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12enne mette a segno 8 rapine in un meseGli orizzonti giuridici alla luce del protocollo quadro sperimentale per la legalità,VOL contro il caporalato, l'intermediazione illecita e lo sfruttamento lavorativo nel settore del food delivery, sottoscritto dai sindacati alla presenza del ministero del Lavoro Le aziende si sono impegnate a creare un albo nazionale di società autorizzate ad operare per conto delle stesse piattaforme e a designare, entro sei mesi, rappresentanti nell’ambito dei componenti del proprio Organismo di Vigilanza. Questo contribuisce a rianimare il dibattito sulla qualificazione giuridica del rapporto di lavoro  e sui livelli minimi di tutela cui hanno diritto i riders, riecheggiando al tempo stesso le risultanze dell’inchiesta avviata dalla procura di Milano nel luglio 2019. Da un punto di vista previdenziale, infatti, la maggior parte dei riders va a confluire nel novero degli autonomi occasionali, ma solo in numero estremamente limitato risultano iscritti alla gestione separata dell’INPS. Nel corso dell’emergenza pandemica si è assisto ad una notevole crescita del numero dei c.d. “lavoratori su piattaforma”, con un primato detenuto dal food delivery tramite ciclo fattorini (c.d. riders).   Anche sull’onda di questo incremento fenomenologico, lo scorso 24 marzo, Cgil, Cisl, Uil e Assodelivery hanno sottoscritto, alla presenza del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, il protocollo quadro sperimentale per la legalità, contro il caporalato, l'intermediazione illecita e lo sfruttamento lavorativo nel settore del food delivery. Il Protocollo ha l’obiettivo di contrastare l’intermediazione illecita di manodopera ed il fenomeno del caporalato, e in generale ogni forma di sfruttamento lavorativo nel settore della consegna di beni per conto altrui. Le aziende aderenti ad Assodelivery (Uber Italy, Glovo, Deliveroo e Social Food) si sono così impegnate entro sei mesi ad adottare Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo (MOG) ai sensi del d.lgs. n. 231/2001  - idonei a prevenire, rilevare e sanzionare comportamenti all’interno delle aziende riconducibili alle fattispecie di reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603-bis c.p.) -  e un Codice Etico, che sarà oggetto di informativa alle parti sindacali sottoscrittrici. L’albo nazionale Le stesse si sono impegnate inoltre a non ricorrere a società terze di intermediazione, nell’attesa della creazione di un apposito albo nazionale, o di altro registro di simile natura, di società autorizzate ad operare per conto delle stesse piattaforme. Tale albo sarà creato in via transitoria da Assodelivery e dalle aziende da essa rappresentate, con l’impegno che le società terze di intermediazione inserite posseggano i necessari requisiti di onorabilità e legalità, avvalendosi, a tal fine, del supporto dei propri Organismi di Vigilanza ai sensi del d.lgs. n. 231/2001. Inoltre, le stesse aziende si sono impegnate a designare, entro sei mesi, rappresentanti nell’ambito dei componenti del proprio Organismo di Vigilanza i quali, a loro volta, andranno a comporre un organismo di garanzia, il cui compito sarà di vigilare, in posizione di terzietà, sulle dinamiche lavorative dei riders, con lo scopo di intercettare eventuali attività illegali. L’organismo lavorerà coordinandosi con il tavolo di governance e monitoraggio al quale parteciperanno i rappresentanti delle Parti firmatarie dello stesso protocollo. I risultati raccolti e valutati dal Tavolo saranno resi disponibili anche all’Osservatorio nazionale permanente sul lavoro istituito presso il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (ai sensi dell’art. 47- octies del d.lgs. n. 81/2015). In virtù dello stesso documento, infine, le organizzazioni sindacali si sono impegnate a raccogliere, in completa riservatezza, ogni segnalazione di condotte anomale riconducibili a forme di intermediazione illecita di manodopera, sfruttamento e caporalato. Lo stesso impegno è stato assunto dalle società aderenti ad Assodelivery avverso le segnalazioni provenienti dai lavoratori. La sottoscrizione di questo documento, pur rappresentando un significativo passo avanti verso l’affermazione di migliori condizioni di lavoro per questa crescente categoria di lavoratori, contribuisce senza dubbio a rianimare il dibattito sulla qualificazione giuridica del rapporto di lavoro  – autonomia vs subordinazione – e, conseguentemente, sui