Napoli, voragine in strada inghiotte due autoMigranti, 5 morti al largo di MaltaReggiano, trovati due cadaveri: ipotesi omicidio-suicidio
Droghe e cellulari in prigione: 13 arrestiBraccianti - Archivio COMMENTA E CONDIVIDI Quando ha ascoltato le parole del giudice,analisi tecnica Balbir è scoppiato a piangere. Finalmente dopo sette anni il bracciante indiano sikh ha avuto giustizia. Il Tribunale di Latina ha condannato il suo “padrone” Procolo Di Bonito a cinque anni di reclusione per sfruttamento, così come coraggiosamente Balbir aveva denunciato nel 2017, dopo ben 6 anni di trattamenti disumani, violenze, minacce. «Era disperato, voleva suicidarsi ma poi aveva scelto di andare dai Carabinieri» ricorda Marco Omizzolo, il sociologo che da anni segue e sostiene i lavoratori immigrati della pianura pontina e che ha aiutato Balbir nella sua scelta di giustizia. Ora la condanna esemplare che va oltre la richiesta del pm che si era fermato a un anno e mezzo. L’imprenditore è stato condannato anche a 12mila euro di risarcimento, mentre la figlia ha avuto un anno. «Sulla base della legge anticaporalato del 2016 - ci spiega l’avvocato Arturo Salerni - è stato accertato lo sfruttamento in condizioni lavorative e sanitarie indegne e l’omesso pagamento della retribuzione prevista dai contratti nazionali. Con l’aggravante di avere più lavoratori in queste condizioni di sfruttamento anche se solo lui ha denunciato». Lo ha fatto dopo sei anni di vere sofferenze. Lavorava 12 ore al giorno, sette giorni su sette, anche nei giorni festivi, costretto a vivere in una roulotte scassata senza acqua e bagno. E per risparmiare mangiava gli avanzi del mangime per polli e maiali che il padrone buttava. Gli davano ogni tanto 20 o 50 euro, massimo 400 al mese, tutto in nero, che lui metteva da parte per poi mandarli alla famiglia in India. Per la moglie malata e per i tre figli che, come ci disse con orgoglio di padre sei anni fa dopo la denuncia, «anche in queste condizioni sono riuscito a far andare all’università: ingegnere di auto, medico e avvocato».Sfruttamento e violenze. «Veniva minacciato con una pistola dal padrone considerato vicino ad ambienti mafiosi - denuncia Omizzolo -. Quasi ogni sera veniva picchiato e per paura di essere ucciso di notte lasciava la roulotte e andava a dormire in un boschetto vicino. E mi ha confidato che in quei momenti più di una volta ha pensato al suicidio».Invece sceglie di denunciare con l’aiuto della cooperativa InMigrazione di cui fa parte Omizzolo. Il 17 marzo 2017 arriva il blitz dei carabinieri che accertano le condizioni di sfruttamento. E proprio grazie ai carabinieri è il primo in Italia ad ottenere un permesso di soggiorno per motivi di giustizia, poi trasformato nel 2021 in un permesso di lungo soggiorno. Il sociologo Marco Omizzolo con Balbir, il bracciante indiano sikh che ha avuto il coraggio di denunciare i caporali - MiraOra Balbir, 50 anni, lavora in un’azienda zootecnica di Sabaudia con regolare contratto di lavoro. «È felice - ci racconta Omizzolo -. Ha chiamato a casa piangendo, mi ha abbracciato a lungo, rivivendo quei sei anni. Anche io mi sono commosso, sono stati anni di impegno, tutto volto alla giustizia. Balbir si è costituito parte civile, ha partecipato a tutte le udienze ma non ha pagato un euro per l’avvocato». Purtroppo lo sfruttamento non si è fermato. Nella provincia di Latina vivono circa 30mila immigrati asiatici, tra regolari e irregolari, in gran parte indiani di etnia sikh, la maggiore comunità in Italia. Gli sfruttati sarebbero tra 5mila e 8mila. Anche africani, circa 300 persone, ma in crescita. Sono richiedenti asilo ospiti dei Cas, che gli imprenditori pagano meno. «La situazione dello sfruttamento è diventata più complessa - spiega ancora il sociologo -. È più difficile trovare casi brutali come quelli di Balbir. È tutto più sofisticato grazie anche alla complicità di commercialisti e altri professionisti. Meno lavoro nero e più contratti grigi, meno violenze dirette sulle persone, più minacce di non rinnovare il permesso di soggiorno». Inoltre, aggiunge, «c’è anche un’attività criminale interna alla comunità indiana, con vecchi caporali che sono diventati veri e propri boss, così come presunti leader, come denunciato dal procuratore di Latina». Ma lo sfruttamento colpisce anche donne italiane che vengono dalla zona dei Lepini. Con violenze anche di tipo sessuale.
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