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Bangladesh, il Nobel Yunus a capo del governo ad interim - Vatican NewsAll’Associazione Stampa estera il direttore Emiliano Fittipaldi e i nostri colleghi Giovanni Tizian,ETF Nello Trocchia e Stefano Vergine, indagati nell’inchiesta di Perugia, parlano della libertà di stampa in Italia, di come questa sia a rischio e del mancato rispetto del Media freedom act Unisciti a noi per tutelare il tuo diritto a un’informazione libera: inserisci il codice STAMPALIBERA e abbonati al prezzo di €80, invece di €90 Si è conclusa la conferenza stampa “Caccia alle fonti: tre giornalisti di Domani rischiano il carcere”, nella sede dell’Associazione Stampa estera a Palazzo Grazioli, in via del Plebiscito a Roma. Il direttore Emiliano Fittipaldi e i tre colleghi di Domani, indagati nell’inchiesta di Perugia, Giovanni Tizian, Nello Trocchia e Stefano Vergine discutono della libertà di stampa in Italia, di come questa sia a rischio e del mancato rispetto del Media freedom act, approvato di recente al parlamento europeo.Tizian, Trocchia e Vergine rischiano fino a nove anni di carcere con l’accusa di aver chiesto e ricevuto documenti riservati da un pubblico ufficiale, e di aver violato il segreto istruttorio attraverso la richiesta e la pubblicazione di informazioni contenute in quei documenti. Se non vedi questa diretta clicca quiLe parole del direttore«Stiamo parlando di consulenze e ingaggi e di remunerazioni più alte rispetto al presidente di Leonardo», spiega il direttore Emiliano Fittipaldi, ricostruendo com’è nata l’inchiesta di Domani sul ministro della Difesa Guido Crosetto, «una notizia di interesse pubblico, perché Leonardo è uno dei più importanti venditori di armi al ministero della Difesa stesso e alla stazione appaltante del ministero».  Fittipaldi spiega che dopo la pubblicazione Crosetto ha minacciato querela, «ma poi ha cambiato idea perché le notizie erano vere. E allora ha cercato di capire chi erano le fonti, facendo un esposto alla magistratura».Nonostante il Media freedom act, continua Fittipaldi, «è stata fatta un’indagine e individuata la presunta fonte. È stato indagato non soltanto il pubblico ufficiale, ma tutti i cronisti che avevano i rapporti con queste fonti, in concorso. Anche se non hanno mai fatto fisicamente nessun accesso, il solo fatto di verificare informazioni ha comportato l’iscrizione nel registro degli indagati anche i tre giornalisti in concorso». «Il potere esecutivo chiede al potere giudiziario di individuare una fonte di un articolo sgradito. Il potere giudiziario fa un’indagine, indaga la fonte pubblica e i tre giornalisti. A inchiesta ancora aperta va di fronte alla commissione antimafia, gestita dalla maggioranza, di destra, e ringrazia l’autorità politica coinvolta nell’inchiesta di Domani che ha fatto quell’esposto. Trovo tutto quello che vi ho raccontato non degno di un paese che tiene all’equilibrio dei poteri e alla libertà di stampa», sottolinea il direttore.Un ragionamento che Fittipaldi definisce «pericolosissimo»: «Il più delle volte siamo noi motori di quell’inchiesta. Perché indago su Crosetto? Perché come gli altri ministri sta per diventare uno degli uomini più potenti d’Italia. Ho ottenuto informazioni, ho cercato verifiche come fa qualsiasi giornalista».Il direttore di Domani ha concluso il suo intervento ringraziando «tutti i media italiani ed europei, i sindacati e le organizzazioni che hanno firmato l’appello, non tanto a difesa dei giornalisti di Domani ma a difesa di un principio che dovrebbe riguardare tutti: il principio della libertà del giornalista di poter raccontare in maniera libera le informazioni sul potere. Permettere la cittadinanza di essere informata. Se questo ci viene impedito, perché ci sono attacchi continui, è chiaro che la forma di autocensura, che stiamo vivendo in questo paese da anni, non fa che accrescere».  