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Eolo Alberti finisce sotto inchiestaRuggero Tita e Caterina Banti in gara - Ansa COMMENTA E CONDIVIDI Acqua e sale,analisi tecnica Ruggero e Caterina l’hanno fatto ancora. Un uomo e una donna sulla stessa barca, così uguali e così diversi. Mai però travolti da un insolito destino. Perché il loro è sempre lo stesso. Oro a Tokyo, oro anche ieri a Marsiglia, succursale marina di Parigi. Stessa Olimpiade, a 770 km dalla fiamma però, perchè la Senna – per fortuna - era già intasata, di batteri e di bracciate. Ruggero Tita al timone, Caterina Banti a prua: sono i primi, e saranno probabilmente i soli, a confermare tra gli azzurri la medaglia più preziosa vinta tre anni fa ai Giochi giapponesi. Con la loro barca hanno scritto un’altra pagina storica nel libro della vela italiana. Nacra 17 si chiama la categoria del catamarano volante scelto dalla Federazione Internazionale per l'equipaggio misto. Una categoria che loro dominano da anni, anche oltre le Olimpiadi, con tre Mondiali di fila vinti dal 2022 a oggi. Lui trentino, lei romana. Quando non sono in barca insieme, stanno in luoghi diversi, frequentano pensieri e persone diverse. Possibile? La gente resta stupita quando lo dicono, come se fosse obbligatorio vivere insieme per abitare lo stesso vento. Ma Tita-Banti è una specie di sigla, un binomio che dura. Spiega Caterina: «Che fossimo l’equipaggio giusto io e Ruggero l’abbiamo capito subito, già dalla prima volta. Entrambi eravamo legati ad altri, quindi scioglierci non è stato facile, avevamo contro tutti. E questo ci ha anche spinto a dare sempre il meglio, a dimostrare che il divorzio dai rispettivi partner sportivi non era insensato».La loro vittoria era la più annunciata di tutta la spedizione azzurra. Troppo forti, troppo superiori. La Medal Race, la regata finale, era prevista mercoledì, poi rinviata per condizioni di vento: con i risultati precedenti bastava un settimo posto per l’oro. L’argento, invece, era già assicurato. Sono arrivati secondi ieri, dietro alla Francia. Aria quasi a zero, ma cambiava poco: Tita-Banti, vanno letti così insieme, come fosse un nome solo, perché in mare diventano una persona sola, sono abituati ad adattarsi, e a vincere in ogni condizione. Ogni tanto, ammettono, in barca litigano. Poi un’ora dopo nemmeno se lo ricordano. Il Coni li ha insigniti del Collare d'oro per meriti sportivi nel 2018, nel 2021, nel 2022 e nel 2023: manca solo quello di quest'anno, ma è scontato che arrivi.Un homme e una femme ai Giochi francesi, Claude Leluc sarebbe felice. Lei del Sud, lui del Nord. Lei, laureata in Storia e Civiltà dell'Oriente e del Mediterraneo con tesi in Islamistica: chi la conosce dice che è precisa, esigente. E insopportabile, perché riesce bene qualunque cosa faccia. Lui, ingegnere informatico: più che vivere è uno che funziona. Sciava bene, poi l’hanno portato sul lago di Caldonazzo: ha scoperto il vento e non l’ha lasciato più. Caterina davanti, a fare il lavoro sporco. Ruggero dietro, a scegliere la strada. Con ruoli così slegati dal genere imperante: lei a fare il lavoro di fatica, lui quello di concetto. I muscoli della donna, la testa dell'uomo. «Uno prende il meglio dell’altra e viceversa, ci completiamo a vicenda. Non è facile da capire, ma una volta compreso io faccio il massimo, tutta la mia esperienza è a disposizione della squadra. Dove non arrivo io, arriva di certo lui».Tre anni fa l'Italia si scoprì vincente e diversa in mare. Una donna che oggi ha 37 anni e un uomo di 32, una coppia mista, facevano una cosa stranissima: andavano d'accordo in nome di una barca a vela. Che poi barca non rende l’idea. Lunga 5,25 metri, larga 2,59, pesante 141 kg appena. Ha un albero rotante in carbonio, randa steccata e fiocco autovirante. Qualunque cosa voglia dire. Roba per esperti, a noi piacciono di più loro due. E quello che rappresentano, la coppia che non scoppia. «Anche se magari a terra ti scopri l'opposto di quello che sei in mare: disordinato lui, ordinata io», spiega Caterina. Gareggiano rispettivamente per la Guardia di Finanza e per il Circolo Canottieri Aniene. Tita, classe 1992, entra a far parte della squadra olimpica nel 2009. L’Olimpiade è solo una tappa sulla mappa. Lui è il tattico, quello che annusa il vento: oggi partirà per la Spagna, sarà uno dei timonieri di Luna Rossa in Coppa America. Banti, classe 1987, inizia invece sulle derivate, soprattutto il Laser, per scoprire in seguito il mondo dei multiscafi e fare coppia stabile con Ruggero sul Nacra foil. Caterina dopo l’oro di Tokyo si sfogò così: «Il mio ruolo è molto fisico: sono dovuta ingrassare dieci chili, ho preso botte ovunque, ginocchia, rotule, menischi, mi sono lacerata il bicipite. C’è anche l’aspetto mentale, devi vincere le tue paure, ti devi mettere in discussione. Un oro e tanti altri successi dovrebbero dimostrare che anche gli equipaggi misti funzionano. Il mondo va avanti, invece per le donne la vela è ancora un mondo chiuso. Qualcuno pensa ancora che in barca portino sfortuna: lo dicono scherzando, ma un po’ ci credono. Mi scrivono ragazzi che mi hanno conosciuta quando ero loro istruttrice e mi fa piacere. Così come vedere più ragazze che vanno in barca. Ma il progresso si ferma lì, la mentalità resta ottusa».Il loro, nel momento in cui scriviamo, è il decimo oro della spedizione italiana in questi Giochi. Dieci come a Tokyo, con tre giorni di anticipo sulla conclusione. Missione compiuta, con la prospettiva di fare pure meglio. Alla fine con le gambe in acqua a dieci metri dalla spiaggia, Tita e Banti hanno abbracciato la coppia inglese Gimson- Burnett, squalificata per falsa partenza quando avevano già l’argento in tasca: «Siamo amici, ci siamo allenati insieme in Sicilia, tra noi c'è rispetto. Erano in lacrime, ci tenevano molto alla medaglia, abbiamo pianto insieme. Lo sport è questo: sapere che arrivi primo, ma che il tuo tragitto lo hai fatto con altri, che si sono dannati come te», ha spiegato Caterina. Bravi, sportivi, trasparenti, cannibali della vela. Se non ci fosse il vento, dicono in Cina, il cielo sarebbe pieno di ragnatele. Ieri c’erano loro due a Marsiglia su una barca a vela. E il cielo era sereno.
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