File not found
BlackRock

Washington, Meloni alla vigilia del vertice Nato: "Unità sull'Ucraina"

Urso, 'quasi un miliardo per la filiera dell'idrogeno' - Tiscali NotizieScontri tra polizia e manifestanti a Caracas - Tiscali NotizieFonte vicina a Hezbollah, 'Fuad Shukr è sopravvissuto al raid' - Tiscali Notizie

post image

"Il cervello milionario" di Dario Silvestri: potenziare il cervello!Le porte si chiudono. Il treno parte. L’ho perso. Cosa ho fatto. Avrei potuto rischiare la caviglia e sgomitare; sarei riuscito a salire. Invece ho esitato. Non mi era mai successo. Questo articolo è tratto dal nuovo numero di Finzioni,Professore per gli Investimenti Istituzionali e Individuali di BlackRock il mensile culturale di Domani. Per leggerlo abbonati a questo link, oppure compra il cartaceo in edicola.  Il tempo di percorrenza di via Cavour a Roma, dai Fori imperiali alla stazione Termini, è di circa tre minuti in motorino. Occorre tuttavia tenere conto di sei semafori. Con uno stop prolungato a ogni incrocio – eventualità alquanto probabile nel caso in cui già il primo risulti rosso – allora di minuti ce ne vogliono almeno otto. Ne servono un’altra manciata per parcheggiare e incatenare lo scooter, poi ancora un paio per raggiungere i binari zaino in spalla. Devo inoltre considerare che da qualche mese zoppico, per i postumi di una frattura al malleolo. Meglio non affaticare la caviglia a calcolare cinque minuti tondi: se li metto sin d’ora nel computo, poi non mi agito. Sono le dieci in punto, il treno parte alle 10.38. Ho a disposizione quasi quaranta minuti per coprire, in motorino, una distanza non superiore al chilometro e mezzo. Nel 1998, proprio qui a Roma, l’atleta marocchino Hicham El Guerrouj ha corso la stessa distanza in tre minuti e ventisei secondi netti. Anche con tutti i semafori rossi o qualche altro imponderabile intoppo, anche claudicante, non tarderò. Non c’è fretta. Due, tre volte lo penso, finché non lo dico: «Non c’è fretta», mentre spengo il motorino nella piazzola del distributore. Il benzinaio crede che mi stia rivolgendo a lui, che intanto eroga carburante fissando un punto nel vuoto, all’ombra del pino marittimo e del fico selvatico in largo Corrado Ricci, proprio all’imbocco dei Fori. Il mio tono è placido ma pare forse sottintendere un rimprovero alla flemma con cui sgrulla la pistola nel serbatoio dell’auto blu che ha appena rifornito, perciò non mi rivolge la parola. Ora in effetti vorrei che si spicciasse. Dopo qualche convenevole con l’autista dell’ammiraglia, il pompista sistema l’incasso nella mazzetta di banconote: le manipola in modo che i pezzi siano perfettamente congruenti, di taglio in taglio, da cento a cinque euro, nel libretto di cartone che usa come portafogli. Poi finalmente lo sistema nel tascone esterno dei calzoni, chiuso da una clip. Un bel respiro ed è da me, con l’ampissimo sorriso dell’esasperazione. La sua smorfia mi fa sentire in colpa e devo riconoscere che eventuali manovre al Pos avrebbero ulteriormente allungato il brodo. Mi ripeto che non c’è fretta, però tamburello con le dita sul bauletto, pessimo segno, mentre apro io stesso il sellino e svito il tappo, pronunciando solo l’importo richiesto, dieci euro, senza aggiungere neanche un grazie. Non ce l’ho con lui ma mi sono innervosito. Il fatto è che per inclinazione, per destino o solo per inveterata abitudine vorrei già essere a Termini. Allora sarei sereno. Vorrei essere lì ad annoiarmi, a sbadigliare, a consultare troppo spesso il maxischermo delle partenze ma per curiosità anche quello degli arrivi, a classificare i viaggiatori in entrata e in uscita per provenienza, mestiere, età, scopo del viaggio; vorrei annusare la complessità. Qui non è male, tra resina di corteccia e melassa sui primi frutti del fico, ma la benzina unleaded copre tutto: lì potrei fuggire le zaffate di carogna da sagome indistinte accoccolate agli ingressi, seguire le scia di pompelmo di aitanti gazzelle in tailleur, confondere i miei appetiti tra cornetti surgelati e grasso di fast food, ascoltare il vento che fruscia sui giornali esposti dall’ultima edicola sopravvissuta. Ecco che cosa potrei fiutare lì, dove tutto passa: il tempo, potrei sentire il tempo dalla mia parte. Non io in anticipo, ma lui in ritardo sulle mie