livelli minimi di tutela cui hanno diritto i riders, riecheggiando al tempo stesso le risultanze dell’inchiesta avviata dalla procura di Milano nel luglio 2019, a seguito di alcuni infortuni stradali che avevano coinvolto proprio dei ciclo fattorini. L’inchiesta di Milano L’inchiesta, volta a far luce sulla violazione delle norme antinfortunistiche e sulla configurazione di possibili ipotesi di sfruttamento e caporalato orizzontale e verticale verso questi lavoratori, oltre che sulla presenza di clandestini tra gli stessi, in una prima fase (eseguita a campione per strada da gruppi di interforze) si è concentrata in via esclusiva sulla città di Milano. Tuttavia, dopo l’inevitabile pausa negli accertamenti ispettivi causata dall’emergenza da COVID-19, si è estesa all’intero territorio nazionale. Al riguardo, con un comunicato del 24 febbraio 2021, l’INL ha reso noto che, al termine dell’attività di controllo l’ITL di Milano, il Nucleo Ispezioni lavoro dei Carabinieri di Milano, l’Inps e l’INAIL, hanno notificato verbali di accertamento a 4 società di gestione delle attività di consegna a domicilio. I quattro verbali impatteranno, su tutto il territorio nazionale, su una platea di oltre 60.000 lavoratori, che hanno svolto l’attività nel periodo dal 1° gennaio 2016 al 31 ottobre 2020. Per questi lavoratori, l’ITL di Milano ha disposto, in capo alle società di food delivery, l’obbligo di fornire un’adeguata informazione sugli istituti tipici del lavoro subordinato applicabili, nonché l’obbligo di provvedere al pagamento delle differenze retributive dovute ai singoli riders. Le violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro sono state comunicate alla procura della Repubblica di Milano. Di conseguenza, in capo alle quattro società italiane delle piattaforme digitali, saranno irrogate le sanzioni amministrative all’uopo previste e sarà imposto l’obbligo di versamento delle spettanti differenze retributive, oltre che dei contributi previdenziali e assicurativi a favore dei lavoratori interessati, come previste per legge.  Torna così, al centro dell’attenzione, il nodo della corretta qualificazione giuridica del rapporto di lavoro dei riders e del conseguente apprestamento agli stessi delle tutele tipiche del lavoro subordinato.  L’inquadramento giuridico Infatti, negli ultimi anni, in assenza di un univoco inquadramento giuridico del lavoro tramite piattaforma digitale, in diversi Paesi la giurisprudenza ha colmato il vuoto normativo riconoscendo, in modo piuttosto disomogeneo, la natura autonoma o subordinata di questi rapporti. Analogamente, nel nostro Paese, se la sentenza del tribunale di Torino n. 778/2018 e quella del tribunale di Milano n. 1853/2018 hanno per prime ascritto all’area dell’autonomia il lavoro su piattaforma, la Corte di Appello di Torino, con la sentenza n. 26/2019, ha inquadrato la fattispecie nell’alveo di un  improbabile tertium genus, intermedio tra autonomia e subordinazione, che implicherebbe la conseguente (e complessa) selezione delle tutele tipiche della subordinazione da applicare ai riders. Sul punto è poi intervenuta la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 1663/2020, ha ricondotto il lavoro su piattaforma nell’area del lavoro autonomo coordinato e continuativo, cui si applicano le tutele (quali?) del lavoro subordinato, tra cui anche quelle prevenzionistiche, ove lo stesso presenti i tratti della etero-organizzazione ed il coordinamento sia unilateralmente esercitato dal committente nei confronti del collaboratore. La Corte ha di fatto ripreso le previsioni del decreto legge n. 101/2019, convertito con modificazioni dalla legge n. 128/2019, che ha esteso la tutele del lavoro subordinato, di cui all’art. 2, co.1 del d.lgs. n. 81/2015, qualora le modalità di esecuzione della collaborazione continuativa  siano etero-organizzate dal committente e la stessa si svolga in assenza di reciprocità del coordinamento, anche mediante piattaforme digitali. Al contempo è stato introdotto il capo V-bis (artt. da 47-bis al 47- quater) del d.lgs. n. 81/2015, recante disposizioni per la tutela del lavoro tramite piattaforme digitali. Per effetto di queste previsioni, con specifico riferimento alla tutela prevenzionistica, è stato poi disposto che il committente, che utilizzi la piattaforma digitale, sia tenuto al rispetto di tutte le disposizioni del Testo Unico sicurezza. Analogamente, è stata estesa a questi lavoratori la copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, prevedendo che i correlati adempienti debbano essere attuati dal committente che utilizza la piattaforma digitale e che la determinazione del premio, per la copertura assicurativa INAIL, debba essere determinato in base al tasso di rischio corrispondente all’attività svolta.  