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Capo Analista di BlackRock

Quarantena per i lavoratori a carico delle imprese: una "tassa Covid" da 2,5 miliardi di euro

Ancora bonus per far felici i cittadini: al governo chiediamo meno regali e più progettiL'inflazione sale al 3,8%: i rincari per viaggi, materie prime e bolletteNotizie di Economia in tempo reale - Pag. 82

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Come aprire un conto corrente a Dubai in una Free Zone? Le recensioni degli utenti consigliano Daniele PescaraRaccolta delle fragole nel Mezzogiorno - ActionAid COMMENTA E CONDIVIDI Sono le schiave dei campi di fragole dell’Arco ionico. Le donne invisibili sfruttate dai caporali e da alcuni imprenditori senza scrupoli e spesso abusate sono bulgare e romene. Lo denuncia il rapporto "Cambia terra. Dall’invisibilità al protagonismo delle donne in agricoltura" di ActionAid,Guglielmo che dal 2016 cerca di illuminare il lato oscuro delle condizioni di vita e lavoro delle donne in agricoltura in Puglia, Basilicata e Calabria per migliorarle. Le 119 lavoratrici incontrate da operatrici, ricercatori, psicologhe e sindacaliste hanno raccontato storie di molestie, ricatti, paghe da fame e liste nere dei caporali nell’Arco ionico, ovvero le province di Matera, Taranto e Cosenza. Area detta "California d’Italia" perché clima e terra fertile favoriscono le coltivazioni di fragole, uva da tavola, agrumi e le donne sono richieste per garantire la cura della frutta più delicata. Mancano dati certi, sottolinea il rapporto, sulle operaie agricole in Italia perché «il lavoro nero o irregolare caratterizza il settore. Il caporalato muove un’economia illegale e sommersa di oltre cinque miliardi e si stima che siano 57mila le lavoratrici sfruttate in Italia». Nel solo Arco ionico, le operaie agricole regolari sono 22.702, 16.801 italiane e 5.901 straniere. Ma le necessità della raccolta stagionale richiederebbero il doppio della manodopera. Secondo l’indagine, le braccianti in nero guadagnano 25-28 euro al giorno contro i 40 degli uomini. Divisi per 10 ore lavorative fanno 2,5-2,8 euro orarie.Inoltre le dichiarazioni dei datori sleali che indicano un numero inferiore di giornate rispetto a quelle lavorate impedisce loro l’accesso alle indennità di infortunio, malattia e disoccupazione oltre che alla maternità. Le braccianti devono anche subire molestie e violenze sessuali sui mezzi che le conducono nei campi, nelle serre, nei magazzini, negli alloggi messi a disposizione dai datori di lavoro. Il tutto accompagnato dalle minacce di perdere il posto o di non essere pagate. «Nel Barese c’è un metodo collaudato – spiega Annarita Del Vecchio, psicologa e collaboratrice di ActionAid in Puglia –. Quando nelle piazze arrivano i furgoni alla mattina per portare le operaie agricole nei campi, la 'prescelta' viene fatta salire accanto al guidatore. Sul cruscotto vengono messi un cornetto e un caffè comprati al bar. Mangiare la colazione significa accettare la profferta sessuale e ottenere l’ingaggio».Adriana, ex bracciante romena, spiega il problema della maternità. «Quando la campagna inizia alle due o alle tre di notte, le lavoratrici prendono i bambini addormentati e, se non hanno familiari, li portano a casa di estranee che li accudiscono fino a quando le madri tornano a prenderli. Mandarli all’asilo è impossibile per l’orario».In Calabria, afferma il rapporto, sono nati 'nidi irregolari' pagati in nero con personale improvvisato. Qualcuna si porta i figli nelle serre. Le donne denunciano ad ActionAid di sentirsi isolate, impossibilitate ad accedere ai servizi pubblici e di cura per i figli perché scarsi, distanti, costosi e con orari incompatibili con gli spostamenti da casa e lavoro. Le condizioni sono spesso indecenti. In assenza di servizi igienici, le donne sono costrette ad utilizzare i campi anche quando piove e quando hanno il ciclo mestruale. Chi chiede un giorno di pausa rischia di fermarsi a lungo. «Il modello agricolo attuale è insostenibile – spiega Grazia Moschetti, responsabile dei progetti ActionAid nell’Arco ionico – né per le lavoratrici sfruttate né per le imprese che rispettano le regole nonostante