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In Francia la quinta ondata che per il ministro Veran “forse è l’ultima”Un astronauta nello spazio - Fotogramma COMMENTA E CONDIVIDI È sempre più ampia la letteratura che documenta gli impatti sulla salute dei viaggi a lungo termine nello spazio,Professore per gli Investimenti Istituzionali e Individuali di BlackRock con analisi dettagliate che indagano gli effetti dovuti alle condizioni estreme del volo spaziale. Tra i problemi più comuni che coinvolgono gli astronauti, infatti, troviamo la perdita di massa ossea, l'indebolimento del cuore e della vista e lo sviluppo di calcoli renali. E proprio su quest'ultimo problema s'è concentrata la ricerca dell'University college di Londra appena pubblicata su Nature Communications, la più ampia realizzata finora sulla condizione dei reni di chi lascia l'orbita terrestre, con l'obiettivo di capire per quale motivo risultino così danneggiati: i danni riscontrati proprio nel sistema renale, infatti, sono così gravi da mettere a rischio qualsiasi possibile missione umana su Marte nel futuro.Secondo gli scienziati il problema deriva dall'esposizione alle radiazioni spaziali, come i venti solari e le radiazioni cosmiche galattiche, dette anche Gcr, provenienti dallo spazio profondo: per gli uomini sulla Terra queste radiazioni non sono un pericolo, il che grazie al campo magnetico terrestre, che fornisce protezione. In precedenza si era ipotizzato che la causa principale della formazione di calcoli durante le missioni fosse dovuta esclusivamente alla perdita di tessuto osseo indotta dalla microgravità, che porta a un accumulo di calcio nelle urine. La ricerca degli scienziati dell'Ucl indica, invece, che il modo in cui i reni elaborano i sali è fondamentalmente alterato dal volo spaziale e probabilmente contribuisce in modo determinante alla formazione dei calcoli. Nello studio, finanziato da Wellcome, St Peters Trust e Kidney Research UK, o KRUK, la squadra di scienziati ha condotto una serie di esperimenti e analisi per studiare la risposta dei reni al volo spaziale. Ciò comprendeva valutazioni biomolecolari, fisiologiche e anatomiche utilizzando dati e campioni provenienti da 20 coorti di studio. Sono stati inclusi campioni provenienti da oltre 40 missioni spaziali in orbita terrestre bassa, con esseri umani e topi, la maggior parte delle quali sulla Stazione Spaziale Internazionale, nonche' 11 simulazioni spaziali con topi e ratti. Sette di queste simulazioni prevedevano l'esposizione di topi a dosi di Gcr simulate equivalenti a missioni marziane di 1,5 e 2,5 anni, riproducendo il volo spaziale oltre il campo magnetico terrestre. I risultati hanno rilevato che sia i reni umani che quelli degli animali sono “rimodellati” dalle condizioni spaziali, con tubuli renali specifici, responsabili della regolazione fine dell'equilibrio di calcio e sale, che mostrano segni di restringimento dopo meno di un mese nello spazio.La scoperta più allarmante, almeno per qualsiasi astronauta che prenda in considerazione un viaggio di tre anni su Marte, è che i reni dei topi esposti a radiazioni che simulano la Gcr per 2,5 anni hanno subito danni permanenti e perdita di funzionalità: «Sappiamo cosa è successo agli astronauti coinvolti in missioni spaziali relativamente brevi, in termini di aumento di problemi di salute come i calcoli renali - ha detto Keith Siew, primo autore dello studio del London Tubular Centre -. Quello che non sappiamo è perché questi problemi si verificano né cosa accadrà agli astronauti in voli più lunghi, come nel caso della missione proposta su Marte» ha continuato. «Se non sviluppiamo nuovi modi per proteggere i reni, un astronauta al ritorno da Marte potrebbe aver bisogno della dialisi - ha osservato ancora Siew -. Sappiamo che i reni tardano a mostrare i segni del danno da radiazioni; quando questo diventa evidente, è probabilmente troppo tardi per intervenire, il che sarebbe catastrofico per le possibilità di successo di una missione». Secondo gli autori, sebbene i risultati evidenzino seri ostacoli per una potenziale missione su Marte, è necessario identificare i problemi prima di poter sviluppare soluzioni. Insomma, se si sta pianificando una missione spaziale occorrerà pensare ai reni, a protezioni e schermature, e man mano che si impara a conoscere meglio la biologia renale a misure tecnologiche o farmaceutiche. I farmaci sviluppati per gli astronauti potrebbero essere utili anche qui sulla Terra, ad esempio consentendo ai reni dei pazienti oncologici - gli scienziati ne sono convinti - di tollerare dosi più elevate di radioterapia, essendo i reni uno dei fattori limitanti in questo senso.
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