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Consegnate da Mattarella le onorificenze per gli eroi covidL'azzardo online è un'insidia per i giovani - Archivio COMMENTA E CONDIVIDI Scommesse e lotterie sono “fonte di guadagno” per il 12% degli under 25 italiani. Lo dice un’indagine promossa da Esdebitami Retake,investimenti condotta da Nomisma, che è andata a frugare nelle tasche della generazione Z: insieme allo stipendio dei primi impieghi (li riceve il 57% del campione intervistato) e alla paghetta elargita da genitori e parenti (37%), sono spuntate anche le ricevute delle puntate. Ne esce un identikit contradditorio. Con un introito medio di 842 euro c’è poco da scialacquare. Infatti il 45% degli under 35 valuta bene un acquisto prima di farlo e ben l’87% pensa a risparmiare, magari sognando quel mutuo che tuttavia sa di non potersi permettere nei prossimi cinque anni. Però nel frattempo spreca risorse nell’azzardo. «Già, perché non è mai un gioco a vincere, ma sempre a perdere - riflette Francesco Butti, educatore della Fondazione oratori milanesi, invitato al convegno svoltosi ieri a Milano – Mi fa sorridere che alcuni giovani intervistati abbiano detto di guadagnare con le scommesse, perché piuttosto bisognerebbe capire quanto denaro perdono. Prendiamo il Gratta&vinci: incassi 5 euro e sei felice, ma in realtà riprendi solo quello che hai speso. Però pensi di essere fortunato, e giochi di nuovo, finendo col perdere. Non è nient’altro che un’illusione».Un miraggio di ricchezza facile che seduce tanti, anche perché è letteralmente a portata di mano. «In quel 12% - spiega Roberta Gabrielli, direttore marketing e business processes di Nomisma - ci sono soprattutto scommesse sportive effettuate tramite app». Un fenomeno che, sottolinea ancora Butti, è peggiorato durante il Covid, complici anche stress, ansia e senso di solitudine. «Se in pandemia l’azzardo in generale ha rallentato, è tuttavia aumentata la presenza online, anche per le ore forzosamente passate a casa. Attenzione però, non parliamo soltanto di scommesse vere e proprie, ma anche del cosiddetto pay to win, cioè quei videogame che chiedono di pagare per potenziare il personaggio e poter avanzare di livello. Non si guadagna nulla, ma in compenso ci si abitua alla mentalità del giocare con il denaro. Senza contare che durante il lockdown si era sviluppata una rete per consentire le scommesse anche ai minorenni, con ritiro delle puntate e consegna delle vincite affidate a dei veri e propri rider».Secondo Butti, che con Diocesi e Caritas di Milano ha lavorato a fondo sul tema, chi gestisce l’azzardo porta avanti una vera e propria opera di formazione, subdola e capillare. Una sorta di investimento a medio termine, lungimirante, visto che i giovani saranno i potenziali ludopatici di domani. «Sulle piattaforme ci sono influencer che si riprendono mentre puntano - fa notare Butti -. E in diretta streaming danno consigli sulle scommesse da effettuare, utilizzando un linguaggio ben preciso, che è entrato nel gergo giovanile. In questo modo i ragazzi assimilano meccanismi e dinamiche. Il risultato è che l’azzardo non è percepito come un problema, esattamente come tutte le altre dipendenze. Il concetto è sempre lo stesso: smetto quando voglio. Peccato non sia così». Lo sdoganamento è pressoché totale, ogni limite sembra saltato. «Una volta l’azzardo era avvolto in una dimensione di proibito - aggiunge Nicola Ferrigni, sociologo e docente del Link Campus University di Roma - che in qualche modo faceva da freno agli eccessi. Era una cosa per pochi, pensiamo per esempio alla classica bisca. Invece ora è tutto molto più facile e immediato, perché passa dal sesto dito, cioè lo smartphone. Siamo sempre attaccati allo schermo, che ci cattura con la prospettiva di guadagni immediati. L’azzardo non appare più nemmeno tale, perché si maschera sotto la forma del gioco. Ne consegue una mancanza di consapevolezza del rischio, non c’è più alcun tipo di filtro. Credo che la realtà sia anche peggiore di quanto emerso dal sondaggio: se andassimo a chiedere quante volte un giovane scommette, otterremmo percentuali molto elevate». Un allarme che suona in maniera sempre più insistente. «Sì, perché ormai si tratta di un bisogno compulsivo. Tanti non ne possono più fare a meno».Come uscirne? Forse aggrappandosi alla famiglia: secondo l’indagine Nomisma, resta il punto di riferimento anche per quanto riguarda i consigli di natura finanziaria. «Ci pensa papà a tenere d’occhio le spese» ha ammesso una studentessa intervistata. E sono sempre i genitori a metterci una pezza quando i figli non arrivano a fine mese: il 62% chiede un aiuto per coprire le spese, percentuale che sale al 72% nel caso di chi ancora non lavora. Il pericolo è che l’azzardo crei altri “buchi”, caricando ulteriori fatiche sulle spalle delle famiglie..

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