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Caporalato, la vittoria di Balbir: «Giustizia per tutti gli sfruttati»Fotogramma COMMENTA E CONDIVIDI Altro che misure alternative: con il “decreto svuota carceri” in via di approvazione da parte del Parlamento,analisi tecnica esiste il rischio che le strutture residenziali di recupero e reinserimento sociale dei detenuti si trasformino in una specie di “piccole prigioni private” dove finire di scontare la condanna. Nessuna risposta concreta, cioè, al sovraffollamento degli istituti, nessun paso avanti rispetto alla necessità, imposta dall’articolo 27 della Costituzione, che la pena abbia sempre una finalità emendativa.«Che differenza c’è tra l’attuale sistema di assistenza, cura e accompagnamento delle persone in stato detentivo, presente in Italia da circa 40 anni, e quell’elenco speciale delle Comunità da accreditare previsto dall’articolo 8 del provvedimento?», si chiede la presidente del Cnca (Coordinamento nazionale delle Comunità di accoglienza), Caterina Pozzi. «Si vogliono forse riproporre spazi simili ai Centri di permanenza per i rimpatri degli immigrati, che sono dei veri e propri luoghi di segregazione e come tali, disumani?». La denuncia del Cnca è arrivata sul tavolo del ministro Guardasigilli Carlo Nordio attraverso un articolato documento nel quale si spiegano dubbi e perplessità dell’associazione rispetto alle “misure urgenti in materia penitenziaria” contemplate nel provvedimento voluto dal governo e che fra qualche ora sarà legge dello Stato. Nel mirino del Coordinamento, che riunisce 240 organizzazioni del Terzo settore impegnate in progetti di intervento sociale tra cui anche il recupero dei detenuti, l’articolo 8 del decreto legge. «Di cosa stiamo parlando? Si tratterà di un’implementazione della rete esistente o di una lista alternativa di comunità accreditate? A quale tipologia di strutture si fa riferimento?». Se l’intento è quello di definire una nuova rete con spazi che ospitino indistintamente tutte le persone, a prescindere dai singoli bisogni, commenta Pozzi «si scardinerebbe il sistema pubblico-privato che garantisce interventi socio-sanitari specialistici, a favore di situazioni probabilmente con più alto numero di utenti, fuori dal sistema a gestione completamente privata di cui non sono chiare le finalità né le modalità di intervento e custodia». C‘è, inoltre, il problema dei finanziamenti e delle risorse economiche da destinare al nuovo sistema: il decreto, infatti, non ne prevede.«La situazione delle carceri è grave e richiede decisioni coraggiose – rileva il Cnca – e noi mettiamo a disposizione la nostra esperienza e capacità di gestione di housing sociali ai quali possano accedere i detenuti che ne abbiamo diritto, con l’attivazione di progetti condivisi con le risorse presenti nei vari territori». Per questo l’associazione delle Comunità di accoglienza guarda con interesse alla proposta di legge presentata alla Camera (la n. 1.064) per l’istituzione delle Case territoriali di Reinserimento sociale che potrebbero diventare «un perno per la realizzazione di programmi di riabilitazione e reinserimento sociale, lavorativo e formativo, oltre che eventuali percorsi di giustizia riparativa».Ma non si nascondono le difficoltà. «Nella classe politica del nostro Paese – conclude la presidente del Cnca – c’è una tendenza ad affrontare problematiche sociali attraverso il ricorso a norme penali, come è stato fatto con il cosiddetto “decreto sicurezza”, e così ci ritroviamo, per esempio, gli istituti minorili sovraffollati come mai prima d’ora, e quando il sociale non trova risposte concrete e diventa solo detenzione, la conseguenza inevitabile è appesantire l’uno e l’altro, senza risolvere i problemi alla radice».
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