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La “trappola della povertà” e il circolo vizioso della fame nel mondo in Asia, Africa e America Latina - Tiscali NotizieIMAGOECONOMICA COMMENTA E CONDIVIDI Sette lavoratori su dieci,analisi tecnica nel mondo, sono esposti a rischi a causa dei cambiamenti climatici. L’allarme arriva dall’ultimo rapporto dell’Ilo, l’Organizzazione mondiale del lavoro, che dal 2003 promuove la Giornata mondiale per la sicurezza e salute sul lavoro, che si celebra il 28 aprile di ogni anno. Secondo i dati più recenti disponibili (2020) oltre 2,4 miliardi di lavoratori (su una forza lavoro globale di 3,4 miliardi) risultano potenzialmente esposti a calore eccessivo in un momento della loro attività lavorativa, con una quota passata dal 65,5% al 70,9% dal 2000.Inoltre, il rapporto stima che ogni anno si perdono 18.970 vite umane e 2,09 milioni di «anni di vita corretti» per la disabilità a causa di 22,87 milioni di infortuni sul lavoro attribuibili al caldo eccessivo. Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro, ogni anno circa 3 milioni di persone perdono la vita, nel mondo, a causa di incidenti o malattie legate al lavoro. Un dato in aumento di oltre il 5% rispetto al 2015 che sottolinea l’importanza delle sfide persistenti nel garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori a livello globale.La maggior parte di questi decessi è stata causata da malattie correlate al lavoro (2,6 milioni), mentre gli incidenti sul lavoro rappresentano ulteriori 330mila morti. In Italia, nel 2023 sono state registrate dall’Inail 1.041 denunce di incidente mortale, con una media di tre decessi al giorno. Soltanto nei primi due mesi del 2024, i morti sul lavoro sono stati 105, con un aumento del 20,6% rispetto al primo bimestre dell’anno scorso. Le denunce di infortunio, sempre in questo periodo, sono state 92.711, con un incremento del 7,2%.Per affrontare il problema della sicurezza su lavoro le tecnologie digitali e l’intelligenza artificiale possono aiutare ad abbattere il muro delle mille morti all’anno – tre vittime al giorno - che, ormai dall’inizio degli anni Duemila, segna drammaticamente il nostro Paese. È questa l’idea di fondo del “cantiere digitale”, proposta che l’ex-ministro del Lavoro, Cesare Damiano, rilancia da qualche tempo ad ogni occasione e che comincia a farsi largo nell’opinione pubblica, visto che al tema sarà dedicato un prossimo convegno di Federarchitetti.«Di fronte a una digitalizzazione pervasiva che cambia i modelli produttivi e all’utilizzo dell’intelligenza artificiale, perché non pensare a un loro impiego, non soltanto semplicemente ed esclusivamente per favorire l’aumento della produttività, ma anche per la tutela dell’integrità psico-fisica delle persone?», domanda Damiano. Che, da ministro, firmò il decreto 81 del 2008, approvato dal governo Prodi negli ultimissimi giorni di vita. Facendo riferimento a due recenti tragedie (l’investimento di cinque operai alla stazione ferroviaria di Brandizzo e gli altri cinque lavoratori morti nel crollo del cantiere Esselunga di Firenze), Damiano spiega, concretamente, come impiegare l’IA per salvare vite umane.«In entrambi i casi – ricorda – c’è stato un mancato coordinamento delle attività, in parte provocato dalla lunga catena di appalti e subappalti. Come è possibile che, nel cantiere di Firenze, ci fossero operai in un luogo sottostante alla posa di una trave di cemento? Una regia, un coordinamento delle attività, avrebbe dovuto prevedere che sotto non ci fosse nessuno. Se si fosse utilizzato un principio di digitalizzazione che, per esempio, segnalava i rischi di interferenza e nella mappatura digitale impediva la presenza di lavoratori nel luogo sottostante il posizionamento della trave, non avremmo avuto quei morti. E lo stesso vale per Brandizzo – prosegue l’ex-ministro –. Se si fosse adottato un meccanismo per impedire il pagamento delle ore lavorate prima del passaggio dell’ultimo treno, anziché affidare la sicurezza dei lavoratori a una semplice telefonata, anche in quel caso avremmo salvato delle vite».Con un impiego intelligente della tecnologia, insomma, si potrebbero mettere in campo, per esempio, veri e propri «test d’ingresso» nei cantieri. Basterebbe un cartellino digitalizzato per verificare l’identità di chi entra e il tipo di contratto applicato. A Firenze, ricorda Damiano, «c’erano contratti molto diversi», mentre «il principio che deve valere è che le condizioni devono essere uguali dalla casa madre all’ultimo appalto». Inoltre, attraverso la digitalizzazione si può governare anche l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale. Bastano dei semplicissimi microchip, nel casco o nei guanti o nell’imbracatura, per verificare chi indossa correttamente questi Dpi. «Se non lo fai, parte un alert e la squadra viene bloccata prima che si metta al lavoro», spiega ancora Damiano. Che ha anche un “piano” per recuperare le risorse necessarie a sviluppare questi strumenti e fare formazione a lavoratori e imprenditori. «Cominciamo con l’impiegare almeno una parte della giacenza di cassa dell’Inail che ammonta a circa 38 miliardi di euro», sottolinea Damiano. Che ha già avanzato questa proposta in diverse occasioni durante la sua permanenza nel Consiglio di amministrazione dell’Istituto per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Finora senza successo. «Il problema – ricorda l’ex-ministro del Lavoro – è che l’Inail rientra nella contabilità generale dello Stato e, quindi, ogni risorsa risparmiata alleggerisce il debito. Ma così si crea un circolo perverso. Altrimenti, diciamo chiaramente che i premi pagati dalle imprese non hanno l’obiettivo fondamentale di fare prevenzione, ma hanno l’obiettivo occulto di diminuire il debito dello Stato. Perché oggi è una tassazione occulta nei confronti delle imprese. Questa questione andrebbe affrontata dalla politica una volta per tutte, altrimenti si fanno molte parole ma niente fatti».E, soprattutto, si continuano a spendere, ogni anno, circa 60 miliardi, tre punti di Pil, per «riparare i danni» provocati dagli incidenti sul lavoro, in termini di vite umane e di inabilità temporanee o permanenti. «Dobbiamo spostare queste risorse dal costo del risarcimento all’investimento in prevenzione – conclude Damiano –. Qui bisogna agire per abbattere questo muro dei mille morti che sembra insormontabile».
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