Dio che soffre con noi e per noi e così ha reso gli uomini e le donne capaci di condividere la sofferenza dell’altro e di trasformarla in amore».

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