FdI vuole il reato universale di gpa ma i condannati saranno i bambiniSe vieta le relazioni umane come al 41 bis, il carcere non sarà mai rieducativoBudapest, Fratoianni incontra Ilaria Salis: "Proiettata sul suo futuro fuori dal carcere"
Tajani incontra il premier Anp, l'annuncio: "L’Italia riparte con i finanziamenti all'Unrwa"L'auto di don Merola danneggiata dai vandali - Facebook COMMENTA E CONDIVIDI A don Luigi Merola sembra di tornare indietro di vent’anni esatti,analisi tecnica quando era parroco nel quartiere napoletano di Forcella e finì nel mirino della camorra per aver alzato la voce dopo la morte della quattordicenne Annalisa Durante. È stato lui stesso a darne notizia sulla pagina Facebook della sua fondazione “'A voce d’’e creature”: stamattina, il sacerdote ha trovato un vetro dell’auto di servizio con cui viene accompagnato da un agente di scorta distrutto, e anche il lampeggiante era stato portato via.«È accaduto semplicemente quello che succede in questa città quando uno cerca di sporcarsi le mani», commenta don Merola, che ha sporto denuncia. «Proprio in queste ore è arrivata la bella notizia che aspettavamo: il bene confiscato che ospita la nostra fondazione è stato condonato e il Comune ha modificato il proprio regolamento, consentendoci di restare per altri vent’anni qui. Ma evidentemente la camorra vuole darci lo sfratto…», dice il sacerdote. «Non è la prima volta che succede una cosa del genere negli ultimi mesi: sono stati rubati i motorini dei nostri educatori e anche alcuni strumenti nella nostra pizzeria. Ma noi non molliamo, non ci fermiamo e continuiamo a lavorare per i bambini della nostra città».Da vent’anni, don Merola è sotto scorta, cioè da quando denunciò lo strapotere del clan camorrista dei Giuliano nel quartiere in cui era parroco, in pieno centro storico. Era appena stata ammazzata Annalisa Durante: mentre camminava in strada, la ragazza si trovò in mezzo a un conflitto a fuoco tra camorristi. La reazione di don Merola fu durissima: tra le altre cose, smantellò le telecamere con cui il clan controllava il quartiere e testimoniò nel processo sull’omicidio della ragazza, aiutando a individuare il colpevole, Salvatore Giuliano. Fu minacciato di morte più volte sia di persona che indirettamente, fino a quando dovette lasciare Forcella. Da allora ha dato vita, in un’altra parte della città, alla fondazione “’A voce d’’e creature”.
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