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Stato di emergenza, Boccia: “Il PD è per la proroga, entro fine anno deve essere annunciata”L'iniziativa di Domani,analisi tecnica Libération, Tagesspiegel, El Confidencial, Hvg, Gazeta Wyborcza, Delfi, Balkan Insight e n-ost vuole vitalizzare il dibattito pubblico e la democrazia europea. La quarantottesima puntata racconta le reazioni europee agli attacchi a Israele e a Gaza. La newsletter paneuropea esce ogni mercoledì ed è gratuita. Iscriviti Eccoci di nuovo insieme, Europa! Siamo alla quarantottesima edizione dello European Focus! Sono Michał Kokot, il caporedattore di questa settimana, e ti scrivo da Varsavia. Ci scioccano, le immagini e le notizie provenienti dal Medio Oriente. L’attacco dei terroristi di Hamas, che hanno rapito e ucciso civili israeliani, ha portato alla morte di oltre 1300 persone. Molte sono ancora disperse. Nel contributo del nostro collega slovacco, Mirek Tóda, leggerai la storia di un sopravvissuto all’Olocausto che ha quasi perso la propria famiglia in Israele durante l'attacco di Hamas. Terribile che la violenza generi violenza. A causa del massacro di Hamas e della rappresaglia di Israele, patiscono i civili a Gaza. La Commissione europea sta valutando come aiutare gli abitanti della Striscia, ma incontra resistenze tra le proprie fila, come ci riferisce la nostra collega Viktoria Serdült, che da Budapest racconta il pasticcio di un commissario Ue ungherese... Nei paesi baltici la guerra sta anche sollevando il timore che il mondo possa dimenticarsi dei russi che spargono sangue in Ucraina. Gli stessi ucraini sono solidali con gli israeliani e riescono a percepire il fatto che stiano vivendo una devastazione simile alla loro. Parlarne tra europei, invece che ognun per sé, è fondamentale: ti invitiamo a immergerti nella lettura della newsletter di questa settimana. Michał Kokot, il caporedattore di questa settimana EuropaNove media creano un appuntamento settimanale per il dibattito europeoFrancesca De Benedetti STORIA DI UN SOPRAVVISSUTO ALL’OLOCAUSTO E A HAMAS Naftali (Juraj) Fürst. Foto: Martin Korčok/Museo dell’olocausto a Sered BRATISLAVA - Quando i terroristi di Hamas si sono infiltrati nel kibbutz di Kfar Aza in Israele, Mika, suo marito e suo figlio di due anni e mezzo si sono nascosti in un rifugio. Nel loro villaggio, gli aggressori di Hamas stavano già uccidendo la gente. Fuori, la famiglia israeliana ha sentito gli spari e ha perso i contatti con i propri cari per ore. Uno di costoro era il nonno novantenne di Mika, Naftali (Juraj) Fürst. Nella relativa sicurezza della sua casa a Haifa, nel nord di Israele, il 6 ottobre 2023 l’uomo ha vissuto un nuovo incubo che ha riportato in vita i suoi ricordi dell’Olocausto. Soprannominato Ďurko, all’età di sei anni in Cecoslovacchia ha scoperto di essere un ebreo perennemente in fuga. I suoi genitori sono stati cacciati dal loro appartamento di Petržalka, un sobborgo di Bratislava occupato dal Terzo Reich. In seguito, lui e la sua famiglia hanno subìto le persecuzioni del regime fascista slovacco di Tiso e sono stati tenuti prigionieri in quattro campi di concentramento. Tuttavia, il piccolo Jurko è stato fortunato ed era fortemente determinato a vivere. Più tardi è partito per Israele, dove è stato testimone di otto guerre. Ma nulla lo aveva preparato all’ultimo Shabbat, la festa della pace del 7 ottobre. Per lunghe ore si è preoccupato se la sua famiglia sarebbe sopravvissuta. «Abbiamo legato la porta del rifugio con il cavo di un telefono, in modo che i terroristi non potessero aprirla dall’esterno», ha detto a Fürst la nipote. «Avevamo molta paura. Avevamo i coltelli in mano, nel caso i terroristi avessero fatto irruzione». Per tutto il tempo non hanno avuto idea di cosa stesse succedendo fuori. L’israeliano nato a Bratislava sostiene che non dovremmo paragonare l’attuale guerra contro Hamas all’Olocausto. «È terribile e doloroso, ma non è la Shoah», ha detto. «Nonostante tutto, abbiamo un esercito, anche se non è riuscito ad agire correttamente. Questa catastrofe è durata poche ore, non si può paragonare all’Olocausto». Mirek Tóda dirige la redazione Esteri di Denník N IN GERMANIA LE PAURE