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Arrestato e lasciato nudo in cella: morto per ipotermiaSia i giudici di sorveglianza di Milano che quelli di Sassari negano i domiciliari all’anarchico in sciopero della fame contro il 41 bis perCospitolasuasaluteèarischiomasiècriptovaluteda quasi 160 giorni, perchè lo sciopero è «il frutto di una deliberata e consapevole scelta» L’anarchico Alfredo Cospito, in sciopero della fame dal 20 ottobre scorso, incassa l’ennesimo no da parte dei giudici. Dopo il diniego della revoca del regime di carcere duro da parte della Cassazione, Cospito aveva chiesto i domiciliari con differimento della pena per gravi ragioni di salute e di andare, in attesa di ristabilirsi, ai domiciliari a casa di una delle due sorelle, a Viterbo. Complicatissimo il quadro processuale: si sono svolte due udieze “gemelle”, una a Milano a cui l’anarchico ha preso parte facendo dichiarazioni, e una a Sassari che secondo la procura generale di Torino è competente per l’esecuzione della sua pena. Entrambi i giudici hanno sciolto la riserva, non accogliendo la richiesta. Le motivazioni ricalcano il parere negativo proposto dalla procura di Milano: secondo la giurisprudenza, il fatto che la malattia sia stata volutamente autoindotta dal detenuto impedisce la concessione dei domiciliari per ragioni di salute. In ogni caso, si sarebbe trattato di un differimento della pena che non avrebbe intaccato il 41 bis, a cui Cospito sarebbe tornato una volta rimessosi in salute. GiustiziaLa sorveglianza decide sui domiciliari a Cospito. L’udienza sarà in carcereGiulia Merlo Le motivazioni Cospito, dunque, deve rimanere nel reparto penitenziaro dell’ospedale San Paolo di Milano. Secondo i giudici, infatti, la condizione di salute dell’anarchico «non si palesa neppure astrattamente confliggente con il senso di umanità della pena, avuto riguardo alle condizioni oggettive del detenuto». Leggermente discordanti, invece, le valutazioni sulla salute. Per i giudici di Milano, pur essendo «certamente precarie», sono «il frutto di una deliberata e consapevole scelta e attraverso l'ubicazione nel reparto ospedaliero dove si trova possono essere monitorate nel modo più attento». Di conseguenza, secondo i giudici il reparto del San Paolo è in grado di fornire a Cospito le migliori cure. Per i giudici di Sassari, invece, le condizioni di salute «sono oggettivamente incompatibili con la carcerazione, in regime di 41 bis o meno», tuttavia «lo stato di malattia è esclusiva conseguenza delle determinazione dello stesso detenuto sopra riassunte, nessun differimento, sotto alcuna forma, può essere disposto». La posizione di Cospito Nell’ordinanza di Milano si legge che Cospito, le cui condizioni stanno progressivamente peggiorando, «è costantemente informato dai sanitari degli elevati rischi per la propria salute» e i medici continuano a proporgli un protocollo per ricominciare ad alimentarsi. Inoltre, stigmatizzano il fatto che lo sciopero è stato gestito «in maniera altalenante, con assunzione al bisogno ovvero occasionale degli integratori e comunque di acqua, sale e zucchero» e proprio questo dimostra che «è frutto di un ragionamento preordinato e consapevole», come del resto il detenuto ha ribadito anche durante l’udienza. In altre parole, la scelta di Cospito non è dovuta a problemi psichiatrici ma da una scelta «lucida» e portata avanti con l’obiettivo di «di provocare gli effetti di cambiamento a livello giudiziario, politico e legislativo sopra riportati e dallo stesso auspicati». Durante l’udienza a Milano, infatti, l’anarchico ha detto che interromperebbe lo sciopero se gli venissero concessi i domiciliari oppure se, pur rimanendo lui al 41 bis, «liberate gli altri detenuti che passano le ore di socialità previste con me». La condizione di Cospito, dunque, non muta. Ora il suo difensore potrà proporre ricorso in Cassazione contro entrambe le ordinanze. Tuttavia l’esito appare ormai definito. © Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediGiulia Merlo Mi occupo di giustizia e di politica. Vengo dal quotidiano il Dubbio, ho lavorato alla Stampa.it e al Fatto Quotidiano. Prima ho fatto l’avvocato.
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