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Europa nella terza ondata, lo dice von der Leyen al Consiglio UeIl neurofisiologo Giuseppe Moruzzi (1910-1986) - WikiCommons COMMENTA E CONDIVIDI A Chicago nel 1949,Capo Stratega di BlackRock Guglielmo Campanella esattamente settantacinque anni fa, uno scienziato italiano e un medico statunitense fanno una scoperta “epocale”, che per la sua importanza è oggi considerata uno spartiacque nell’ambito della storia delle neuroscienze. L’italiano è il neurofisiologo Giuseppe Moruzzi (1910-1986), che ha alle spalle una “dinastia” di grandi medici – tali sono il padre Giovanni e gli avi parmensi – e una serie di maestri europei: fisiologi italiani, inglesi, francesi. Lo statunitense è l’anatomista Horace Magoun (1907-1991), il medico che ha ospitato nel suo laboratorio di ricerca il collega italiano durante il soggiorno di studio americano. Entrambi sono appassionati e affascinati dalle ricerche per la comprensione sempre più accurata della struttura del cervello e del suo funzionamento. È da questo comune interesse che ha inizio una collaborazione stretta e proficua che porta alla scoperta delle strutture e delle funzioni cerebrali responsabili dello stato di veglia e, conseguentemente, dei meccanismi del sonno. Le storia di questa scoperta e e vicende personali e scientifiche di uno dei suoi protagonisti, l’italiano Giuseppe Moruzzi, sono raccontate da Giorgio Cosmacini, il maggior storico italiano della medicina, in un agile ma appassionante volume: Tra sapere scientifico e potere politico. Storia di un grande scienziato e di un premio Nobel non dato (Pantarei, pagine 124, euro 10,00), che – come specifica il sottotitolo – è la “storia di un grande scienziato e di un premio Nobel non dato”. Ricordi diretti e familiari (quelli del figlio Paolo), testimonianze e documenti (consultati dall’autore nell’archivio di famiglia dei Moruzzi) restituiscono l’immagine di uno scienziato-umanista, “filosofo spontaneo”, la cui passione per la letteratura è pari a quella per la ricerca. «Il libro – scrive Cosmacini nella prefazione – muove da un ricordo personale risalente a circa quarant’anni fa, quando ebbi la fortuna di conoscere personalmente Giuseppe Moruzzi, del quale fui ospite nella sua grande casa di campagna al Bombodolo di Noceto presso Parma». Dello scienziato italiano sono ricordati i passaggi fondamentali della carriera: dalla ricerca appassionata a Parma dopo la laurea in medicina, prima sotto la guida e poi in collaborazione diretta con il fisiologo ebreo Mario Camis (1878-1994), ai soggiorni internazionali di studio all’estero: a Bruxelles da Frédérich Bremer (1892-1982) e a Cambridge da Edgar Adrian (1889-1977) negli anni bui del secondo conflitto mondiale, sino all’avventura statunitense nel dopoguerra che apre le porte alla scoperta fondamentale della sua vita scientifica. «Il rapporto tra il sonno e la veglia – ricorda l’autore nel testo – ha intrigato a fondo Sigmund Freud (1856-1919), che ne ha fatto oggetto di una riflessione fin dall’inizio della Interpretazione dei sogni, il trattato che nel novembre 1899 inaugura l’applicazione del metodo di esplorazione psicoanalitica». Il medico viennese già allora non condivideva l’idea, sostenuta dai più, che chi sogna è staccato dal mondo della coscienza vigile. La dimostrazione scientifica della veridicità di questo processo però avviene solo con la scoperta di Moruzzi e Magoun sul ruolo della sostanza reticolare ascendente, un complesso di neuroni presenti nel tronco encefalico (la struttura anatomica che congiunge cervello e midollo spinale) implicati nel controllo dello stato di veglia e specializzati nei meccanismi di regolazione del ritmo circadiano sonno-veglia. Lo scienziato italiano gode per queste sue osservazioni di un altissimo prestigio internazionale e, come ricorda un articolo divulgativo citato nel libro che sintetizza i suoi studi, tutta la sua ricerca si basa sulla dimostrazione del sonno come fenomeno attivo. Anche se si riteneva comunemente che