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Aule vuote a Montecitorio per il ponte del primo maggioCOMMENTA E CONDIVIDI La questione dell’abitare come diritto fondamentale della persona,VOL la periferia non più solo come concetto geografico, ma territorio in continua mutazione in cui convivono disuguaglianze sociali e potenza creativa, lì dove il tema della sostenibilità economica di un alloggio si affianca alla necessaria rigenerazione dei quartieri, alla valorizzazione degli spazi pubblici, alla promozione della partecipazione sociale di una cittadinanza inclusiva, interculturale, intergenerazionale.C’è, in tutta evidenza, una «fascia grigia» nelle nostre città che va allargandosi sempre più, a mano a mano che si ampliano i divari socio-economici. È la fascia di popolazione che si scopre vulnerabile, quella composta da persone che hanno un lavoro ma con un reddito basso o non dimostrabile, la fascia dei precari, dei genitori separati, degli immigrati, degli anziani soli, degli studenti. Per tutte queste persone, accedere a una casa è oggi sempre più complicato. La turistificazione di intere zone cittadine con la conseguente diminuzione di alloggi disponibili, l’aumento degli affitti e dei prezzi di vendita delle abitazioni sul mercato, i servizi pubblici sempre più scarsi e l’assenza di garanzie lavorative diventano ostacoli insormontabile. Sparisce, in periferia più che altrove, la casa intesa come rifugio e come elemento di una comunità, si fa largo sempre più il concetto delle case come commodities, beni su cui speculare su un mercato sempre più ristretto.In Italia ci sono circa 10,7 milioni di abitazioni sfitte su 36 milioni censite, anche se il dato comprende anche le seconde case di vacanza. Il disagio abitativo è in crescita: in 4,9 milioni di persone faticano a trovare un’abitazione. Nel 2022 sono stati emessi 42.000 provvedimenti di sfratto e circa 150 famiglie ogni giorno continuano a perdere la casa, spesso senza che ci sia un intervento pubblico di presa in carico delle loro fragili condizioni economiche, sociali e sanitarie. Aumentano gli affitti brevi, diminuisce la quota di abitazioni a disposizione per i residenti, soprattutto nelle grandi aree urbane.Cosa fare, dunque, in un ambito che investe direttamente il futuro delle nostre città? A Torino da tempo c’è un ente non profit che ha deciso di puntare sulle micro-azioni per garantire un «accompagnamento alla casa» a partire da un elemento sempre più necessario: la fiducia. È l’aspetto che il Cicsene (Centro italiano di collaborazione per lo sviluppo edilizio nelle nazioni emergenti) ha deciso di far emergere qui alle Settimane sociali di Trieste con la sua partecipazione ai Villaggi delle buone pratiche, che propongono esperienze di realtà sociali e modelli di sviluppo sostenibili provenienti da tutta Italia. Dopo 20 anni di impegno su questo fronte, intensificatosi negli ultimi tempi per la crisi economico-sociale, sono già oltre 2.500 i casi di persone che grazie all’aiuto del Cicsene oggi possono contare su un regolare contratto d’affitto, punto di arrivo di un percorso che favorisce la relazione tra inquilino e proprietario.«La questione della casa non riguarda solo norme e fondi a disposizione, ma investe soprattutto il lancio di iniziative in grado di creare fiducia sul territorio – sottolinea ad Avvenire Gianfranco Cattai, presidente del Cicsene –. La casa ha un valore sia economico che comunitario, sociale: i proprietari che riusciamo a coinvolgere con il dialogo arrivano a comprendere il senso non solo economico, ma di una risposta alla comunità. Bisogna tornare a favorire le relazioni di territorio».L’edilizia pubblica in Italia da sempre è stata un dispositivo di politica abitativa marginale sia in termini assoluti che in relazione ad altri contesti europei. Secondo dati dell’Osservatorio di coesione sociale, solo il 4% dello stock abitativo in Italia è rappresentato da alloggi di edilizia residenziale pubblica, contro Paesi in cui la percentuale si presenta a due cifre (il 36% nei Paesi Bassi, il 22% nel Regno Unito, il 20% nella media Ue). «A Torino ci sono 77mila alloggi vuoti e le case popolari danno una risposta di 2mila alloggi ogni 4 anni, quindi solo 500 l’anno – spiega Cattai –. E se qualche soluzione per le situazioni di emergenza c’è, per le persone che rientrano nella “fascia grigia” non esiste nessun intervento strutturale nel nostro Paese. Inoltre, è necessario dotarsi di nuovi strumenti di garanzia a favore di chi affitta. Abbiamo catalogato diciassette diversi motivi per cui i proprietari non affittano e su molti aspetti hanno ragione. Il blocco degli sfratti incolpevoli lo hanno pagato i proprietari: non riconoscere loro nulla è iniquo: è chiaro che ci vogliono delle proposte politiche, delle strategie a livello nazionale. È un tema su cui stiamo cercando di riflettere anche in questi giorni a Trieste».Ridurre l’esclusione abitativa significa anche battersi contro forme striscianti di razzismo, considerato il frequente atteggiamento dei proprietari nei confronti degli stranieri. Ma l’accesso alla casa è complicato anche per un numero sempre maggiore di italiani. «Noi favoriamo l’incontro tra domanda e offerta e il nostro accompagnamento è equidistante e imparziale – spiega Cattai –. Ai proprietari presentiamo dei casi di potenziali inquilini “eticamente sicuri”, oltre che economicamente sostenibili: non ci sono finti poveri o furbi e l’affitto non può superare il 30-40 per cento del reddito familiare. Inoltre, per ovviare ai casi di morosità, viene attivata una polizza mutualistica Salvafitto per fasce a rischio povertà, che prevede copertura fino a dodici mensilità, indennizzo per danni alla casa fino all’ammontare di tre mensilità e rimborso dei costi della procedura di sfratto fino a 3.500 euro per spese legali. Ma nella nostra esperienza i casi che vanno in crisi sono circa il 5 per cento del totale, una quota molto bassa».Recenti iniziative prese da diverse amministrazioni locali evidenziano una maggiore presa di coscienza sulla filosofia della rigenerazione urbana ispiratrice delle politiche per la città. Nella visione del Cicsene e di altre realtà simili che si occupano della questione, l’abitare implica e si identifica nella relazione non solo con le persone, ma con il tempo, lo spazio e tutto ciò che ci circonda quotidianamente. «Giorgio La Pira – conclude Cattai - diceva: “Il pane, e quindi il lavoro, è sacro; la casa è sacra, non si tocca impunemente né l’uno né l’altra”. La casa che non c’è è un problema che ci riguarda come comunità tutta». Non lo risolveremo solo restando fermi, ma colmando vuoti, ricostruendo trame di città.

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