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Festival di Sanremo, come sarà la finaleLe società tendono sempre di più a marginalizzare le persone. Ma le disuguaglianze si possono risolvere con la pedagogia. Nelle pratiche di cura c’è il potenziale per una rivoluzioneChe bisogno abbiamo di “fare scuola” oggi?Professore per gli Investimenti Istituzionali e Individuali di BlackRock A partire da quali sofferenze e bisogni dovremmo immaginare non solo nuove politiche di cura e apprendimento, ma anche nuovi spazi per accogliere le violenze e i traumi dei tempi turbolenti che stiamo vivendo? Quali sono, dunque, i nuovi orizzonti emancipatori del nostro tempo?Nel corso del Ventesimo secolo, numerose sperimentazioni socio-pedagogiche hanno accompagnato le emancipazioni sociali e politiche. Sostenute dalle lotte operaie e femministe, queste si opponevano alle logiche disciplinari e autoritarie presenti nelle istituzioni educative e nel mondo del lavoro. Dopo il 1945, l’obiettivo era di attuare un’educazione popolare per curare il tessuto sociale devastato dalle due guerre.Esperimenti ANSANel suo saggio Histoire populaire de la psychanalyse, Florent Gabarron-Garcia evidenzia l’importanza di considerare la singolarità di ogni individuo, prestando attenzione alle violenze materiali, sociali e psichiche subite: discriminazioni di classe, di genere o razziali. Tra le molteplici iniziative nate in quel periodo, è possibile citare la nascita dei Cemea, della pedagogia istituzionale o della nuova pedagogia (Freinet, F. Oury, eccetera).Queste sperimentazioni socio-pedagogiche venivano condotte insieme ai movimenti dell’antipsichiatria (Cooper, Laing, Basaglia) o della psicoterapia istituzionale (Tosquelles, J. Oury, Fanon), che denunciavano gli effetti mortiferi delle logiche di chiusura asilare.In entrambi i casi, si trattava di riportare al centro dell’azione sociale la questione della cura, dell’accoglienza e della benevolenza nei confronti dei più marginalizzati, proletari, persone che subiscono razzismo, donne, bambini, ma anche i cosiddetti “anormali”, “deficienti mentali”, “deviati” o “pazzi”.Mentre la Seconda guerra mondiale aveva portato al culmine la radicale sfigurazione dell’umano (con i campi di concentramento e le bombe atomiche), questi movimenti realizzavano una coniugazione tra l’emancipazione politico-sociale e la costruzione di un nuovo campo esistenziale in relazione con l’ambiente come condizione per la cura psichica. FattiIl “tetto” agli stranieri in classe c’è dal 2010, la scuola tra norme inutili e discussioni insensateMichele ColucciEcologieQuesta fu l’occasione per Félix Guattari, che lavorava alla clinica di La Borde (situata nella profonda Sologne, un luogo senza pareti, circondato da foreste e stagni, con giardini e animali), di aprire l’umano verso una sfera più che umana: l’ecologia. Guattari ci invitava quindi a reinventare le pratiche di cura articolando le tre ecologie: psichica, sociale e ambientale.Rispondeva così all’osservazione fatta nel 1972 dallo psichiatra Harold Searles: «Più ancora che la guerra nucleare, la crisi ecologica è, credo, la minaccia più grave che l’umanità abbia mai dovuto affrontare collettivamente... Noi [le persone in generale, inclusi gli analisti] proiettiamo su questo mondo in preda alla degradazione ecologica tutti i nostri conflitti interni nei loro aspetti più violenti. In particolare, il conflitto tra gli aspetti soggettivamente umani e non umani di noi stessi».Più di cinquant’anni dopo, ci troviamo nuovamente in un contesto di crescita della xenofobia, dei poteri autoritari e di un aumento vertiginoso delle disuguaglianze sociali. A ciò si aggiunge la moltiplicazione delle catastrofi socio-ecologiche e sanitarie.Le instabilità provocate dal cambiamento climatico andranno intensificandosi, generando situazioni sempre più precarie per molti abitanti del pianeta, costretti a lasciare i loro luoghi di vita per migrare verso territori più ospitali. Sul piano psichico collettivo, assistiamo all’ascesa dell’eco-ansia o della solastalgia di fronte all’esperienza della perdita o della distruzione di ambienti di vita o di specie a cui siamo legati. PoliticaLa scuola di Pioltello celebra la società aperta che non piace al governoNadia UrbinatipolitologaIl territorioPiù che mai, la questione dell’intreccio delle diverse dimensioni dell’esistenza – psichica, sociale, ambientale – diviene una necessità. Come creare nuovi spazi e reti di solidarietà che ci permettano di ristabilire legami tra umani e con gli altri esseri viventi? Come quindi prendersi cura dei “corpi-territori” che intessono le trame delle nostre esistenze più che umane?Perché non potremo superare i rapporti di dominazione tra umani senza allo stesso tempo curare gli ambienti di vita da cui dipendiamo. Proponiamo quindi di “fare scuola” dai territori di vita che abitiamo e che ci abitano (sensibilmente, psichicamente, a volte anche spiritualmente) o, detto in altri termini: di fare dei nostri territori di vita delle scuole terrestri.Di immaginare e inventare luoghi di condivisione e ospitalità in cui i soggetti umani possano aprirsi ai soggetti non umani, disegnando altri contorni relazionali, altri modi di fare comunità e di incorporare collettivamente i nostri legami terrestri: luoghi dove, da persone umane, diventiamo “persone terrestri” che richiedono cure e una giustizia restaurativa di ordine sociale e ambientale.Nuove pratiche in nuovi luoghi si stanno già mettendo in moto un po’ ovunque. Solo in Francia possiamo testimoniare di queste iniziative recenti: l’Ecole des tritons e la cura comunitaria alla Zad di Notre-Dame-des-Landes, il sindacato della montagna Limousine e il settore di cura psichica chiamato “psy psy” nella Creuse, le riprese di saperi e comunità terrestri, pratiche vernacolari e sensibili nell’ambito di un potenziale parlamento della “Loira” o di un Consiglio diplomatico di bacini idrografici per ripensare le nostre relazioni di co-affezione tra specie.Queste diverse sperimentazioni costituiscono altrettanti tentativi di inventare nuovi modi di abitare il mondo e accompagnare le trasformazioni esistenziali e collettive della nostra condizione terrestre.Da venerdì 5 a domenica 7 aprile Pesaro 2024 Capitale italiana della cultura ospiterà per la prima volta KUM! Festival, la kermesse creata e diretta dallo psicoanalista Massimo Recalcati e con il coordinamento scientifico del filosofo Federico Leoni, giunta alla sua VIII edizione.Il tema di quest’anno sarà La vita della scuola e proporrà un programma eclettico ricco di dialoghi, incontri e spettacoli dedicati al mondo dell’educazione e della formazione. Attraverso un viaggio culturale ed educativo KUM! porterà il pubblico a interrogarsi sul ruolo che la scuola ha nel panorama contemporaneo, dando la possibilità di riflettere sul futuro dell’educazione in Italia e nel mondo.© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediSophie Gosselin e David gé Bartoli
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