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Riforma autonomia: FDI rimane prudente ma Calderoli spinge: "È nel programma e intendiamo realizzarla"

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Cofferati: "Nel Pd non deve solo cambiare la musica, ma anche i musicanti"A partire dal 2015 quest’area è considerata prioritaria per la sicurezza italiana. Ma ora lo scenario è mutato. L’allargamento dell’impegno verso l’area dell’Indo-Pacifico rischia però di disperdere risorse già limitateNell’ultimo decennio l’Italia ha ufficialmente ricalibrato la propria politica estera all’interno del cosiddetto “Mediterraneo allargato”,Professore per gli Investimenti Istituzionali e Individuali di BlackRock che abbraccia Europa meridionale, nord Africa, Sahel, Corno d’Africa e Medio Oriente.In tutti i documenti strategici pubblicati a partire dal 2015, la regione è stata qualificata «di interesse strategico prioritario», in quanto dalla sua stabilità viene fatta dipendere la sicurezza italiana.Scenari di crisiIl compito di Roma, tuttavia, è tutt’altro che semplice poiché il Mediterraneo allargato è sempre più un teatro di confronto tra grandi e piccoli attori della politica internazionale.All’esplosione del conflitto tra Israele e Hamas, infatti, è seguita l’escalation degli attacchi condotti dagli Houthi ai danni delle navi cargo dirette verso il Canale di Suez. Senza dimenticare la Siria, che resta affetta da un’endemica instabilità causata sia dalla fragilità economica che dal radicamento sul suo territorio dell’Isis.Le recenti scoperte di risorse energetiche offshore nel Mediterraneo orientale, inoltre, hanno riacceso storiche querelle come quella tra Turchia, Grecia e Cipro. Al contempo, hanno scatenato una corsa alla ridefinizione delle acque territoriali e delle zone economiche esclusive degli stati che vi si affacciano.Nel Corno d’Africa, invece, l’Etiopia è giunta alla definitiva bancarotta per insolvenza economica nel 2023, l’Eritrea si sta avvicinando sempre di più a Cina e Russia, mentre la Somalia è l’incubatore della minaccia terroristica di al-Shabab.Il Sahel, dal canto suo, tra il 2020 e il 2023 è stato attraversato da una vera e propria ondata di golpe, che ha colpito Burkina Faso, Niger, Ciad, Guinea, Gabon, Sudan e, soprattutto, Mali. I margini d’azione offerti dalla perdurante instabilità nell’area hanno permesso il proliferare di gruppi jihadisti, contribuendo a renderne ancora più precario il quadro securitario. Quanto al nord Africa, le principali minacce alla sicurezza nazionale italiana derivano dalla divisione di fatto della Libia, dalle tensioni tra Marocco e Algeria, dall’irrisolta questione del Sahara occidentale e dalla perdurante crisi politica tunisina.Sul tentativo di Roma di fare fronte a queste sfide gravano una serie di elementi di fragilità. Nella conduzione della sua politica estera nel Mediterraneo allargato, infatti, può contare in misura minore rispetto al passato sul sostegno di Washington, sempre più assorbita dalla competizione con la Cina.La sua vocazione atlantista, inoltre, la spinge ad allargare ulteriormente il suo raggio d’azione verso l’Indo-Pacifico, interpretando così la richiesta americana di burden sharing. Ma il crescente attivismo diplomatico e militare dell’Italia in questa regione, presenta il rischio di una dispersione delle sue – già di per sé limitate – risorse.Dopo l’invasione dell’UcrainaA fronte di ciò, tuttavia, molti fanno notare come il riorientamento strategico americano abbia fornito all’Italia un’opportunità, spingendo i paesi europei a cercare una maggiore integrazione nella loro politica estera e di sicurezza.A partire dal 2016, infatti, l’Unione europea ha avviato una serie di iniziative volte al raggiungimento di una maggiore capacità d’intervento anche senza l’aiuto