ItaliaStretta sui giornalisti, fino a otto anni di carcere se la notizia pubblicata è di provenienza illecitaTizian: «Una violazione di qualunque principio democratico»«Siamo qui per difendere un principio, che è quello della tutela della fonti», spiega Giovanni Tizian, e difendere il giornalismo investigativo, «un tipo di giornalismo che non si accontenta di ciò che appare». Tizian, sottolinea, come quello adottato dal governo sia «un metodo eversivo, che viola qualunque principio democratico», e ha ricordato i moltissimi casi di attacco ad articoli e inchieste di Domani dell’ultimo anno e mezzo: «Abbiamo visto di tutto. I carabinieri in redazione, per sequestrare un articolo che si trovava online», l’attacco della ministra del Turismo Daniela Santanchè per gli articoli su un’operazione immobiliare, così come gli attacchi della Lega dopo l’inchiesta sul Metropol.«Vi invito a raccontare tutto questo in Europa e a trovare un caso simile all’Italia, che è un paese allergico a un certo tipo di giornalismo», continua Tizian, sottolineando che è «allarmante che l’autorità giudiziaria ringrazi in commissione antimafia il ministro che ha chiesto di indagare sulle fonti, è molto grave». «Avranno diritto i cittadini di sapere chi presiede un ente pubblico e se quel presidente chiedeva soldi?», chiede Tizian, ricordando che il giornalismo è «un mestiere con una funzione sociale, serve a dare ai cittadini gli strumenti per leggere la realtà. Se tutto questo è un reato, saremo colpevoli». ItaliaTre giornalisti di Domani rischiano il carcere. «A rischio il diritto dei cittadini a essere informati»Vergine: «Essere indagati vuol dire ostacolare il nostro lavoro»«La stella polare è la ricerca della verità», prosegue poi Stefano Vergine, che spiega: «Essere indagati vuol dire anche avere grosse difficoltà immediate nel lavoro di tutti i giorni. C’è il rischio di essere intercettati, la difficoltà di parlare con le fonti o la reticenza delle fonti di fornirti informazioni».Vergine evidenzia il tentativo in questo modo di bloccare o rendere più difficile il lavoro. Inoltre, continua, «delegittima la credibilità del nostro giornale e di noi giornalisti, individualmente. Inserire tutto nella cornice del dossieraggio delegittima anche quello che abbiamo fatto in passato». Aumentare le pene nei confronti dei giornalisti, sottolinea il giornalista di Domani, porta a non pubblicare molti scoop, grandi inchieste come i Panama Papers, un’inchiesta internazionale che proviene da una fuga di dati da uno studio di commercialisti. «Notizie di un tale interesse pubblico che non importa come sono state ottenute», sottolinea Vergine. O i Football leaks. «Ma in questi casi non è mai successo che i giornalisti che hanno pubblicato quelle notizie sono stati indagati», conclude.Trocchia: «Un grave precedente»«Siamo stati definiti giornalisti manipolati, spioni, dossieratori», dice Nello Trocchia, non solo per «delegittimarci agli occhi delle fonti», ma per portare avanti «un attacco sistematico per poterci insultare».Trocchia continua: «C’eravamo abituati alle minacce dei clan, alla richiesta di risarcimenti milionari», sottolineando però che non bisogna abituarsi, perché tutto questo riguarda «il livello e la qualità della nostra democrazia». «Noi non ci fidiamo del potere, noi siamo il contropotere, dobbiamo fare il controcanto del potere», conclude. La prima conseguenza è «sicuramente la delegittimazione costante», prosegue Trocchia, non solo di fronte alle fonti e ma anche di fronte alla comunità con cui si ha a che fare. Il secondo rischio è aver creato un precedente: «Questa volta l’ha fatto un ministro, la prossima potrà farlo un imprenditore o addirittura un’organizzazione criminale». La vicendaL’indagine è partita