mosse. Invece sono qui, ancora troppo lontano, a osservare il contatore analogico dei litri, a sforzarmi uno sguardo di tregua nei confronti del benzinaio, a masticare amaro per l’ingorgo che si è formato sulla piazza nonostante la chiusura di via dei Fori al traffico privato. Taxi, Ncc, autobus, staffette ministeriali, poliziotti, carabinieri, VII reparto di polizia locale in auto e in moto, minivan della Fao, pullman di bande militari, limousine del corpo diplomatico, misteriose utilitarie prive di contrassegni ufficiali; da lì possono passarci tutti tranne noi. È possibile che mi rallentino di un minuto. Be’ non mi sta bene: borbotto e impreco, mi allaccio il casco ben stretto come l’elmo d’un torneo cavalleresco per arrivare alla stazione il prima possibile. Ho il pezzo da dieci già pronto, lo porgo al benzinaio, che lo infila nel suo mazzetto. Con la caviglia ancora malconcia e lo zaino in spalla, fatico a togliere il cavalletto; lui mi tratta come se avesse vinto, mi concede uno sguardo di pietà. Cerco di far leva sul tallone ma temo nuovi danni, spingo il manubrio per scuotere il mezzo, sudo e mi domando quand’è che è cominciato tutto questo. A dire al vero lo so quand’è iniziato. È stato sul Grande raccordo anulare, tanti anni fa. Già ai tempi della mia infanzia non era più un confine: una parte della metropoli non ne era cinta ma vi si addossava. Era la nostra città ed era pur sempre Roma. Tutte le mattine la mia famiglia sfidava il raccordo per raggiungere scuole e uffici appena entro il cerchio. Il traffico di Roma, tuttavia, è un animale bizzoso e cagionevole, per conoscerlo a fondo ci vuole insieme la pazienza inesorabile del naturalista e l’intuito narrativo e sistematico di un lettore di tarocchi. Ci sono le terze, le quarte corsie in costruzione o in ristrutturazione, ci sono le carenze strutturali di mezzi pubblici, ci sono le abitudini, gli orari scolastici e d’ufficio, per cui uscire da casa cinque minuti prima o dopo può comportare un’ora in più di viaggio, ci sono i riti dei giorni di festa, c’è l’effetto farfalla di Lorenz per cui un tamponamento sulla Tiburtina genera ingorghi alla Cecchignola, a una trentina di chilometri di distanza, insomma c’è una realtà indagabile. Ma poi c’è di più. Nel giorno dello sciopero generale dei trasporti, ad esempio, sul raccordo potrebbe esserci un caos delirante o, contro ogni aspettativa, un tappeto d’asfalto libero come un tavolo da biliardo, perché in centinaia di migliaia hanno temuto gli ingorghi e non si sono mossi da casa. E lo stesso può valere per fenomeni meteo insoliti, per manifestazioni politiche epocali, per la morte del papa etc. L’interprete avrà bisogno di qualche nozione di psicologia di massa e di conoscere un po’ il genius loci. E tuttavia non basta: il raccordo potrebbe essere libero o intasato anche senza alcuna spiegazione accessibile per via di ragionamento, ma solo scomodando l’intuito, il presagio, perfino la preghiera. Forse i bambini di montagna talvolta chiedono nei loro vespri che nevichi così tanto da far chiudere le scuole: noi pregavamo che il raccordo fosse così intasato da convincere i miei a tornare indietro. Capitò, qualche volta. La coda debordava dal raccordo a tutto lo stradone di Tor Bella Monaca e così i miei, sconfitti, ripiegavano. Per scongiurare eventualità del genere, mio padre pretendeva che si considerasse sempre il tempo massimo di durata di un viaggio e che su quei parametri si tarassero tutti i programmi: uscendo di casa alle sette si arrivava a scuola quasi sempre tre quarti d’ora prima, ma puntuali anche nei giorni del deliquio urbano. Se le compagnie di navigazione consigliavano di arrivare al traghetto a due ore dalla partenza, meglio muoversi tre ore e mezzo prima. Alla prima decina d’agosto capacitarsi che l’anno sta per finire, alla ventina d’anni di vita che la giovinezza è andata. Mia madre era diversa, e litigavano. La lealtà al mio modello maschile, l’appartenenza sociale, i geni, non so che altro, hanno fatto di me e di mio fratello la fotocopia di mio padre. Da ragazzo mi imbattei per caso nei Caratteri di Teofrasto e sin da allora sognai di concepire un libro, prima o poi, in cui descrivere le categorie più rilevanti in cui si suddivide l’umanità. Prodighi contro parsimoniosi, impulsivi