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Protezione Civile, diramata un'allerta meteo rossa per la SiciliaLo spettacolo “U.” di Alessandro Sciarroni a Bolzano Festival - Andrea Macchia COMMENTA E CONDIVIDI «Guardo la valle che nasconde il nostro bene / Sorridi e il cielo rosa sembrerà». Dalle montagne al palcoscenico riecheggiano canti che parlano di natura,trading a breve termine luce, solidarietà, perdono, dai valori antichi che si fanno sorprendentemente contemporanei. «Son parole che oggi sembrano indicibili» spiega ad Avvenire l’artista Alessandro Sciarroni, (limitativo chiamarlo coreografo) che è riuscito nell’impresa di toccare l’anima degli spettatori della 40ma edizione di Bolzano Danza mercoledì sera alla Casa della Cultura con la prima assoluta del suo nuovo spettacolo U.. Il prestigioso festival di danza contemporanea si chiuderà stasera concludendo l’esperienza decennale del direttore artistico Emanuele Masi che passa il testimone ai francesi Olivier Dubois e Anouk Aspisi.Alessandro Sciarroni, l’unico artista ad avere vinto il Leone d’Oro alla Biennale Danza di Venezia nel 2019, da buon esploratore di nuove meccaniche estetiche e di senso, si concentra sull’esplorazione della tradizione corale italiana dalla metà del secolo scorso ai giorni nostri, proponendo in scena alcuni canti celeberrimi come Fratello Sole, Sorella Luna di Riz Ortolani dal film su san Francesco di Zeffirelli, o ancora Signore delle Cime e Dormono le rose di Bepi de Marzi, e poi ancora i brani di Renzo Bertoldo, Piercarlo Gatti, Angelo Mazza e Giorgio Susana. Sciarroni dichiaratamente però vuole che ci concentriamo sulla profondità e la bellezza dei testi, per cui li fa interpretare a cappella a sette giovani cantanti-performer italiani con esperienze vocali e teatrali molto diverse che vengono a formare quindi un coro dal gusto contemporaneo, diverso dai classici e pur bellissimi cori alpini. A loro sono affidati silenzi e lentissimi movimenti coreografici fra un brano e l’altro che danno ieraticità alla performance, mentre essi si avvicinano sempre di più al pubblico guardandolo negli occhi e sorridendo. Alle spalle viene proiettato il titolo del brano, il nome dell’autore, l’anno di composizione (undici più un bis, sorprende quanto siano recenti) e un estratto della parte più poetica di ogni testo.Applausi e commozione al termine di quest’ora di bellezza e poesia concentrata. «Lo spettacolo nasce da un invito della Fondazione Cartier a co-curare un evento per cori con il musicista francese Alexis-Paul – aggiunge Sciarroni -. Per l’occasione abbiamo invitato diverse formazioni corali ad esibirsi a cappella negli spazi della Triennale di Milano e due gruppi mi hanno particolarmente colpito, il coro maschile Voci dalla Rocca di Piercarlo Gatti (autore di Rosa Camuna) e quello misto di bambini e adolescenti I Piccoli Cantori della Brianza. In quell’occasione ho scoperto parte di quel repertorio straordinario che non conoscevo». I canti scelti sono stati composti fra il 1968 e il 2019: un repertorio che affonda le radici nel secolo scorso e che si dirama sino ai giorni nostri. Precisa Sciarroni: «Oltreché dalla bellezza della musica e dalla semplicità, sono rimasto colpito dai testi, questi canti parlano di cose di cui oggi è molto difficile cantare. Perché parlano della relazione tra l’uomo e la natura, l’amore sacro, l’amore profano, raccontano valori quali la pietà, il perdono, la compassione. Narrano l’accettazione dei limiti umani rispetto al mistero dell’esistenza». U., che vede la collaborazione per gli arrangiamenti dei compositori Pere Jou e Aurora Bauzà, è prodotto da Corpoceleste_CC.00#, Marche Teatro e coprodotto da molte realtà italiane ed estere (fra cui appunto Bolzano Danza /Fondazione Haydn) e girerà sin da subito molto in Italia e all’estero. «Come artisti la tentazione sarebbe quella di parlare della distruzione, del cambiamento climatico, della guerra, invece ho provato a parlare dell’altro lato della medaglia, quello che abbiamo perso in questi anni, e se era possibile approcciare questi canti in maniera molto seria – spiega l’autore -. Ho provato di nuovo a credere a queste parole, perché uno ha un’idea della tradizione come qualcosa di statico e superato, invece è una tradizione assolutamente viva, scritta di recente, e che va ancora avanti. Abbiamo cercato di dare una voce a queste possibilità che da qualche parte stanno ancora in fondo dentro a noi».L’ispirazione del lavoro è chiaramente francescana, sin dal manifesto scelto per promuoverlo, il celebre affresco di Giotto della predica di San Francesco agli uccelli presente nella Basilica superiore di Assisi, per non parlare del brano di Ortolani. «Fratello Sole, Sorella Luna mi sono sentito autorizzato ad utilizzarlo perché molti cori lo interpretano – aggiunge -. Molti di noi lo hanno cantato in chiesa e sembra quasi impossibile collocarlo in uno spettacolo contemporaneo con un messaggio così semplice. Avevo paura di cadere nel sentimentale. Invece quando l’ho sentito cantare dai Piccoli Cantori della Brianza mi son detto “uao, è la cosa più trasgressiva che posso immaginare di fare”». Questo spettacolo affonda nella biografia personale di Alessandro Sciarroni: «Io ho un passato da giovane credente. Tra gli anni delle superiori e il primo dell’università, in un momento della mia vita in cui ero abbastanza perso, ho trovato conforto in un gruppo francescano, nei pellegrinaggi ad Assisi, nell’avvicinamento alla figura di questo santo straordinario» ci spiega. Il coreografo precisa come da adulto la fede abbia lasciato posto ad «un altro tipo di spiritualità nella danza, anche se questa radice è una cosa che da qualche parte è ancora presente». Perché, prosegue, da ragazzo «ho trovato dei valori forti nel messaggio cattolico in generale, ma specialmente in quello francescano: il rinunciare a tutto per curarsi dei poveri e dei lebbrosi ha un forte impatto su un adolescente. E poi erano gli anni in cui la Cavani fece quel bellissimo film con Mickey Rourke rendendo san Francesco pop e molto umano».Tantoché Sciarroni si è cimentato lui stesso nella scrittura di un toccante Cantico musicato da Bauzé-Jou, che è il bis in cui il coro canta “Per quelli che sopportano / per quelli che perdonano /per noi /per le creature della terra”. «Ho scritto il testo ispirandomi al Cantico delle creature di San Francesco – aggiunge -. Umilmente lo presentiamo, non c’era nessun tentativo di emulazione, è un sincero omaggio. Proviamo ancora a dire ancora quelle parole che oggi sembrano indicibili. La benedizione, il rendere grazie per chi è umile e per chi è povero. Per chi perdona e chi sopporta, che è difficilissimo. Si inserisce in questa tradizione di canti che ci raccontano una storia che è molto più antica di noi. Come un messaggio archetipico sull’essere umano, mi riconnette all’universo, alla storia dell’essere umano».
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