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Ucraina, arrivano gli F16, ma non importa più a nessuno

Dodici newsletter che forse vorresti ricevere nella tua casella emailSe la fiducia degli italiani si affida ai tarocchiNotizie di Politica italiana - Pag. 119

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O paghi o ti profilo: l'ultimatum di Facebook e Instagram può violare la leggeL’idea del sottosegretario Delmastro Delle Vedove di istituire un Gruppo di intervento operativo per sedare le rivolte in carcere non piace agli avvocati penalisti e ai sindacati della polizia penitenziariaChiedono che il decreto che istituisce il Gio,investimenti Gruppo di intervento operativo, e il Gir, Gruppo di intervento regionale, per sedare le rivolte nelle carceri, venga rivisto. Chiedono che si faccia un passo indietro o almeno si “modifichi” il documento che, firmato dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, stabilisce l’istituzione di questo nuovo reparto di polizia penitenziaria, che potrà operare anche negli Istituti penali minorili (Ipm).È attraverso una lunga lettera che la Camera penale di Roma – l’associazione degli avvocati penalisti – prende posizione nei confronti della “creatura”, anzi delle “creature” fortemente volute dal sottosegretario Andrea Delmastro Delle Vedove.«Il nuovo decreto sottrae risorse alla polizia penitenziaria, già numericamente del tutto inadeguata, per istituire nuovi corpi speciali per la repressione delle rivolte e per i quali prevede una formazione di soli tre mesi. Mentre davanti agli occhi scorrono le immagini terrificanti di Santa Maria Capua Vetere, di Reggio Emilia e dell’istituto minorile Beccaria di Milano, riteniamo che appaia indispensabile adottare strumenti che garantiscano l’assoluta trasparenza dell’operato delle forze dell’ordine soprattutto all’interno degli istituti di pena troppo spesso percepiti come luoghi di buio impenetrabile», si legge nel testo della Camera penale di Roma. FattiMancano gli agenti ma Delmastro sogna i Rambo francesiNello Trocchia«Garantire trasparenza»Se i Gio e Gir nascono dunque per «le emergenze che possono pregiudicare l’ordine, la sicurezza e la disciplina penitenziaria, oltre che per particolari eventi critici sotto il profilo della sicurezza», la stessa Camera penale ritiene che il gruppo speciale debba almeno «essere formato capillarmente al fine di fornire supporto psicologico e di attenuazione delle tensioni emotive». Evitare che questo personale «utilizzi quanto più possibile caschi, scudi e manganelli, strumenti che esasperano lo stato di sofferenze nelle carceri e producono sterile violenza», l’appello che suona come un grido d’allarme. Tra le richieste, ancora avanzate dalla Camera penale di Roma, anche l’utilizzo da parte dei Gio e dei Gir di body cam. «Questo – viene ribadito nel documento – per garantire trasparenza». Per evitare, in altre parole, che ciò che accade nelle carceri, resti nelle carceri.Sorvegliare e punireMa non finisce qui. Ciò che viene messo in discussione dalla Camera penale è anche il disegno di legge, ora in commissione Giustizia, in tema di «sicurezza pubblica, tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario». «Il disegno è caratterizzato da una visione carcerocentrica - scrive la Camera penale di Roma -. Prevede il reato di rivolta nelle carceri e soprattutto la rilevanza penale delle rivolte passive, quindi del dissenso e delle proteste pacifiche». Delitti punibili con pene fino a otto anni e che «renderebbero gravoso per chi li commette l’accesso ai benefici penitenziari e alle misure alternative».Un carcere, insomma, che sembra non allontanarsi dal Panopticon prospettato da Bentham, dove l’imperativo categorico è sorvegliare e punire. Secondo la Camera penale di Roma sottesa al disegno in questione «c’è una precisa volontà politica: quella di perseverare nella compressione dei diritti delle persone detenute trattandole come oggetto di controllo e di contenimento».E l’associazione di avvocati continua: «La nuova rete di norme vessatorie e sanzionatorie guarda al carcere come a un luogo di punizione e repressione che relega anche il dissenso nella sfera del penalmente rilevante esasperando la minaccia attraverso la previsione di limiti ostativi alla possibilità di reinserimento».Le criticità viste dagli agentiVoci contrarie ai nuovi gruppi nascenti – messi in campo dal Dipartimento di amministrazione penitenziaria e modellati sulle Eris francesi, le squadre di intervento e di sicurezza – arrivano anche dal sindacato Uil degli agenti penitenziari. Il suo segretario, Gennarino De Fazio, in una nota dichiara che il decreto di Nordio che istituisce i Gio «pur muovendo in direzione atta a garantire capacità ed efficacia d’intervento operativo al Corpo di polizia penitenziaria, non fa i conti con l’inadeguatezza degli organici e, puntando sulla repressione a discapito della prevenzione, rischia di rivelarsi un boomerang per la tenuta del sistema».E c’è di più. «Nella situazione attuale le donne e gli uomini del Gio e dei Gir verranno sottratti a organici già mancanti di 18mila unità e rischieranno di diventare come una palla di biliardo che schizza da una parte all’altra per tentare di fronteggiare le emergenze, che sono continue e investono tutto il territorio nazionale», spiega il segretario della Uilpa Polizia Penitenziaria.«Continuiamo a pensare che le emergenze e le criticità vadano soprattutto prevenute garantendo la vivibilità e la sicurezza delle carceri partendo da organici della Polizia penitenziaria e delle altre figure professionali sufficientemente formati e adeguati alle effettive esigenze pure di garanzia dei diritti contrattuali per gli operatori - conclude De Fazio nella nota - Puntare sulla repressione a danno della prevenzione potrebbe aumentare le già enormi difficoltà e portare al definitivo tracollo». I dati - dal numero di suicidi a quelli sul sovraffollamento - confermano. ItaliaViolenza in carcere, un poliziotto condannato: «Non sono un torturatore. Questo lavoro è diventato impossibile»Nello Trocchia© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediEnrica RieraNata a Cosenza nel 1991, giornalista. Una laurea in giurisprudenza e un diploma all’Accademia nazionale d’arte drammatica Silvio d’Amico. Un passato da redattore nei giornali locali. Collabora con il servizio cultura de L’Osservatore Romano.

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