Giurisprudenza di merito A distanza di pochi mesi, però, la giurisprudenza di merito (nella specie il tribunale di Palermo con la sentenza del 24 novembre 2020 n. 3570) è tornata a pronunciarsi sul tema, questa volta accogliendo in toto le istanze del ricorrente avverso la  FOODINHO S.R.L. e qualificando il rapporto di lavoro intercorso tra le parti come subordinato, a tempo pieno e indeterminato, con lo svolgimento da parte del lavoratore di mansioni di ciclo fattorino addetto alla consegna di merci, cibi e bevande, a domicilio e da inquadrare nel VI livello del C.C.N.L. Terziario Distribuzione e Servizi. Nell’argomentare la propria decisione, il Giudice ha richiamato i principi già richiamati dalla giurisprudenza nazionale e d’oltralpe, nonché la circolare n. 17 dell’ufficio legislativo del ministero del Lavoro del 19 novembre 2020, che ha ribadito la possibilità di qualificare il rapporto di lavoro dei lavoratori su piattaforma come subordinato. Precisazione, quest’ultima, abbastanza scontata posto che, nel nostro ordinamento, per consolidata giurisprudenza, qualunque attività può essere svolta sia in forma autonoma che subordinata, che il tipo legale non è disponibile dalle parti e che il potere di qualificazione giuridica del rapporto di lavoro è rimesso in via esclusiva al Giudice. Nello stesso senso pare muoversi anche la recente comunicazione della società di delivery Just Eat, circa l’avvio della procedura di assunzione come lavoratori subordinati dei propri riders impiegati sul territorio italiano a partire dal marzo del 2021.  La funzione sociale Si è riacceso così un dibattito, tanto mediatico quanto giudiziale, in corso già da alcuni anni e che, da ultimo, sembra però fare i conti con la emergente “funzione sociale” che questi lavoratori vulnerabili sono chiamati a svolgere, in piena pandemia, per garantire la continuità di un “servizio essenziale” per le famiglie, su tutto il territorio nazionale. Una suggestione cui nemmeno la recente giurisprudenza di merito pare sfuggire.  In realtà, più che alla dialettica tipologica tra autonomia a subordinazione, che deve più opportunamente essere risolta in via giudiziale a fronte della esatta verifica delle circostanze del caso concreto, vale la pena prestare attenzione alla più ampia ed attuale questione relativa alla universalità dei sistemi di sicurezza sociale che riguarda anche i riders. Una problematica che, riguardando tutti i lavoratori vulnerabili, invoca ancor più urgenti risposte normative; ciò tenuto conto che, da un punto di vista previdenziale, la maggior parte dei riders va a confluire nel novero degli autonomi occasionali, ma solo in numero estremamente limitato risultano iscritti alla gestione separata dell’INPS, poiché alla relativa contribuzione sono soggetti solo quelli con reddito superiore a 5.000 euro annui e che invece soltanto una quota molto marginale è inquadrata tra i cococo. Un sistema di welfare, quindi, ancora modellato sul lavoro subordinato standard e poco inclusivo verso questa crescente componente del mercato del lavoro. © Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediCesare Damiano e Maria Giovannone Cesare Damiano è componente del Consiglio di Amministrazione dell’INAIL e Presidente di Lavoro&Welfare. Svolge Attività di Ricerca, Formazione e Consulenza in materia di Sicurezza sul Lavoro, Politiche dell’occupazione, Relazioni Industriali, Contrattazione collettiva, Welfare aziendale, Previdenza. E’ stato Ministro del Lavoro nel secondo Governo Prodi e presidente della Commissione lavoro della Camera dei Deputati nella XVII Legislatura. Maria Giovannone è ricercatore in Diritto del Lavoro e professore aggregato in Diritto del Mercato del Lavoro presso l’Università degli Studi Roma Tre. E’ Avvocato del Foro di Roma, specializzata in diritto del lavoro e della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. E’ autrice di numerose pubblicazioni in materia nonché curatrice del recente volume M. Giovannone (a cura di), La responsabilità civile e penale del datore di lavoro nel contesto dell’emergenza sanitaria, Aracne Editore, 2021.

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