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«La gente non mangia per vederlo giocare»Il rendering di una piattaforma per il rifornimento di idrogeno in mare - Rina COMMENTA E CONDIVIDI Il grande Eldorado. Tutti lo invocano,trading a breve termine ne parlano come una sorta di talismano destinato a cambiare il paradigma ambientale. Eppure, l’idrogeno verde, almeno per l’Italia, è un progetto che arranca, fa fatica a tenere il passo degli altri Paesi europei. Basta guardare l’esito della prima asta dell’European Hydrogen Bank, dove a fronte di un budget di 720 milioni di euro e 132 offerte provenienti da 17 Paesi l’Italia è stata praticamente assente, presentando appena due iniziative, subito scartate. Hanno vinto sette progetti provenienti da Spagna, Portogallo, Norvegia e Finlandia che nulla hanno in più rispetto all’Italia. Ma puntano molto di più su ricerca e innovazione. Solo la Spagna, per dire, aveva presentato il maggior numero di offerte (46 offerte e 3 selezioni) più che raddoppiando la Germania, seconda per numero di proposte (20 offerte). Entro fine anno ci sarà l’esito della seconda gara con un plafond di 1,2 miliardi di euro e il rischio è che anche quest’asta non veda vincitore alcun progetto tricolore.Come mai? L’ultimo report redatto dall’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano dice che l’Italia è ancora ai blocchi di partenza per quanto riguarda l’idrogeno “pulito”, con appena 27 progetti attivi su un totale di 631 europei. Il contributo italiano per quanto riguarda l’installazione di impianti per la produzione di idrogeno da elettrolisi nei prossimi 7 anni si fermerebbe infatti a soli 1,97 GW di capacità (contro i 93,55 GW dell’Europa) a fronte dei 5 GW previsti nelle linee guida. « I motivi per cui l'idrogeno stenta a decollare sono essenzialmente due – ci spiega Simona Benedettini, consulente in politiche energetiche –. Il primo è l'assenza di un quadro regolatorio compiuto per l'autorizzazione e l'esercizio di nuovi impianti di produzione e il trasporto secondo le necessarie specifiche tecniche e di sicurezza dell’idrogeno nelle reti di trasporto. Reti di trasporto che in parte dovranno essere anche sviluppate per assicurare la distribuzione dedicata dell'idrogeno. Il secondo ha a che fare con i costi che l'impiego dell'idrogeno negli usi finali determina a causa degli adattamenti che tali usi richiedono. Si pensi, tra le altre, alle trasformazioni nei processi produttivi per l'uso dell'idrogeno nei settori hard to abate (quelli in cui è particolarmente difficile tagliare le emissioni, ndr). O ai costi di sviluppo di una adeguata rete infrastrutturale per i veicoli a idrogeno».Esiste una road map europea che ha definito gli obiettivi al 2024, 2030 e 2050 per l’introduzione dell’idrogeno nel mix energetico. L’Italia ha recepito le indicazioni dell’Ue, stanziando attraverso il Piano nazionale di ripresa e resilienza 3,6 miliardi di euro per la realizzazione di progetti per la produzione di idrogeno, attraverso la creazione di hydrogen valley in aree industriali dismesse, per l’istallazione di 40 stazioni di servizio hydrogen refueling station lungo le principali arterie stradali nazionali, per l’utilizzo dell’idrogeno nei settori industriali hard to abate e nel trasporto pesante e ferroviario.«I progetti relativi all'idrogeno verde sia in ambito industriale che in ambito di mobilità appaiono di difficile realizzazione nell'immediato – spiega Michele Guerriero, direttore di EnergiaOltre –. Lo stesso utilizzo dell'idrogeno nella vita produttiva delle acciaierie non è l'unica soluzione al momento. Ne esistono altre a portata di mano per decarbonizzare uno dei settori più strategici dell'Italia. Bisogna fare i conti con la realtà e con le tempistiche».Attualmente nel nostro Paese sono in corso 54 progetti che hanno ricevuto finanziamenti e devono essere completati entro la fine del 2026. Il 50% dei fondi è stato destinato al Mezzogiorno, con 26 iniziative per un totale di 225 milioni di euro, il Nord ha 18 progetti per 180 milioni di euro e il centro ha 7 iniziative per 62 milioni di euro. Eppure «l’idrogeno è un candidato di primo piano per garantire sostenibilità energetica e sviluppo competitivo ed ecosostenibile, agendo come vettore energetico nei diversi settori applicativi: industriale, energetico, civile, residenziale, mobilità e trasporto» sottolinea Giorgio Graditi, direttore generale di Enea, ente che svolge da molti anni attività di ricerca e sviluppo sull’intera catena del valore dell’idrogeno. «L’obiettivo – dice – è la riduzione dei costi di investimento (Capex) e gestione (Opex) e l’aumento dell’affidabilità, dell’efficienza, della durata di vita e della sicurezza delle tecnologie, a soluzioni sostenibili per la produzione, il trasporto, la distribuzione, lo stoccaggio e gli usi finali, allo sviluppo e alla ricerca di materiali non critici in termini di approvvigionamento e impatto sull’ambiente».«Per avviare un mercato dell’idrogeno in Italia occorre definire una strategia nazionale – aggiunge Stefano Clerici, consigliere delegato di Agici Finanza d’Impresa –. Quello dell'idrogeno, infatti, deve essere un mercato internazionale e l'Italia può posizionarsi sia come centro di produzione per i consumi nazionali che come hub di transito tra il Mediterraneo e l’Europa». Come riuscirci? «Servono con urgenza incentivi a supporto della produzione dell’idrogeno per ridurre il gap di costo con i combustibili fossili e attivare il processo di fuel switch dell’industria hard to abate – conclude Clerici - occorre inoltre stimolare l’aumento della taglia di produzione per ottenere economie di scala in grado di abbattere i costi e adeguare i livelli di output alle esigenze degli offtaker », cioè le aziende che potrebbero acquistare l’idrogeno prodotto.

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