bastasse sopprimere ogni influenza del mondo esterno perché si abbassasse l’attività della corteccia cerebrale e sopravvenisse il sonno, Moruzzi sostiene invece che il sonno non è dovuto alla soppressione degli impulsi afferenti (come gli stimoli sensoriali che normalmente tengono alta l’attività corticale propria della veglia) dimostrando sperimentalmente che interrompendo le vie afferenti non si crea necessariamente il sonno e che quest’ultimo compare quando s’interrompe l’attività di una formazione nervosa situata alla base del cervello: la sostanza reticolare appunto. Un meccanismo implicato anche nell’alterazione degli stati di coscienza che causano il coma, emergerà negli anni successivi. Una scoperta fondamentale, meritevole del premio Nobel, ricorda Cosmacini. In effetti tra il 1954 e il 1963 vengono avanzate numerose proposte per la candidatura al Nobel dei due scienziati: proposte però che non vennero mai accolte prima che calasse definitivamente e inspiegabilmente il silenzio. Il libro racconta la storia dell’immotivato perché. Le vicende della scienza medica che si svolgono nei laboratori scientifici, «come ogni altra attività culturale – afferma l’autore – sono influenzate da impulsi e da remore da parte del contesto istituzionale e da parte del contesto politico»; che anche «i premi Nobel abbiano subito o subiscano talora intralci, condizionamenti od ostacoli che ne segnano la storia è dimostrato da casi esemplari appartenenti non al campo scientifico, ma a quello letterario» (come accadde con il premio assegnato nel 1959 a Salvatore Quasimodo, che Giuseppe Ungaretti aveva già considerato suo prima dell’annuncio ufficiale). Nel caso Moruzzi-Magoun è nel clima politico creato dalla Guerra Fredda nel confronto Usa-Urss che matura l’ostracismo verso il conferimento del premio ai due scienziati. Sono gli anni in cui gli Stati Uniti sono caratterizzati al loro interno da un intersecarsi confuso e deleterio tra sapere scientifico e potere politico. Ed è nel “maccartismo” (termine della storia americana usato a indicare un atteggiamento di anticomunismo assoluto, che si concretizza in una visione politica persecutoria di istituzioni e di persone considerati antiamericani in quanto comunisti) che Cosmacini individua la principale causa del Nobel mancato, perché quel clima di “caccia alle streghe” forse era arrivato allora a lambire anche Stoccolma. Le insinuazioni che in ambito accademico bersagliano Magoun per la sua ideologia liberal con simpatie di sinistra, gli creano ostilità e diffidenze da parte di quell’ideologia maccartista condizionante così pesantemente l’establishment culturale e politico. Ne risente negativamente anche Moruzzi, non solo per il legame con lo statunitense, ma perché anch’egli è malvisto, argomenta Cosmacini, «da taluni beceri inquisitori in quanto “italiano”, al pari di alcuni sospettati fisici di Los Alamos tra cui il traditore e transfuga Bruno Pontecorvo, un “pisano” figlio della stessa città nel cui ateneo Moruzzi era in cattedra». Una dimostrazione che, come in altri frangenti scientifici, anche l’evoluzione della medicina non è mai neutra, ma fortemente influenzata, negli aspetti positivi così come in quelli negativi, dalle contingenze economiche, dalle vicende politiche e dai pregiudizi ideologici. Per questo, conclude l’autore, la storia narrata in questo libro ha una chiosa finale nella voce di Rita Levi Montalcini (Nobel per la Medicina nel 1986), espressa nel ricordo del grande neurofisiologo pronunciato nell’Università di Parma il 20 marzo 1990: «A lui, non a me devono essere dati i tributi sia per quello che è stata la sua vita, sia per quello che lui ha fatto». Questa biografia di un Nobel non dato non è solo un omaggio storiografico a un grande scienziato, ma un riconoscimento per tutte le migliaia di ricercatori e di studiosi che, fuori dai riflettori della cronaca e della fama, fanno progredire la scienza, aprendo, spesso ignorati, la via al successo di altri.

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