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Morta di meningite a 27 anni, il padre: "Vogliamo giustizia"Ansa COMMENTA E CONDIVIDI Sono 458 le inchieste contro il caporalato e lo sfruttamento dei lavoratori aperte dal 2016,investimenti quando venne approvata la legge 199 che ha permesso alle forze dell’ordine e alla magistratura di colpire più efficacemente questo gravissimo fenomeno. Ma neanche il Covid ha bloccato lo sfruttamento. Nel 2019 le inchieste erano 219, negli ultimi due anni «il fenomeno è cresciuto in maniera esponenziale», più di cento inchieste all’anno. È quanto si può leggere nel Rapporto del laboratorio "Altro diritto"/Flai-Cgil sullo sfruttamento lavorativo e sulla protezione delle sue vittime. "Altro diritto", centro di ricerca interuniversitario coordinato dal professor Emilio Santoro, ha monitorato e analizzato tutte le inchieste, facendo emergere molte e clamorose caratteristiche.In primo luogo è emerso come lo sfruttamento sia diffuso non solo al Sud. Sono 138 i procedimenti di Procure del Nord, 138 al Centro e 182 al Sud. E quelli al Nord aumentano. Nel 2017 su 25 casi di sfruttamento, 13 riguardavano il Sud, 9 il Centro e solo 3 il Nord. Nel 2020 le proporzioni si sono invertite: su 127 inchieste, ben 45 riguardano il Nord, a fronte di 41 al Centro e altrettante al Sud. Altro elemento importante, e sicuramente non positivo, è che sono solo 49 su 458 i casi in cui gli autori del fatto vengono individuati grazie ad una segnalazione dei lavoratori.«Analizzando le inchieste attivate in base a una denuncia – si legge nel rapporto –, emerge che si concentrano in territori ove sono presenti sistemi di collaborazione tra le Procure ed altri attori o enti del territorio che, molto spesso, hanno intercettato situazioni problematiche e veicolato le segnalazioni dei lavoratori». È, ad esempio, il caso di Foggia e Prato, due Procure particolarmente attive, in stretta collaborazione con associazioni e sindacato. Il 74% dei procedimenti coinvolgono solo stranieri extra Ue ma, denuncia il Rapporto, «sono in crescita le condotte di sfruttamento a danno di italiani o di minorenni».Sono 58 i procedimenti in cui, tra i lavoratori, vi è anche manodopera italiana, con un «aumento sconcertante». Dopo essere state pochissime nei primi anni, queste inchieste dal 2018 si assestano tra le 10 e le 15 l’anno. E c’è un ulteriore «dato allarmante». Sono ben 15 le inchieste in cui vi sono vittime minorenni, e oltre la metà si riferisce agli ultimi due anni. Effetto pandemia. «A fronte di un aumento della disoccupazione, molte famiglie si sono trovate a sperimentare una situazione di povertà, aggravata dal non sempre agevole accesso agli ammortizzatori sociali». Inoltre c’è «una correlazione con la chiusura delle scuole ed il bisogno, proprio di molti nuclei familiari, di accedere ad ulteriori fonti di reddito».Le inchieste che riguardano lo sfruttamento in agricoltura sono ancora quelle numericamente più rilevanti, 220 su 458, ma se si analizzano i dati ci si accorge che, a partire dal 2019, la proporzione con quelli di altri settori è cambiata: fino al 2018 più della metà si riferiva al settore agricolo, a partire dal 2019 sono un po’ meno della metà. Le inchieste sull’agricoltura sono prevalentemente al Sud, non così per gli altri settori. Troviamo 12 casi di attività di volantinaggio distribuiti tra il Centro ed il Nord, 13 su addetti a distributori di benzina o autolavaggi, 19 nella logistica o nei trasporti. Gran parte delle inchieste sul settore dell’industria riguardano la manifattura tessile e imprenditori cinesi (35 inchieste).Numericamente consistenti sono pure le inchieste relative alla lavorazione del pellame su scala industriale e la cantieristica navale. Ma troviamo anche il settore metalmeccanico, la lavorazione di bancali e quella di materiale plastico, e perfino la produzione di mascherine e l’installazione e realizzazione di pannelli fotovoltaici. Tra i lavoratori extra-Ue si registra un maggiore coinvolgimento di stranieri regolarmente soggiornanti.Le persone richiedenti la protezione internazionale rappresentano le vittime perfette dello sfruttamento. «Sono persone regolarmente soggiornanti sul territorio, con le quali si può stipulare un contratto ma, al tempo stesso, dallo status sia giuridico che sociale fragile. Sono fragili giuridicamente perché il titolo di soggiorno è in perenne rinnovo, di sei mesi in sei mesi; socialmente perché l’accoglienza negli appositi centri deve venire meno se conseguono un reddito superiore all’assegno sociale, pari a 5.983,64 euro, previsione che li spinge ad accettare che il contratto non corrisponda alla realtà del rapporto di lavoro». Dati che confermano «una tendenza, definita "profughizzazione" dello sfruttamento lavorativo».
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