dalla pubblicazione nell’ottobre del 2022 di un’inchiesta sul conflitto di interessi che coinvolge il ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, pagato per anni dall’industria delle armi. «I miei colleghi hanno cercato delle notizie, rilevanti, le hanno verificate e le abbiamo pubblicate sul giornale. Non intendo cambiare l’organizzazione del lavoro fin tanto che pubblichiamo notizie vere e di interesse pubblico», ha detto il direttore di Domani convocato in commissione parlamentare antimafia lunedì 22 aprile. L’inchiesta di Domani ha rivelato compensi milionari di Guido Crosetto ricevuti da Leonardo e altre aziende dell’industria bellica fino a pochi giorni prima del suo insediamento del governo Meloni, in un dicastero che ha rapporti diretti con quelle aziende.Dopo la pubblicazione dell’articolo, che conteneva notizie vere e documentate, il ministro non ha querelato ma ha cercato la fonte dei giornalisti tutelata dal segreto professionale. Si è arrivati così all’indagine della procura di Perugia che ha accusato il finanziere Striano di accesso abusivo a sistema informatico, in concorso con gli altri indagati (tra cui i tre giornalisti di Domani che sono accusati anche di rivelazione di segreto), che gli avrebbero richiesto informazioni. FattiTutto quello che c’è da sapere sul “caso dossieraggio” (che dossieraggio non è)La polemica della destraNell’immediato i partiti di destra e diversi loro esponenti hanno attaccato il nostro giornale accusandolo di “dossieraggio” e di pubblicare inchieste con l’obiettivo di minare la credibilità e il ruolo di alcuni leader politici. Ma è stata la stessa procura ad aver smentito questa accusa attraverso una nota Ansa. L’indagine è stata però utilizzata come strumento di propaganda politica per screditare il lavoro del giornalismo d’inchiesta e attaccare la libertà di stampa. Lo hanno fatto la premier Giorgia Meloni, i suoi ministri e diversi vertici del suo partito.Del caso ha deciso di occuparsene la Commissione parlamentare antimafia dato che il finanziere Striano è accusato di aver eseguito in maniera abusiva migliaia di accessi ai sistemi informatici della Direzione nazionale antimafia (Dna) per consultare le sos, ovvero le cosiddette segnalazioni sospette dell’antiriciclaggio.Nelle scorse settimane, infatti, sono stati auditi dalla commissione il presidente della Dna, Giovanni Melillo, il procuratore capo di Perugia, Raffaele Cantone, il comandante generale della guardia di Finanza, Andrea De Gennaro, e per ultimo il Questore di Perugia.Rispondendo a un question time al Senato, Crosetto ha specificato che il caso delle presunte fughe di notizie su cui si sta indagando a Perugia non solleva rischi sulla sicurezza nazionale, come invece annunciato da altri parlamentari. Il ministro ha chiesto però che il parlamento approfondisca: «Il rischio di questa vicenda è che finisca senza andare a fondo alle logiche, alle persone, agli interessi che ci sono dietro». FattiCaccia alle fonti di Domani, Fittipaldi in commissione Antimafia: «Il giornalismo libero non è “dossieraggio”»L’appelloUn appello in difesa di Domani è stato sottoscritto da oltre oltre 70 organizzazioni e testate internazionali e nazionali. Tra queste, Amnesty International Italia, Committee to Protect Journalists (CPJ), European Centre for Press & Media Freedom (ECMPF), Reporters Without Borders (RSF), International Press Institute (IPI). E molti media nazionali ed esteri, tra cui elDiario.es, Lighthouse Reports, Libération, Report, Presadiretta, Piazzapulita, L’Espresso, Mediapart.  ItaliaContro gli attacchi a Domani e per la libertà di stampa in ItaliaFattiPetition against attacks on Domani newspaper, and for media freedom in Italy© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?Accedi

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