SI RISVEGLIANO Marina Chernivsky. Foto di Benjamin Jenak / Veto Magazin BERLINO - "Il senso di sicurezza del popolo ebraico in Germania sparirà per molto tempo", ha detto Marina Chernivsky, direttrice del centro di consulenza sulla violenza e la discriminazione antisemita dell’Ofek. Dopo il massacro di 1300 persone in Israele da parte di Hamas, il 7 ottobre, gli episodi di antisemitismo a Berlino sono aumentati drasticamente. Il giorno degli attacchi, gli attivisti di Samidoun, un gruppo legato all’ organizzazione terroristica palestinese Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (Fplp), hanno festeggiato per le strade della capitale e hanno distribuito dolci nel distretto di Neukölln, dove vivono molte persone di origine araba. Nei giorni successivi, centinaia di persone si sono radunate gridando slogan anti-israeliani, come ad esempio: “Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera”. Venerdì scorso, mentre Hamas invocava un’azione globale, le scuole ebraiche di Berlino sono rimaste quasi vuote. Durante il fine settimana, diverse case di Berlino sono state marchiate con le stelle di David. È stata anche bruciata una bandiera israeliana. L’antisemitismo è un problema che attraversa la società tedesca. Secondo un recente studio, il 15,4 per cento dei tedeschi è d’accordo con la frase: “Prendendo in considerazione la politica di Israele, posso facilmente capire come sia possibile avere delle obiezioni contro gli ebrei”. Il 24,2 per cento è parzialmente d’accordo. Teresa Roelcke è cronista di Tagesspiegel L'UNIONE FA LA FORZA. MA L'UE SI MOSTRA DISUNITA... Charles Michel e Ursula von der Leyen partecipano alla commemorazione davanti all'Europarlamento. Foto Ue BUDAPEST - Venerdì scorso, quando il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha ricevuto la notizia di una manifestazione programmata a sostegno di Gaza a Budapest, l’ha vietata all’istante. «A nessuno è consentito organizzare manifestazioni che promuovano la causa di organizzazioni terroristiche, perché ciò costituirebbe di per sé una minaccia di terrorismo», ha detto Orbán. Per una volta, le azioni di Orbán non sono rimaste isolate. Manifestazioni filopalestinesi e pro-Hamas sono state vietate o interrotte dalla polizia anche in altre città europee. Ma l’Unione europea come istituzione si trova ancora di fronte a un dilemma. Sebbene sia per lo più unita ed efficace nel proprio sostegno all’Ucraina contro l’aggressione russa, le sue dichiarazioni sul conflitto israelo-palestinese sembrano essere più complicate. Mentre i leader dell’Ue dimostrano piena solidarietà con Israele e sostengono il diritto del paese a difendersi, alcuni sottolineano quanto sia importante fornire aiuti umanitari urgenti a Gaza e necessario rispettare il diritto internazionale. Le divergenze sono iniziate ad emergere giorni dopo l’irruzione in Israele dei terroristi di Hamas, che hanno ucciso 1300 persone. Il lunedì seguente il commissario europeo per l’allargamento, l’ungherese Olivér Várhelyi, ha annunciato la sospensione immediata degli aiuti Ue a Gaza, apparentemente senza consultare i propri colleghi. Dopo che ciò ha provocato un trambusto, la Commissione ha risposto con una smentita e poi triplicando i fondi per l’assistenza umanitaria, portandoli a 75 milioni di euro. Anche la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, è stata criticata per non aver parlato delle conseguenze umanitarie degli attacchi di ritorsione israeliani durante la sua visita nel paese. «Ha semplicemente detto che Israele ha il diritto di difendersi, punto. Questa non è la linea concordata dagli stati membri», ha dichiarato un diplomatico a Politico. Anche i singoli stati membri sono divisi sull’argomento, mentre Austria e Germania tagliano gli aiuti ai palestinesi. Non è la prima volta che le divisioni tra i 27 stati membri rispecchiano i sentimenti presenti nelle diverse società europee. In effetti, l’invasione dell’Iraq guidata dagli Stati Uniti nel 2003 aveva causato una rottura molto più profonda in Ue. Ma se l’Unione europea vuole essere all’altezza dell’idea che “l’unione fa la forza”, c’è ancora un po’ di strada da fare. Viktória Serdült è giornalista di HVG LE DIVISIONI CHE