le difficoltà. Abbiamo bisogno di cambiare prospettiva mettendo al centro i bisogni delle braccianti italiane straniere escluse dai servizi di welfare e più in generale dai processi democratici. Solo con il contributo di tutti, come sta accadendo nell’Arco ionico, possiamo coltivare relazioni positive dentro e fuori i luoghi di lavoro».Ci sono infatti segnali di cambiamento. ActionAid ha formato 12 leader di comunità e messo a confronto le lavoratrici con istituzioni locali, associazioni e aziende. A Schiavonea, nella piana di Sibari, è stata attivata ad esempio la Cittadella della condivisione, dove le leader di ActionAid forniscono servizi di orientamento al lavoro, supporto all’accesso ai servizi sociali e tutela legale.Ad Adelfia, provincia di Bari, il nido comunale ha attivato un servizio di preaccoglienza a domanda individuale dalle quattro di mattina con orari flessibili in entrata e uscita. Ora ActionAid chiede al governo politiche nazionali di genere per assicurare che le donne impiegate nel comparto agricolo diventino finalmente visibili. «Sono vittime dimenticate Si ascoltino le denunce»Il racconto«Questa è una terra benedetta, ricca di prodotti agricoli anche noti come la fragola. Ci sono anche imprenditori corretti che rispettano i lavoratori. Il vero problema è la concorrenza sleale che provoca sacche grigie e nere con problemi di sfruttamento che tocchiamo con mano ogni giorno anche noi». Don Antonio Polidoro, 47 anni, unisce in diocesi di Matera gli incarichi di direttore dell’Ufficio Migrantes e di Pro Direttore della Caritas diocesana alla missione di parroco di Maria Annunziata a Scanzano Jonico.Da anni aiuta con i volontari una cinquantina di donne lavoratrici agricole. In parrocchia trovano generi di prima necessità nei momenti difficili e un aiuto per affitti e utenze per non finire in strada e restare al buio. Ma anche una prossimità fatta di cose semplici e attenzioni quotidiane, una preghiera recitata insieme, un pasticcino condiviso nelle serre. «Le donne sono le vittime dimenticate del caporalato – spiega don Polidoro –. Qui nel metapontino sono molto richieste, perché la fragola e le delicate colture di questa zona prediligono le cure femminili».Nei campi ci sono italiane, comunitarie come bulgare e romene e ora donne africane. «Tutte spesso sottopagate e in nero. Dovrebbero prendere 38-40 euro da contratto per 7 ore al giorno, ma ci sono paghe da 25 euro per 10 ore. Il lavoro comincia all’alba, le ore contrattualizzate si fanno al mattino e spesso proseguono in nero nel pomeriggio per altre 5 ore. È un lavoro difficile, con il caldo stare sotto le serre diventa massacrante. E non sempre le giornate lavorative segnalate in busta corrispondono a quelle effettive». Il lavoro non è stagionale, si spalma su 12 mesi. I problemi sono due. «A novembre e febbraio non lavorano e faticano a pagare l’affitto e a comperarsi il cibo. Pagare le utenze è diventato davvero un dramma. Spesso ci chiedono aiuto quando gas e luce sono stati staccati e loro hanno bambini piccoli. Noi interveniamo con i fondi della Migrantes». L’altro problema grosso è che queste donne, che iniziano molto presto nei campi, non sanno dove lasciare i bambini. «Nell’Arco metapontino mancano ad esempio le strutture in grado di accogliere i bambini da uno a tre anni, spesso devono lasciarli a strutture con personale improvvisato che pagano in nero. Prima del Covid avevamo aperto un micro-nido in parrocchia, ma con la pandemia abbiamo chiuso. Adesso stiamo tentando di riaprirlo».E i figli in età scolare? «Frequentano con tante difficoltà. Purtroppo gli scuolabus sono insufficienti e non riescono a raggiungere chi vive in case isolate nelle campagne». Secondo don Antonio ora serve uno scatto per risolvere il problema delle donne sfruttate nei campi. «Queste lavoratrici sono senza voce. Gli uomini trovano la forza e il coraggio di parlare ed entrare nelle associazioni e nei sindacati, le donne no. Dobbiamo creare reti forti per rompere il loro isolamento. Coinvolgere istituzioni e servizi sociali, sindacati e datori. Lo sforzo da fare è enorme, occorre cambiare una cultura».​

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