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On Charge, la ricaria più facile – Il TempoLa prova di dressage nei giardini della Reggia di Versailles - Reuters/Matthew Childs COMMENTA E CONDIVIDI In treno Da Place d’Italie,MACD passando per la stazione di Campoformio, che a noi foscoliani ricorda l’omonimo Trattato (17 ottobre 1797, firmato da Napoleone Bonaparte con gli austriaci e che sanciva la vittoria della sua prima campagna d’Italia), per arrivare alla Reggia di Versailles, 15 km da Parigi, secondo il poco attendibile google map olimpico ci si si impiega lo stesso tempo che andando a cavallo. E il motivo di questo viaggio nella storia è proprio quello di andare ad assistere alle gare di equitazione. Ai rari connazionali non calciofili che di sport equestri un po’ si intendono, diciamo subito che l’Italia dell’equitazione è già in volo per tornare a casa. E di questo rifletteremo su una panchina dell’immenso polmone verde che circonda Versailles. Ma prima dobbiamo condividere lo stupore di una Reggia che risplende sotto il sole di Francia dal 1682. Uno degli innumerevoli sfizi edonistici che si concesse Re Sole, Luigi XIV, che quasi cinque secoli prima della caotica e trafficatissima Paris 2024 decise di scappare dalla Ville Lumiere e dal Palazzo del Louvre per difendersi anche dall’orda minacciosa della Fronda. Questa immensa area museale (67mila metri quadrati calpestabili), dove il prossimo sport olimpico da introdurre potrebbe essere la prova individuale e a squadre di giardinaggio, dal 1979 è stato il primo sito Francese dichiarato dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità. E anche dal Cio e dalla maggioranza degli addetti ai lavori viene dichiarato come forse il più bell’ impianto per l’equitazione visto nella storia dei Giochi moderni. Uno stadio dalla capienza di uno nostro della Serie A calcistica. La costante della grandeur parigina infatti ha fatto sì che sull’Étoile Royal, con vista sul Canale Grande che ha per sfondo teatrale lo sfarzo barocco della Reggia (la cui vista è negata solo ai giornalisti in tribuna stampa, pardon!) siano state alzate delle gradinate, modulabili da 15mila a 40mila posti a sedere, che verranno prontamente smantellate subito dopo la maratona di chiusura, che prevede l’inedita Parigi- Versailles-Parigi. Tracciato che è un omaggio alla marcia della “protesta delle donne” a Versailles, avvenuta durante la Rivoluzione francese. Ma tornando alla storia a cinque cerchi il debutto dell’unica disciplina con animale avvenne proprio qui a Parigi all’Olimpiade decoubertiniana del 1900. I pochi nobili cavalieri di allora che si cimentarono nella prova dei salti ora sono diventati 200 ripartiti nelle tre prove: individuali e a squadre del salto a ostacoli, dressage e concorso completo. Noi arriviamo qui dopo il solito viaggio della speranza in cui anche un passaggio in groppa a un mulo, piuttosto che a uno dei meravigliosi purosangue in pista, sarebbe stato benedetto per arrivare non esangui alla meta. Sì perché, cari connazionali, dovete sapere che gli organizzatori della sfarzosissima Paris 2024 non hanno certo risparmiato quanto a trucco parrucco ed effetti speciali per la rassegna parallela degli “Olimpyc gays” ma hanno invece abolito le funzionali e salvifiche navette di trasporto per gli impianti fuori dall’area metropolitana. Perciò da un capolinea ferroviario al campo di gioco passano gli stessi chilometri di deserto di un’Olimpiade organizzata in Burkina Faso (mi scuso anticipatamente con gli abitanti e gli atleti burkinabè). Ma torniamo all’Italia dell’equitazione che è arrivata qui forte di una grande tradizione che ormai però affonda radici lontane ed è legata essenzialmente ai leggendari fratelli Raimondo e Piero D’Inzeo. Da Londra 1948 a Montreal ’76 i due cavalieri romani, hanno riportato in patria 23 podi, 7 ori, 9 argenti e 7 bronzi. Il bottino di otto edizioni