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In Campania riaprono cinema, teatri e discoteche: l'ordinanzaAl centro dell’inchiesta Domenico Barillà,VOL genero del boss della cosca Araniti. Si sarebbe attivato materialmente per convogliare i voti dei clan verso diversi candidati alle regionali del 2020 e del 2021 e alle comunali del capoluogo calabrese nel 2020Nella mattina di oggi, martedì 11 giugno, i carabinieri del Ros hanno eseguito 14 misure cautelari nell’ambito di un’inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria su presunti rapporti tra le cosche di ‘ndrangheta e la politica. Nel filone sono indagati – a piede libero – il capogruppo di Fratelli d’Italia in regione, Giuseppe Neri, il sindaco del Partito democratico del capoluogo calabrese, Giuseppe Falcomatà, e il consigliere regionale dem Giuseppe Francesco Sera. Per Neri e Sera i pm avevano chiesto gli arresti domiciliari – rigettati però dal gip – mentre nessuna richiesta è stata fatta per Falcomatà.Oltre agli indagati, i carabinieri hanno arrestato 14 persone: 7 indagati sono finiti in carcere, 4 agli arresti domiciliari e 3 con l’obbligo di firma. Le accuse vanno dall’associazione mafiosa, estorsione aggravata dal metodo mafioso, reati elettorali, corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, falsità materiale e ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici.Le accuseAl centro dell’inchiesta i condizionamenti delle cosche locali sulla politica locale. In particolare, secondo gli inquirenti, il clan Araniti – operante nella periferia nord di Reggio Calabria – avrebbe convogliato i propri voti verso determinati candidati.Sotto la lente della procura è finito Daniel Barillà, formalmente dirigente locale del Pd del capoluogo calabrese, che in occasione delle regionali del 2020 e del 2021 si sarebbe attivato per portare le preferenze delle cosche ai meloniani, e in particolare a Giuseppe Neri (tra gli uomini forti di Fratelli d’Italia in regione, con un passato nel Pd), mentre alle comunali il nome indicato sarebbe stato quello di Giuseppe Francesco Sera.Barillà non è un politico come gli altri, perché è il genero del boss Domenico Araniti detto il “Duca”, arrestato questa mattina e ritenuto il vertice della cosca. E secondo la tesi dei pm, Barillà si sarebbe comportato come cinghia di trasmissione tra i clan e la politica locale.Le indagini sono partite nel 2019 e avrebbero peraltro permesso di «acquisire elementi sintomatici del condizionamento delle elezioni - presso alcuni seggi elettorali - per il rinnovo del Consiglio regionale della Calabria (nel 2020 e nel 2021) e del Consiglio Comunale di Reggio Calabria (nel 2020)».Le presunte irregolarità si sarebbero registrate soprattutto in alcuni seggi nell’area nord di Reggio Calabria, dove gli Araniti sono particolarmente forti. Qui, anche grazie alla complicità di alcuni scrutatori, Barillà avrebbe portato per persone impossibilitate a votare le schede elettorali precompliate, inserendole nell’urna in prima persona.Un impegno – secondo i pm – non gratuito, visto che dopo il voto il genero di Domenico Araniti ha incassato alcune nomine in enti pubblici. © Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?Accedi
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