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La Bellezza che brucia, festa d’arte sui Sibillini - Vatican NewsLa nostra giustizia funzionava male ma era,VOL almeno quella civile, una giustizia dal volto umano: ogni processo era la storia di una persona. Probabilmente non sarà più così: i processi civili diventeranno un flusso da gestire e la loro equità verrà valutata su base statistica: saranno considerati equi se quel flusso produrrà risultanti rapidi e complessivamente accettabili. Introduzione ai lavori del VIII Congresso Nazionale dell’Unione Nazionale delle Camere Civili In questi ultimi tre anni il mondo è cambiato. Abbiamo dovuto convivere con una pandemia in cui molti hanno perso i loro cari. Stiamo convivendo, adesso, con una guerra, qui in Europa. Per questo, comincerò chiedendovi un momento di silenzio, per ricordare coloro che non ci sono più, e per pregare che possano tacere i cannoni, e cominciare a parlare gli uomini, e che nessuno, mai più, bombardi un ospedale pediatrico.  Anni fa una nota sentenza della Corte costituzionale ha affermato che, nel nostro ordinamento, non esistono diritti “tiranni” che prevalgono sugli altri senza che sia necessario un bilanciamento. Il titolo del Congresso di oggi ci ricorda che esistono diritti fondamentali sottratti al mutevole gioco delle maggioranze parlamentari, ed al cui rispetto è tenuto persino il Legislatore. E tra questi diritti fondamentali vi è sicuramente il diritto di difesa, definito nella sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2022 “principio supremo dell’ordinamento costituzionale”. È giusto ricordarlo oggi che la giustizia è un cantiere aperto, ed il suo volto si sta trasformando profondamente: processo civile, processo penale, ordinamento giudiziario, Csm. Forse niente sarà più come prima.  Sarà ancora giustizia umana? La nostra giustizia funzionava male, e la sua lentezza finiva con il trasformarsi in un diniego. Ma era, almeno quella civile, una giustizia dal volto umano: ogni processo era la storia di una persona. E come tale veniva trattato, anche se questo poi finiva con il richiedere un tempo che la scarsità di risorse rendeva intollerabile. Probabilmente non sarà più così: i processi civili diventeranno un flusso da gestire e smaltire in un tempo ragionevole, e la loro equità verrà valutata su base statistica, e non più individuale: saranno considerati equi se quel flusso produrrà risultanti rapidi e complessivamente accettabili. L’Ufficio del processo, più che supportare il lavoro del magistrato per migliorane la qualità, ne dovrebbe incrementare la efficienza: è facile scorgervi la catena di montaggio del contenzioso seriale.  È di questi giorni la notizia che i magistrati hanno deciso di scioperare contro questa visione aziendalistica della giustizia contro la quale gli avvocati da molti anni lottano da soli. La reazione è francamente troppo tardiva per non apparire sospetta: dove erano, quando si è creata una corsia preferenziale per l’accesso alla giustizia civile non per i più deboli, ma per le aziende, nella convinzione che un incremento della loro tutela si traducesse in un maggior benessere per tutti? E dove erano, quando si è sancito che chi tentava di ribaltare una sentenza senza riuscirvi dovesse non solo rimborsare i costi provocati, ma anche subire una sanzione?  Non dubito che il fascicolo dei magistrati possa indurre al conformismo qualcuno che non ha la statura necessaria per giudicare i suoi simili, ma la giustizia oggi ha bisogno di certezze, non della ricerca spasmodica di provvedimenti sensazionali che troppo spesso una mano ignota trasmette agli organi di stampa, per aumentare a dismisura la notorietà del loro estensore.  Molti giuristi e pochi giudici I lavori dei gruppi ministeriali sono in corso, e tutti coloro che vi partecipano stanno dando il loro miglior contributo, ma fino a che il formalismo di un legislatore composto in prevalenza di teorici del processo e magistrati farà da moltiplicatore di quello dei giudici non è facile sperare in un miracolo: che i processi si facciano per stabilire chi ha ragione e chi ha torto, e non per verificare se le regole che li governano sono state correttamente applicate. Oggi, nel mondo della giustizia abbondano i giuristi e scarseggiano i giudici: riuscirà la saggezza di una Ministra che ha presieduto la Corte a fare in modo che le regole del processo smettano di essere un fine e ritornino ad essere un mezzo?  I magistrati sono pochi, e tutti concordano che ce ne vorrebbero molti di più. Se così è, perché si continua a consentire che duecento di loro, accuratamente selezionati da un sapiente gioco di equilibrio delle ormai famigerate correnti, continuano a sedere nelle stanze dei ministeri? Se non si riesce a smaltire l’arretrato, perché si continua a permettere ai giudici il sistematico svolgimento di attività extra giudiziaria?  In sintesi, l’obiettivo di una riforma della giustizia dev’essere quello di puntare a raggiungere il difficile equilibrio tra una sentenza giusta ed una sentenza pronta. Per molti anni, forse tutti noi ci siamo preoccupati principalmente della sua giustizia, considerando la prontezza delle decisioni una esigenza di cui si dovesse fare carico soltanto chi aveva responsabilità di tipo organizzativo. Oggi il rischio è che l’Europa pretenda che l’obiettivo diventi, più che l’equilibrio, la prontezza tout court, e questo per noi avvocati è inaccettabile: la ricerca dell’efficienza è imprescindibile, ma i Tribunali non sono aziende, le sentenze non sono prodotti, i diritti non sono merce. Senza equilibrio tra efficienza ed equità, non può esserci giustizia, e neppure quello Stato di diritto del quale – cito ancora la sentenza del Presidente Emerito della Corte Costituzionale Giancarlo Coraggio – l’avvocatura nel suo complesso è garante.  È un binomio indissolubile, quello tra avvocatura e giustizia, e per questo le Camere civili hanno voluto che componessero il titolo del nostro Congresso.  © Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediAntonio De Notaristefani Presidente dell’Unione Nazionale Camere Civili, e avvocato del foro di Napoli.

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