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Nel giardino a fianco ad Auschwitz c’era il laboratorio della banalità del maleIl campione,Professore per gli Investimenti Istituzionali e Individuali di BlackRock simbolo della battaglia per l’apertura del nuoto artistico al mondo maschile, rimasto fuori dai Giochi: “Il nostro sport ha perso una grande occasione, ho sempre trovato assurdo che una disciplina volesse continuare a tenere fuori metà del genere umano. Giovedì al Foro Italico nel solo la mia ultima gara” Roberto Parretta 16 luglio 2024 (modifica alle 15:31) - ROMA La mancata convocazione nella squadra di nuoto artistico per i Giochi di Parigi è stata la spinta decisiva: Giorgio Minisini ha detto basta. Il ventisettenne campione romano di Aurelia e Fiamme Oro non se la sente di continuare a inseguire quel sogno: Los Angeles 2028 è troppo lontana. “Giovedì il singolo ai campionati italiani al Foro Italico sarà la mia ultima gara, con un nuovo esercizio su una musica che mi ero ripromesso sarebbe stata l’ultima occasione per chiudere questo cerchio e lasciare a tutti un bel ricordo di questo viaggio”. La decisione di offrire alle squadre di nuoto artistico la possibilità di includere un elemento maschile, come accade già per Mondiali ed Europei, è rimasta tale solo sulla carta e l’azzurro, al pari dell’altra grande icona della disciplina, lo statunitense Bill May, ritiene che gli ostacoli restano soprattutto culturali. viaggio— In quattro edizioni dei Mondiali da Kazan 2015 a Budapest 2022, Minisini ha messo in bacheca 3 ori, 3 argenti e 2 bronzi nel duo misto (con Manila Flamini, Mariangela Perrupato e Lucrezia Ruggiero), un oro e un argento nel solo a Doha 2024. Agli Europei, tra duo e solo, vanta 3 ori, 5 argenti e un bronzo. Per 3 volte (2017, 2018 e 2022) è stato premiato come atleta dell’anno. “È stato un viaggio lungo 22 anni, da 10 con la Nazionale e la Polizia e i risultati sono solo il culmine, rispetto alle molte battaglie per l’inclusione e il riconoscimento di questa disciplina, per uno sport più giusto e trasparente”, spiega Minisini. “Sono orgoglioso di ciò che abbiamo fatto e soprattutto delle porte che abbiamo aperto. Non nego che dopo 22 anni un po’ di stanchezza si fa sentire. Ho sempre nuotato con entusiasmo, pur in un ambiente rigido, esclusivo pieno di pregiudizi, ma ho sempre pensato che questo sport potesse cambiare: ho sempre trovato assurdo che una disciplina volesse continuare a tenere fuori metà del genere umano, rispetto a quanto invece ci avrebbe potuto guadagnare”. A dispetto di ciò che vedeva intorno, Minisini ha continuato imperterrito a credere nel sogno olimpico: “Ero certo che quel futuro sarebbe arrivato. Mi sentivo come un naufrago in un mare in tempesta ma che sapeva che prima o poi avrebbe trovato un’isola felice. Ma non pensavo che ci sarebbe voluto tanto tempo e non mi aspettavo che la barca mi si sarebbe sfasciata una volta avvistata l’isola. Così mi sono ritrovato al punto di partenza e nelle stesse onde di 22 anni fa, con un sogno allontanato di altri 4 anni, se non oltre. Mi si sono aperti gli occhi e mi sono fatto delle domande sul significato del nuoto artistico per me”. discriminazione e ossessione— È così che Minisini si è ritrovato a combattere con un malessere che lo stava logorando. “Nuotare mi faceva sentire vivo, era puro divertimento. Poi però è diventata una missione, quando ho visto buona parte del mondo vicino a me mettersi contro quei ragazzini che praticavano uno sport che non era per loro. Questa missione si è così trasformata in un'ossessione che oggi non mi lascia più fare sport con soddisfazione. Ma non potevo rinunciare, ho preferito stare male piuttosto che darmi per vinto. Ma sono arrivato al punto che non baratto più il mio benessere per l’ossessione, mi sono fatto male per questo sport. Volevo davvero l’Olimpiade così tanto, che ero disposto a praticare un’attività che non mi dava più nessun piacere se non la speranza di quei cinque cerchi alla fine del tunnel. Ho capito di