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Zaki atterrato in Italia, in serata la conferenza a BolognaLa scrittrice irlandese Edna O'Brien (1930-2024) - archivio COMMENTA E CONDIVIDI “Sono molti i miei debiti con Joyce ma l’audacia del suo stile è soltanto sua e non mi sarei mai azzardata a cercare di imitarla. Da lui ho imparato però ad attingere alla vita vera,analisi tecnica ad avvicinarmi ai personaggi guardandoli dal basso. Soltanto così è possibile volare”. Quando Edna O’Brien cominciò a far volare la sua scrittura non aveva ancora trent’anni e in un memorabile romanzo d’esordio, Ragazze di campagna, raccontò i sentimenti e i desideri di due giovani donne con un realismo e una naturalezza che nell’Irlanda degli anni ‘60 fecero gridare allo scandalo e portarono alla messa al bando delle sue opere. Da allora la scrittrice, morta sabato 27 luglio a Londra, non ha mai smesso di raccontare l’emancipazione femminile con romanzi carichi di un’empatia cechoviana in cui ha scavato a fondo nella coscienza dei suoi personaggi celebrandone l’esuberanza e la generosità con una prosa sempre elegante, raffinata e priva di forzature stilistiche.Ma mentre nel suo Paese sarebbe stata a lungo oggetto di attacchi violenti e ripetute accuse di immoralità, il resto del mondo iniziava a conoscere una delle voci letterarie più potenti e incisive del XX secolo. In anni recenti è toccato al presidente irlandese Michael D. Higgins presentarle le scuse ufficiali a nome di tutta la nazione, “per la feroce ostilità e l’invidioso disprezzo” di cui è stata oggetto, definendola “una narratrice coraggiosa che ha sempre raccontato la verità”. Edna O’Brien ha firmato una trentina di opere tra romanzi, sceneggiature, poesie, commedie e collezioni di racconti tradotti in tutto il mondo: da Ragazze di campagna, La ragazza sola e Ragazze nella felicità coniugale, la trilogia del suo folgorante esordio nei primi anni ‘60, a opere della maturità come Uno splendido isolamento, Le stanze dei figli, Un feroce dicembre, La luce della sera, fino all'ultimo uscito nel 2019, Ragazza, sugli orrori subiti da migliaia di giovanissime donne rapite dai fondamentalisti islamici di Boko Haram in Nigeria. Non molto tempo fa rivelò che aveva l’abitudine di scrivere come in trance, contornata da una miriade di quaderni, preferibilmente al mattino perché sentiva di essere più vicina all’inconscio. Per tutta la vita giurò invece che non avrebbe mai scritto la sua autobiografia, poi, d’improvviso, alla soglia degli ottant’anni cedette e buttò giù Country Girl, un libro memorabile in cui ha raccontato la sua esistenza come un film. La sua vita era stata davvero talmente ricca di incontri ed esperienze straordinarie da renderla molto simile a una pellicola di Hollywood divisa tra le aree rurali dell’Irlanda e le luci sfavillanti delle grandi città statunitensi.Nata nel 1930 a Tuamgraney, un piccolo villaggio dell’Irlanda occidentale, in una famiglia dalle forti radici cattoliche, era cresciuta in una casa piena di libri di preghiere, breviari e volumi di argomento religioso. Da ragazzina scriveva di nascosto da sua madre - che non approvava le sue aspirazioni letterarie - ma dopo gli studi in collegio fuggì a Dublino per coltivare i suoi sogni di emancipazione. A ventitré anni, con grande rammarico della sua famiglia, sposò un uomo molto più anziano di lei, il romanziere di origine ceca Ernest Gébler, trasferendosi a Londra e divenendo presto madre di due bambini. Lì trovò finalmente l’ispirazione per buttare giù il suo primo romanzo, che scrisse di getto in appena tre mesi: “le parole mi uscivano da sole, rotolavano fuori come l’avena il giorno della trebbiatura, che scivolava giù da un cilindro rotante, i chicchi robusti convogliati nei sacchi e la pula che volava dappertutto, fin negli occhi degli uomini che dovevano gridare per farsi sentire, tanto era il rumore della macchina”. Ma quell’esordio formidabile avrebbe segnato anche la fine del matrimonio con un uomo che non sopportava il successo di sua moglie e la contrastava in tutti i modi. Nel 1962 O’Brien ricevette quattromila sterline di diritti per il film che sarebbe stato tratto dal suo secondo romanzo, La ragazza dagli occhi verdi. Per l’epoca era una cifra da capogiro che gli consentì di rompere una volta per tutte con il marito.Dopo il divorzio iniziò a frequentare i salotti letterari e mondani della Swinging London e per un breve periodo si mise a organizzare feste alle quali partecipavano divi del cinema e della musica, da Sean Connery a Marlon Brando, da Marianne Faithfull a Richard Burton, da Jane Fonda a Paul McCartney che le addormentava i figli strimpellando brani improvvisati con la sua chitarra. Edna O’Brien divenne un’icona ribelle degli anni ‘60, capace di sondare senza retorica le vertigini della passione amorosa e di quella politica. La sua carriera di scrittrice è stata spesso al centro dell’attenzione mediatica anche a causa di alcune prese di posizione sul conflitto anglo-irlandese che negli anni ‘90 le sono costate ripetute accuse di aver sostenuto la lotta armata dell’IRA. Ma al tempo stesso la straordinaria qualità della sua prosa l’ha fatta diventare un’autrice di culto dal successo planetario rispettata anche dalle accademie e dai più raffinati circoli letterari. “La più grande scrittrice vivente in lingua inglese”, come amava ripetere il suo amico Philip Roth.Quasi tutti i suoi romanzi sono ambientati in Irlanda, sebbene avesse lasciato il suo Paese seguendo la strada tracciata da alcuni suoi illustri connazionali (tra cui Joyce e Beckett) e abbia vissuto gran parte della sua vita a Londra. Era un esilio volontario, o almeno così lo definiva lei, spiegando che “l’immaginazione si nutre meglio non avendo troppa intimità quotidiana con un luogo. L’Irlanda è un mondo meravigliosamente ricco di storie ma in Inghilterra ho l’isolamento di cui ho bisogno per scrivere”. Da tempo si era ritirata nella sua piccola casa nel quartiere di Chelsea, dove viveva da oltre trent’anni. Ma il rapporto viscerale e l’attaccamento travagliato che aveva nei confronti del suo Paese è rimasto fino all’ultimo la fonte principale del suo dolore e del suo lirismo.
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