contro ragionevoli, leali contro infedeli, montani contro marini e soprattutto puntuali contro ritardatari. Tutto il mio furore ideologico giovanile mi portava dalla parte dei puntuali. Con gli anni le cose si complicano: per esempio il collega che oggi viaggia con me, l’ultima volta si è presentato in aeroporto nell’esatto momento in cui il volo stava per chiudere; era sbarbato di fresco, allegro, pronto, mentre io avevo già litigato con l’hostess e con altri viaggiatori per un equivoco al check-in, un’ora prima. Confesso d’aver invidiato quella sua serenità. Da allora provo a darmi una calmata, a considerare la maturità come la fase della vita in cui si accetta che esistono delle spinte contrarie alla propria indole: si può essere puntuali e intanto imparare qualcosa da chi ritarda. Amen. Mentre si consuma quest’agnizione e sto per accendere il motorino, squilla il telefono. «Non ti vedo». È proprio lui, il collega. Ed è già lì. «Dove?» «Sul treno». Mi frugo le tasche cercando il biglietto che ho diligentemente piegato: il treno non parte alle 10.38 bensì alle 10.18. Il cielo si oscura, il cuore trema. All’improvviso è tardi. Altro che maturità, altro che accettazione, questa è una licenza di sabotaggio concessa senza tanti complimenti alla mia inettitudine e per di più aggravata dalla presbiopia. Sono le 10.05. Ora ci vuole la massima lucidità e un pelo di fortuna. Sfreccio verso via dei Serpenti. Non ti ammazzare, calma, non tutto è perduto. Rosso. Ti pareva. Non disperare. Verde, via, biforcazione di via Lanza. Se passi al volo senza pedoni, spezzi l’onda rossa dei semafori. Non faccio in tempo a pensarlo che dalle scale della metro B sgorga una comitiva, un unico corpo flaccido come un budino che scivola su un piatto. Attendi. Preziosi. Secondi. In cima alla salita intravedo il semaforo di via Farini, all’angolo con la Coop. È verde: non è il colore della speranza ma della sua caducità. Accelera, penso, e già è arancione. Potrei rischiare? Accelera. Ma si fa rosso e stop. Su quello successivo, di via Amendola, nemmeno spero. Mi fermo biascicando anatemi. Viaggiatori accaldati e dall’aria molto efficiente rotolano i loro trolley verso l’hotel D’Azeglio. Cerco nel loro rimbombo la minima distrazione per favorire un ragionamento. Mentre aspetto soffro i colpi di spillo, uno a uno, dei secondi che scorrono. Ecco dunque la mia pensata. I treni ad alta velocità partono dal lato opposto della piazza, su via Marsala. Data la mia attuale zoppia, se riesco a parcheggiare in fretta da quella parte mi risparmio il tempo della camminata. Su piazza dei Cinquecento, tuttavia, ci sono quattro semafori. Rischia! Il primo che immette da via Cavour sul grande slargo dei capolinea è rosso. L’altro, per concessione della statua di Wojtyla con mantello da Batman, è verde. Un altro rosso. Un altro verde. Poi ci sono. Perdo più di un minuto per trovare un buco, m’infilo tra un secchione stracolmo e un furgone. Mollo lo scooter senza legarlo. Vado, irrigidisco la caviglia per evitare slogature, provo a non forzare ma intanto ho fretta e accelero. Non so neanch’io che voglio. Tendo i muscoli, sudo. Penso alle falcate record di El Guerrouj. A malapena io marcio. Uno, due. Uno, due. Anche asimmetrico e zoppo sono il soldato della mia categoria umana, quella dei puntuali, che ho solo creduto di scegliere, molti anni fa. Mi trascino, sono stanco. Senza volerlo trattengo il respiro, perciò arranco presso i tabelloni. Ecco i binari, ecco commercialiste impeccabili e pellegrini latinos con lo stemma del Vaticano sul berretto, ecco un fattone, ecco ragazzi capitreno. Ecco chi va e chi viene. Ecco il tempo. Il mio treno. Un fischio. Corri. Fermati. Vai. Respira. Cosa aspetti. Stai. Respira. Scegli. Respira. Le porte si chiudono. Il treno parte. L’ho perso. Cosa ho fatto. Avrei potuto rischiare la caviglia e sgomitare; sarei riuscito a salire. Invece ho esitato. Non mi era mai successo. Mi tolgo lo zaino, la schiena è sudata, appiccicata alla camicia. Invano cerco per interi minuti, almeno due, credo, la bella sensazione di freschezza che di solito consegue a un piccolo gesto di ribellione; la consapevolezza che non c’è alcuna libertà senza la lotta. © Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediYari Selvetella