degli Stati Uniti, concetto che si è guadagnato l’appellativo di “autonomia strategica”.Roma ha così accolto con entusiasmo le iniziative di Bruxelles, realizzando subito che l’accelerazione del processo di integrazione della difesa europea avrebbe potuto offrirle una solida base di supporto per la sua politica nel Mediterraneo.Queste aspettative, tuttavia, hanno subito un deciso ridimensionamento dopo l’aggressione russa all’Ucraina. Lo scoppio della guerra, d’altronde, ha contribuito a inasprire ancora di più le già significative divergenze di interessi dei paesi membri in materia di politica estera e sicurezza all’interno dell’Ue.Dopo il 24 febbraio 2022, le priorità dei paesi dell’Europa meridionale (il “fianco sud” della Nato), che trovano nel Mediterraneo l’origine delle sfide più rilevanti alla loro sicurezza, sono passate definitivamente in secondo piano rispetto a quelle dei paesi dell’Europa nord-orientale, che identificano nella Russia la principale minaccia alla loro sicurezza.Le sponde possibili Non potendo contare fino in fondo sugli Stati Uniti e sull’Ue nel Mediterraneo allargato, l’Italia può muoversi attraverso accordi bilaterali, minilaterali o multilaterali – di cui il Piano Mattei è un primo tentativo – cercando sponda nei paesi che condividono i suoi stessi interessi verso l’Africa.Oltre alla Spagna, tra questi il candidato principale rimane indubbiamente la Francia, che condivide preoccupazioni simili alle nostre per quanto accade nel fianco sud dell’Europa.Ciò dovrebbe comportare, almeno idealmente, una certa convergenza di interessi sui principali dossier legati a tale quadrante. Roma e Parigi, al contrario, si sono trovate spesso su posizioni – anche diametralmente – opposte.Sul dossier libico l’Italia ha sostenuto con forza il governo internazionalmente riconosciuto di Tripoli, mentre la Francia ha adottato un approccio più ambiguo.Ha intavolato, a più riprese, il dialogo con il generale Khalifa Haftar, che ora tratta con Vladimir Putin per la concessione del porto di Tobruk alla Marina militare russa. Anche sul dossier migratorio, le relazioni italo-francesi hanno spesso assunto i tratti di uno snervante braccio di ferro. Il boom di partenze che ha interessato il continente africano nei primi mesi del 2023, infatti, ha riacceso le tensioni tra Roma e Parigi, invece che inaugurare una nuova fase di collaborazione.Il dilemmaIl contesto internazionale in cui l’Italia è chiamata oggi a compiere scelte da cui dipendono sia la sua sicurezza che il suo status internazionale nel futuro, pertanto, non appare dei più semplici in cui muoversi. Il nostro paese si trova a dover gestire un incremento delle minacce nella regione che ritiene prioritaria a fronte di una minore convergenza di interessi, rispetto al passato, con i suoi principali alleati.La richiesta americana di burden sharing, peraltro, è stata interpretata da Roma nei termini di una maggiore proiezione nell’Indo-Pacifico.È così che la duplice necessità di mostrarsi allineata con Washington ed essere maggiormente protagonista nel Mediterraneo allargato finiscono per profilare un vero e proprio dilemma strategico nel suo orizzonte.Gli autori hanno più diffusamente trattato i temi del presente articolo nel Geopolitical Brief n. 1 “La politica estera italiana tra baricentro euro-mediterraneo e ambizioni indo-pacifiche”, pubblicato nell’ambito del progetto ITAsia realizzato da Unint – Università degli Studi Internazionali di Roma, in collaborazione con il Centro Studi Geopolitica.info e Cemas Sapienza Università di Roma, con il sostegno dell’Unità Analisi, Programmazione, Statistica e Documentazione Storica del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediMatteo Mazziotti di Celso e Gabriele Natalizia

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