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Ucraina, su un carro armato russo spunta la bandiera dell'UrssAlfonso Luzzi,Economista Italiano direttore generale del Patronato Sias - Archivio COMMENTA E CONDIVIDI Direttore Alfonso Luzzi, il patronato SIAS quest’anno compie i suoi primi cinquant’anni. Un traguardo sicuramente importante. Ma com’è cambiato il ruolo del patronato nel tempo?E’ cambiato sicuramente molto. Dal ruolo che la legge che ha conferito al patronato moderno nell’immediato dopoguerra di assistenza e tutela dei lavoratori si è arrivati, dopo varie tappe, a quello attuale di informazione, assistenza, consulenza e tutela a favore di tutti i cittadini. La platea degli assistiti, come è chiaro, si è ampliata notevolmente. E ciò è avvenuto a seguito del riconoscimento da parte della Corta Costituzionale del ruolo di soggetti privati che svolgono una funzione di pubblica utilità. Un riconoscimento molto importante che ci conferisce però un’altrettanta importante responsabilità.Quale?Quella di essere coloro che istituzionalmente hanno il compito, direi il dovere, di avvicinare il cittadino, ogni singolo cittadino, alla Pubblica amministrazione per ottenere il riconoscimento dei suoi diritti sociali e civili.Come dico sempre, di avvicinare lo Stato-apparato allo Stato-comunità.Sicuramente oggi questo compito è molto più semplice che in passato. Le comunicazioni telematiche agevolano molto.Dipende dai punti di vista. La vera distanza non è quella materiale bensì quella culturale. Oggi non abbiamo più il compito di prendere una domanda di pensione a Santa Maria di Leuca per andare a presentarla all’INPS di Lecce distante 100 Km, ma è nostro dovere consentire a qualunque cittadino italiano e straniero, che non conosce i suoi diritti, che parla poco la nostra lingua, che ha timore di parlare del proprio status personale o lavorativo di poter accedere ad una prestazione sociale o assistenziale. Oggi è questa la distanza da colmare.Si, questo è chiaro. Ma, mediamente per il cittadino, oggi l’accesso alle informazioni ed anche la possibilità di presentare delle domande di pensione o di disoccupazione, per fare degli esempi, avviene con una certa facilità accedendo direttamente al sito dell’INPS.Sfido chiunque a farlo. Innanzitutto, il nostro paese presenta ancora una notevole disomogeneità territoriale nell’alfabetizzazione digitale e poi, il problema di fondo è la complessità del nostro sistema previdenziale che risente delle innumerevoli leggi che nel tempo si sono susseguite e che lo hanno integrato, modificato, interpetrato. Per avere la certezza di poter accedere nel modo migliore alla fruizione di una prestazione pensionistica o sociale, il cittadino ha bisogno di chi gli fornisca l’adeguata consulenza. E tale opera, altamente professionale, in forma disinteressata e gratuita, la svolgono solo i patronati. Come è cambiato il vostro lavoro negli due anni caratterizzati dall’emergenza Covid?Durante il periodo pandemico i patronati hanno dato dimostrazione innanzitutto di grande responsabilità, rispondendo appieno alla funzione di pubblica utilità che è stata loro assegnata dal dettato costituzionale. E poi di notevole capacità organizzativa, dimostrando un’efficienza fuori dal comune: basti pensare solo alla formazione continua degli operatori, nel tempo brevissimo che intercorreva tra l’emanazione delle norme e la loro entrata in vigore, che è stata un’opera complessa e delicata. Spesso i decreti venivano annunciati il venerdì ed il lunedì mattina avevamo già la fila delle persone davanti all’ingresso dei nostri uffici oppure avevamo le caselle di posta elettronica colme di richieste di informazioni, di appuntamenti, di domande.Siete stati anche voi, però, destinatari di risorse provenienti dai vari decreti ristori?Purtroppo no. I patronati vengono finanziati ogni anno sulla base di un’aliquota di prelievo sul fondo che raccoglie i versamenti contributivi dei lavoratori dipendenti e autonomi. La recessione economica dovuta al Covid e la relativa contrazione del mercato del lavoro con il ricorso alle casse integrazioni ed alle altre forme di sostegno con il conseguente mancato versamento dei contributi ha comportato una riduzione di quasi il 20 % dei finanziamenti, che solo in parte sono stati compensati da successivi finanziamenti pubblici.L'inaugurazione di un Patronato Sias - ArchivioE la situazione attuale quale è?Tale situazione