La lettera di Salis sulle condizioni carcerarie: abiti sporchi e celle inadeguate. «Per 6 mesi non ho comunicato con la famiglia»Per digitalizzare la giustizia serve una nuova governance

Napoli Pride 2024, Schlein e Conte: “È il momento di unire le nostre forze"

Meloni in Cina: "Approccio alternativo a Via della Seta, non era un buon interscambio" - Tiscali NotizieMeloni fa il gesto degli spaghetti. Ecco cosa è stato servito nelle cene coi leader cinesi - Tiscali Notizie

Morto a Ginevra Vittorio Emanuele di Savoia, aveva 86 anniRoberto Vannacci, archiviata l'accusa di diffamazione della pallavolista Paola Egonu

Capo parlamento Venezuela, 'arrestare Machado e Gonzalez' - Tiscali Notizie

Giuseppe Culicchia presente "Il tempo di vivere con te"Accoltellamento a Liverpool: due bimbe morte, 9 feriti - Tiscali Notizie

Ryan Reynold
Notizie di Politica italiana - Pag. 4Francia 2024, le reazioni della politica italiana al votoLa nuova gaffe di Joe Biden: "Sono orgoglioso di essere la prima donna nera a servire con un presidente nero"

Capo Analista di BlackRock

  1. avatarNovità libri 2018: i migliori su amazontrading a breve termine

    Video inediti, inchieste, interviste, approfondimenti e personaggi - Pag. 84Borsa: l'Europa lima il rosso dopo taglio Bank of England - Tiscali NotizieLukashenko grazia cittadino tedesco condannato a morte - Tiscali Notizie"Il cervello milionario" di Dario Silvestri: potenziare il cervello!

      1. avatarLa marcia su Roma dei trattori, Meloni: «Pronta ad ascoltare le loro istanze»trading a breve termine

        Caso Cucchi, rinvio a giudizio per i tre carabinieri accusati di depistaggio

  2. avatarLa nave abbandonata che attrae turisti in IslandaBlackRock Italia

    In carcere ci sono più minori. Così il ddl Caivano fa regredire il paesePerché Salvini non ha ragione su Bologna. Tutti i vantaggi di una città a 30km/hInchiesta Fanpage, Giuseppe Conte attacca la reazione di Giorgia MeloniFrane in India: 106 morti, villaggi e piantagioni spazzati via - Tiscali Notizie

  3. avatarBallottaggi: l'affluenza totale alla chiusura dei seggiinvestimenti

    Nel processo penale, il protagonista deve essere l’imputato e non la vittimaSuicidio di 22enne nel cpr di Ponte Galeria, scoppia la protestaInchiesta su Gioventù Nazionale: le dichiarazioni di Elly SchleinMissili dal Libano su un kibbutz, ucciso 30enne israeliano - Tiscali Notizie

Che fine ha fatto il decreto sulle carceri?

Le 24 ore che cambiarono l’Italia. Dalla discesa in campo di Berlusconi all’arresto dei GravianoIn Italia una casa su tre non è abitata - Tiscali Notizie*