olimpiche in cui hanno partecipato, un record quello di presenze che a Parigi può vantare solo il campione del tiro a volo Pellielo. Non ci sono dei D’Inzeo all’orizzonte e l’ultimo trionfo risale ai Giochi boicottati di Mosca 1980: oro nel completo di Federico Roman e argento nella prova a squadre. Però c’è un movimento, olimpico e paralimpico in crescita, che può contare su 2mila circoli sparsi sul territorio nazionale e 160mila tesserati di cui circa 70mila rientrano nella fascia di età tra i 4 e i 17 anni . Uno sport d’elite? «Una lezione di equitazione costa tra i 25-30 euro l’ora, l’equivalente di quella con un maestro di tennis», spiega il presidente Marco Di Paola che guida la squadra azzurra alle prese con l’unica disciplina in cui uomini e donne si confrontano in tutte e tre le specialità è composta da Emiliano Portale e Giovanni Ugolotti atleti dell’Esercito Italiano, Pietro Sandei (Fiamme Oro, Polizia di Stato ) e Evelina Bertoli (Fiamme Azzurre, Polizia Penitenziaria) che rappresenta quel 77% di tesserate donne che fanno dell’equitazione italiana lo sport più rosa del palinsesto olimpico. Ma complice anche qui, come per la scherma, a causa di decisioni assai discutibili dei giudici di gara. Il caso Portale, anzi il “caso Future”, il nome del cavallo squalificato nella gara del dressage (prova di tecnica di addestramento) in cui per l’Italia si stavano per spalancare le porte d’accesso alla zona medaglia. Un 4° posto cancellato dal morso del labbro del cavallo, una piccola perdita di sangue dalla bocca che per la giuria è un’irregolarità da eliminazione con assurde e pesanti ricadute – da regolamento – sul cavaliere. « Per fortuna è stata fatta salva l’incidentalità, perché le norme messe in campo per tutelare giustamente la salute del cavallo in caso di ferita provocata dal cavaliere possono andare ben oltre la squalifica dello stesso cavaliere e arrivare alla conseguente sospensione dal corpo da cui proviene. In questo caso il nostro Portale avrebbe dovuto sostenere una causa di lavoro con l’Esercito per cui lavora come militare e per cui gareggia come atleta della Nazionale». Insomma, uno viene alla sua prima Olimpiade e si ritrova espulso da Versailles e per di più al ritorno in Italia con il rischio di ritrovarsi “disoccupato”. La tensione tra gli azzurri si scioglie con la conferma della semplice squalifica, che nella prova a squadre del completo dà l’opportunità a Sandei di subentrare agli sfortunati Portale e il suo amato Future. Sandei in sella a Rubis de Petre, elegante e agilissimo alla faccia dei 19 anni, fa chiudere gli azzurri al 13° posto (la Bertoli è la migliore nell’individuale al 22° posto). Ma qui sul podio salgono tutte queste creature fantastiche a quattro zampe. Oltre ai cavalieri anche i cavalli italiani sono riconosciuti come tesserati (la Fise ne conta sui 35mila) in base a decreto legislativo inserito nella tanto sbandierata Riforma dello sport. E Versailles sono loro che dettano legge e che attirano l’attenzione degli appassionati di tutto il mondo che seduti in tribuna parlano di leggende degli sport equestri tipo Varenne. Incroci di razze di fuoriclasse del valore commerciale a volte inestimabile, come il mitico Valegro, il cavallo vincente della nazionale inglese che dopo aver trionfato per tutto lo scorso decennio è andato in pensione. Si fa sera a Versailles e le meravigliose creature equestri rientrano nei box reali a gustarsi la meritata cena di biada senza champagne. Per cavalli e per i cavalieri, alla fine della giornata di gare il saluto ideale del Re Sole che qui a Parigi convocò il Bernini per farsi fare una statua che lo eternasse in sella a un cavallo. Un capolavoro, come quello che ci aspettiamo tra quattro anni ai Giochi americani in cui, annuncia già il presidente Di Paola, l’Italia porterà due squadre. Au revoir a Los Angeles.
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