va a sommarsi ad un quadro generale di difficoltà finanziaria che sta attanagliando il sistema dei patronati. Basta dire che negli ultimi quattro anni, i patronati hanno visto aumentare dell’ 80 per cento il numero complessivo del punteggio (possiamo dire semplificando che è il metro di misurazione del numero delle pratiche gestite e definite positivamente), a fronte della diminuzione del 44 per cento del valore del finanziamento per ogni singolo punto.Ho visto pero’ che malgrado tale congiuntura il Patronato SIAS ha avuto una sensibile crescita nel corso degli ultimi anni. In effetti è cosi. Di concerto con l’allora presidente del MCL Carlo Costalli, portammo avanti un progetto di sviluppo del SIAS che da un lato lo portasse a collocarsi in una fascia di “mercato” più alta, anche al fine di allontanarsi dalla tagliola introdotta nella finanziaria 2015 che prevedeva lo scioglimento per i patronati che non raggiungessero almeno l’1,5% di attività su base nazionale, e dall’altro, indirettamente, consentisse alla sua associazione promotrice, il MCL appunto, di avere una maggiore presenza e capillarizzazione sul territorio al fine di poter meglio realizzare la propria azione di promozione sociale. Predisponemmo pertanto un piano industriale, sostenuto finanziariamente dal MCL stesso e ricorrendo al credito bancario, che ha portato ai risultati attuali. Non fu facile ed il sostegno, anche politico del presidente Costalli per superare le frizioni interne fu determinante. Negli ultimi cinque anni abbiamo raddoppiato il numero dei nostri uffici in Italia ed anche il numero degli operatori, e, conseguentemente abbiamo raddoppiato anche la nostra percentuale di mercato passando dall’1,6% di allora all’attuale 3,5%, collocandoci ai gradini più alti della graduatoria per produzione dei patronati. Siamo orgogliosi dell’obiettivo raggiunto e soprattutto lo siamo perché nei cinque anni abbiamo dato lavoro a tante persone. L’attuale organico è composto da oltre 600 operatori, tutti stabilizzati a tempo indeterminato. Sono 36 anni che al patronato SIAS non ritardiamo di un giorno nel pagamento degli stipendi e dei contributi. Abbiamo creato lavoro. Mi ripeto, ma ci tengo: ne siamo molto fieri. Quale è il suo auspicio per il futuro dei patronati?In primis che venga riformato il sistema di finanziamento rendendolo efficacie e giusto. Ad oggi non abbiamo ancora ricevuto il saldo relativo all’attività prodotta nel 2014 (otto anni fa!) e negli anni successivi. Ciò è dovuto ai ritardi nel completamento delle visite ispettive da parte degli organi pubblici vigilanti, cosa che ha causato anche gravi disequilibri nell’erogazione delle anticipazioni tra i vari patronati. Pertanto è necessario che i soggetti preposti al controllo adottino sistemi di verifica dell’attività più celeri e conseguentemente allineino l’erogazione delle risorse a criteri basati sulla più recente ed effettiva attività prodotta. L’annosa questione è all’attenzione del Ministero del Lavoro che di recente si è positivamente attivato per risolverla in tempi brevi. L’altro auspicio che mi auguro è che, alle fondamenta di ogni riforma o modifica legislativa che dovesse intervenire, venga sempre tenuta quale pietra angolare la funzione sociale e di pubblica utilità che deve restare insita nell’ opera dei patronati.Direttore, vedo in lei tanta passione. Quali sono le doti che deve avere un operatore o un dirigente di patronato?Grazie. Le rispondo a titolo strettamente personale. Innanzitutto l’operatore di patronato deve avere una solida formazione sui diritti sociali ed insieme la voglia e, direi, la curiosità culturale di studiare in continuazione la difficile materia. Poi la capacità di ascolto. Solo ascoltando con disponibilità ed attenzione gli assistiti si possono comprendere nei dettagli le loro esigenze. Spesso ci vuole molta pazienza…Per un dirigente, oltre le capacità manageriali intrinseche nel ruolo, penso che ci voglia un grande senso di responsabilità, sapendo che si stanno gestendo risorse che hanno una natura pubblica e che dalle nostre scelte dipende il lavoro di tante persone. Per un dirigente cattolico, poi, il senso della responsabilità deve essere ancora più profondo perché deve trovare le sue radici nella dottrina sociale e nel Vangelo, per mostrare, riprendendo le parole di San Giacomo, la propria Fede con le proprie Opere.

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