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Nel suo "quadro mediale" Coltro usa lo schermo come la telaC'è un giovanissimo ladro dagli occhi tristi e profondi,analisi tecnica e non importa se a essere rubata non è una bicicletta ma un cane. Poi c'è la grandissima povertà, c'è l'essere rimasti orfani, c'è quell'infanzia finita troppo presto o forse mai cominciata in nome di un lavoro duro come quello dello sciuscià. E non importa se la città è la Paz in Bolivia e non è Roma, il richiamo a Vittorio De Sica seppur da così lontano prende il cuore. Arriva in concorso e in anteprima al festival di Giffoni (e nelle sale in autunno) il film El Ladrón de perros (Ladro di cani) del cileno Vinko Tomicic, dopo essere stato presentato in anteprima mondiale al Tribeca Film Festival a New York e sempre in concorso al festival di Guadalajara in Messico. "Sono felice di essere a Giffoni e molto soddisfatto che per realizzare questo film sulla vita di un adolescente orfano boliviano - dice all'ANSA Tomicic - si siano uniti ben sei paesi differenti. Ringrazio i sei produttori che da Bolivia Cile Messico Ecuador Francia e Italia (con la Movimento Film di Mario Mazzarotto con Francesca van der Staay) hanno creduto nel film, è bello quando una storia diventa universale e può dialogare con diversi paesi e diverse culture. Questo è l'eccezionalità del cinema!". "Il mio - dice il regista - è in qualche modo un omaggio al cinema di De Sica e al neorealismo. Conoscevo De Sica di fama ma non avevo visto Ladri di biciclette se non durante il montaggio del film. Ora, dopo averlo visto, posso dire che ne sono rimasto folgorato e posso aggiungere che il mio film è un omaggio involontario al suo lavoro, perché il suo cinema fa parte del nostro immaginario collettivo. In principio il film si sarebbe dovuto chiamare "Perros" (cani) ma dopo aver visto Ladri di biciclette ho deciso di cambiare il nome. Il Neorealismo che oggi in Italia sembra così lontano, nel mio paese è del tutto attuale. Fare film indipendenti in America Latina oggi ha senza dubbio una molteplicità di connessioni naturali con quello che è stato a suo tempo il Neorealismo". El Ladrón de perros è l'opera seconda di Vinko Tomicic, classe 1987, che racconta la vita dell'orfano Martín nel suo peregrinare per le labirintiche strade di La Paz, che divengono metafora delle sfide che il giovane protagonista (Franklin Aro Huasco per la prima volta sullo schermo scelto con una ricerca specifica nella comunità dei lustrascarpe) deve affrontare. Tomicic ha già annunciato che il giovane "sarà protagonista del suo prossimo film, un road movie lungo la cordigliera andina". Nel cast anche Alfredo Castro, volto iconico del cinema latinoamericano. A La Paz tutte le mattine, Martín, lustrascarpe di professione, cammina percorrendo i ripidi vicoli verso il centro della città. L'infanzia è per lui un lontano ricordo e, come tutti i suoi colleghi, indossa un passamontagna per nascondere il viso. Condivide una stanza con l'amico Sombras, suo compagno di sventure, entrambi ospitati di nascosto nella casa di una anziana aristocratica grazie al sostegno della domestica. La loro condizione è precaria e il suo animo tormentato dal desiderio di una vita migliore ma la sua sofferenza maggiore è legata al fatto di non avere genitori. Nella sua immaginazione, intrisa di speranza pensa che uno dei suoi clienti migliori, il signor Novoa, sia suo padre. L'uomo è un sarto solitario molto devoto al suo pastore tedesco, Astor, che tratta come un figlio. Martín escogita un piano: rubare Astor per avvicinarsi al signor Novoa, con la speranza di ottenere finalmente il riconoscimento paterno. Riproduzione riservata © Copyright ANSA
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