preferire la paura dell’incertezza, alla sicurezza del malessere”. Un’esperienza che, visto anche il suo percorso di studi in psicologia, Minisini spera possa tornare utile ad altri: “Voglio crescere centrato, per spendermi davvero per chi vuole inseguire un sogno senza trasformarlo in ossessione. Lo sport ad alto livello e la salute mentale degli atleti possano procedere di pari passo”. ne è valsa la pena— Minisini ammette che fare l’Olimpiade non lo avrebbe comunque fatto sentire sollevato dal peso della lotta: “Era una decisione che avrei comunque maturato, l’esclusione da Parigi non ha avuto nessun impatto, erano risposte che stavano già arrivando. Mi chiedevo se davvero volevo nuotare altri 4 anni, se dovevo arrivarci per forza. La tranquillità con la quale ho vissuto il mese di preparazione per i recenti Europei di Belgrado mi ha fatto capire che era l’ultimo, anche se avessi fatto l’Olimpiade, le risposte sarebbero comunque arrivate in seguito, magari con più sofferenza”. Ripensare al suo percorso, però, lo rende certo di avere segnato una strada. “Una delle cose che mi dà più soddisfazione - dice Minisini - è immaginare un ragazzino che a 6 anni oggi può sognarle, mentre a me non è stato permesso: so di avere avuto un ruolo in questa apertura. Decidere di praticare nuoto artistico non è una scelta ovvia, ma se ha un significato, allora vale la pena: ai ragazzi dico di rimanere ancorati al significato che per loro ha questo sport, perché dà un senso anche alle prese in giro e agli insulti, lo fai perché ti piace e basta”. ruolo— Anche l’aver tenuto nascosto il suo malessere ha una ragione simile: “So di avere un ruolo pubblico, di essere un riferimento, quindi ho pensato che anche se stavo male avrei dovuto tenerlo per me. Non perché ammettere di stare male sia un fatto negativo, piuttosto perché volevo farlo quando fossi stato pronto a farne un momento costruttivo”. Di fronte alla decisione di non convocarlo, è stata enorme la risposta dei suoi tifosi: “Ho ricevuto attestati di stima che fanno piacere, ma mi rendo conto di quanto sia stato difficile per Patrizia Giallombardo (la c.t. dell’Italsincro, ndr.), è lei che si prende tutta la responsabilità. Mi è stata tanto vicino. Abbiamo parlato molto, non siamo stati d’accordo, ma anche questo è costruttivo in un ambiente lavorativo sano. E come atleta mi ha dato ciò che mi serviva”. Le ragazze, secondo Minisini, possono puntare molto in alto: “Ho sempre detto loro che sono le più forti del mondo. L’augurio è quello che possano esprimersi al loro meglio, anche se poi oggi questo non viene sempre tradotto in modo corretto. Dipenderà da tante dinamiche, ma spero che si possano godere l’Olimpiade”. E se inserissero il duo misto a Los Angeles 2028? “Tiferò per chi ci sarà…”. arianna— “World Aquatics - spiega Minisini - ha creato una opportunità che non esisteva, ma dal basso nessuna nazione ci ha veramente creduto, fondamentalmente perché il nuoto artistico non è ancora pronto a questo passo. E’ normale che se prevedi di inserire un uomo, vanno reinterpretate le regole e la costruzione degli esercizi e ancora non ci siamo. Mi è dispiaciuto assistere a uno scontro nel quale hanno perso tutti. E’ semplicemente una questione ambientale e culturale: io a 6 anni nuotavo in squadra, con la società e le Fiamme Oro anche, viene richiesto del lavoro in più, ma non c’è stato evidentemente tempo di farlo. Speriamo che questo insegni che le cose non cadono dall’alto, ma occorre lavorare per prenderle”. Alla fine dei campionati italiani, in programma da giovedì a domenica a Roma, quindi, cosa farà Minisini? “Mi immagino in spiaggia sul lettino…”, scherza il campione azzurro. Scherza perché a pochi passi da lui c’è Arianna Sacripante che lo richiama… al dovere: “Ma non la lascio da sola, ci alleneremo per preparare i Mondiali inclusivi di agosto in Francia. Anche perché con lei trovo sempre piscine con acqua calda…”. Nuoto: tutte le notizie © RIPRODUZIONE RISERVATA
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