AUMENTANO... Marko Mihkelson. Foto di Kiur Kaasik / Delfi Estonia TALLINN - Friedrich Marko Mihkelson presiede la commissione Affari esteri nel parlamento estone. Secondo lui il prevedibile attacco delle forze di terra israeliane contro Hamas a Gaza renderà più profonde le divisioni in Europa. Si specula molto sul fatto che la guerra Israele-Hamas potrebbe distogliere l’attenzione dell’Occidente dall’aiuto fornito all’Ucraina nei combattimenti contro la Russia. Quanto la preoccupa la questione? Dipende dall’ulteriore corso della guerra Israele-Hamas e dalla sua possibile escalation. Se dovesse allargarsi e coinvolgere Hezbollah e l’Iran, il conflitto si potrebbe potenzialmente sviluppare fino a incidere sulle relazioni globali. È nell’interesse della Russia legare l’opinione pubblica statunitense a Israele il più a lungo possibile per distoglierne l’attenzione dal ruolo centrale dell’Ucraina. Con quali effetti sulla sicurezza dei paesi baltici? La guerra in Israele è innegabilmente legata alla guerra in Ucraina. È nell’interesse della Russia accendere proprio ora nuovi fuochi in diversi punti caldi del mondo per sviare l’attenzione degli Usa e dei paesi occidentali. Il prevedibile attacco delle forze di terra israeliane contro Hamas a Gaza renderà più profonde le divisioni in Ue. Le nuove potenziali pressioni migratorie sull’Europa possono esacerbare la polarizzazione politica, e lo faranno. Tutto ciò indebolisce la capacità degli alleati occidentali di assumere una posizione strategica forte e unificata, il cui obiettivo principale sia quello di sconfiggere la Russia. Se non si riesce a respingere strategicamente la Russia, è a rischio anche la sicurezza dei paesi baltici, dunque di tutta la Nato. Holger Roonemaa è a capo della sezione inchieste di Delfi I TRAUMI DI GUERRA UNISCONO LE NAZIONI KIEV - Questa foto, che rappresenta un graffito con la parola “insieme” in ebraico e in ucraino, accompagnata dagli stemmi di entrambe le nazioni, è recentemente diventata virale in Ucraina. È stata pubblicata da Yigal Levin, ex soldato israeliano e giornalista ucraino, e ha raccolto migliaia di reazioni positive. Gli ucraini sono in grado di identificarsi con gli israeliani: l’attacco di Hamas è stato tanto sconsiderato e violento nei confronti dei civili quanto l’invasione russa su vasta scala. Sia Hamas che la Russia vogliono annientare lo stato che hanno attaccato. L’anno scorso alcuni funzionari e cittadini ucraini hanno espresso il proprio disappunto per la reazione di Israele a quella che gli ucraini considerano una guerra genocida. Ci si aspettava che gli israeliani, che pure si trovavano a dover affrontare minacce esistenziali, avrebbero generosamente sostenuto Kiev con le armi, come il sistema di difesa aerea Iron Dome. Ma la reazione di Tel Aviv è stata tiepida, dal momento che Israele ha sostenuto di non voler mettere in discussione l’equilibrio traballante nella regione del Medio Oriente. Ora che la guerra ha fatto ritorno sia in Medio Oriente che in Ucraina, entrambe le nazioni si sono avvicinate. Nei social media israeliani ora ci sono molti segnali di sostegno all’Ucraina. Anton Semyzhenko si occupa della sezione in lingua inglese di Babel.ua Qual è la tua impressione su questo tema? Ci piacerebbe riceverla, alla mail collettiva [email protected] se vuoi mandarcela in inglese, oppure a [email protected] Alla prossima edizione! Francesca De Benedetti (Versione in inglese e portale comune qui; traduzione in italiano di Marco Valenti) EuropaNine European Media Outlets Launch Unique ‘European Focus’ CollaborationFrancesca De Benedetti© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?Accedia cura di Francesca De Benedetti Scrive di Europa ed Esteri a Domani, dove cura anche le partnership coi media internazionali, e ha cofondato il progetto European Focus, una coproduzione di contenuti su scala europea a cura di Domani e altri otto media europei tra i quali Libération e Gazeta Wyborcza. Europea per vocazione, in precedenza ha lavorato a Repubblica e a La7, ha scritto per The Independent, MicroMega e altre testate. Non perdiamoci di vista: questo è il mio account Twitter

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