File not found
analisi tecnica

“Un mondo a parte” di Riccardo Milani: i buoni sentimenti dell’Italia dei giusti, marginale ed eroica - Tiscali Notizie

Strage di Bologna, De Angelis nega la responsabilità dei condannatiIgnazio La Russa, lo staff: "Basta speculazioni politiche su Leonardo Apache"1/ Deposito scorie nucleari. La giravolta del governo dà il via al suk delle autocandidature ingiustificate - Tiscali Notizie

post image

“Al lupo, al lupo”. Quando il test per un allarme nucleare rischia di lasciarci indifesi a tutto - Tiscali NotizieC’è da sfatare un mito: lo stato ebraico non è per nulla una sorta di risarcimento delle “potenze occidentali”. La sua origine risponde all’assunto di principio del sionismo: la necessità storica di una nazione per gli ebrei Sfatiamo da subito un mito ricorrente,investimenti ovvero quello che è anche un grave errore di interpretazione: la nascita dello Stato d’Israele, nel maggio del 1948, non è per nulla una sorta di risarcimento delle “potenze occidentali”, tali poiché coloniali, in Medio Oriente, rispetto alla catastrofe causata dai nazifascisti nei confronti delle comunità ebraiche europee esistenti nei territori occupati dell’est continentale, tra il 1939 e il 1945. La politica della potenza mandataria britannica, che di fatto controllò i territori della Palestina storica dal 1917 al 1948, avversava l’immigrazione di profughi ebrei. Le vicende belliche, tra il 1939 e il 1942, segnarono peraltro l’insediamento ebraico in Palestina come potenziale vittima dell’eventuale vittoria dei nazifascisti nella guerra parallela che andavano conducendo nell’Africa mediterranea. Nell’immediato dopoguerra, alla cognizione fattuale della tragedia non si alternò da subito la sua capacità di metabolizzarla sul piano civile e politico. Ovvero, le urgenze legate alla nascita, alla sopravvivenza e al consolidamento del giovane Stato d’Israele ebbero la meglio su ogni altro ordine di considerazioni. Peraltro, con la creazione di Israele, nel maggio del 1948, i profughi e i rifugiati ebrei che vagavano in Europa si trasferirono in massa nel nuovo Stato. Si stima che fino al 1953 ben 170mila sopravvissuti vi siano emigrati. Entro il 1951 era arrivato nel Paese il 38 per cento degli scampati alla Shoah, mentre nell’arco di tempo compreso tra il 1952 e il 1989 ne arrivò un altro 29 per cento. Se le cifre della storia si esprimono da sé, ha più che mai allora un senso, in questo caso, parlare di una vera e propria «scoperta», poiché fin da subito fu un’intera nazione, in sé giovane e fragile, che dovette confrontarsi con un pesantissimo segmento della recente cronaca ebraica che andava progressivamente riaffiorando, nel corso del tempo, così come un iceberg che riemerge poco a poco. La memoria dello sterminio (prima ancora che la sua storia, intesa come descrizione distaccata e distanziata degli eventi) divenne quindi patrimonio integrale del Paese solo nel corso del tempo. Vi sono alcuni passaggi che hanno caratterizzato tale percorso. La decisione formale di creare un ente per la memoria della Shoah risale al 1947, ma si tradurrà in gesti concreti solo successivamente. La Knesset nell’aprile del 1951 aveva infatti scelto come giorno commemorativo il 27 del mese ebraico di Nissan, definito per legge «Yom HaShoah Vemered Haghettaot» («Giorno della Catastrofe e della rivolta dei ghetti»). La scelta precisa, fatta in quella sede, voleva legare strettamente l’aspetto passivo della tragedia – la morte nelle camere a gas di sei milioni di ebrei – a quello attivo e militante, costituito dalla ribellione degli ebrei imprigionati nei ghetti eretti dai nazisti nell’Europa orientale. Non a caso la data coincideva con quella della sollevazione ebraica nel ghetto di Varsavia, per l’appunto nel mese di aprile del 1943. Memoriale A seguito di ciò si optò quindi per dare corso all’effettiva realizzazione di un memoriale, inteso non solo come una entità di natura museale, bensì in quanto struttura pedagogica e formativa, oltre che luogo di ricerca. Il 19 agosto 1953 veniva approvata dal parlamento israeliano la legge che istituiva l’«Ente per il ricordo dei martiri e degli eroi», comunemente noto come Yad Vashem. L’anno successivo fu identificato nello «Har ha-Zikkaron» («Colle del ricordo») – a Gerusalemme, sul Monte Herzl e in vicinanza del cimitero nazionale militare – il luogo dove edificarlo. L’intera opera, nella sua prima ideazione (comprendente uffici amministrativi, biblioteca e archivio dell’Istituto), veniva completata non più tardi del 1957. L’accostamento diretto tra vittime (civili e incolpevoli) del crimine di massa e il sacrificio consapevole di coloro che si erano opposti armi alla mano ai loro assassini serviva in ultima istanza a celebrare la funzione di Israele nel mondo. Ovvero l’immagine di sé che la componente sionista aveva coltivato, vedendola realizzata nel giovane Stato. L’intera storia veniva così rubricata sotto il binomio di «martirio ed eroismo», offrendo della Shoah una chiave di lettura univoca, adatta alla pedagogia civile nazionale ma sul piano storiografico poco convincente. Non a caso sarebbe stata presto sottoposta a più di una rilettura critica. Il discorso pubblico sulla Shoah in Israele seguì quindi da allora due assi privilegiati, tra di loro dialetticamente intrecciati: la cognizione dello sterminio come catastrofe dell’ebraismo e l’edificazione dello Stato ebraico come atto di redenzione. In realtà per tutti gli anni Cinquanta la vicenda dei deportati non ebbe una funzione a sé, ossia non fu storia che potesse avere uno statuto autonomo. Si inseriva semmai dentro una più ampia, e onnicomprensiva, logica del sacrificio. Sul terreno di una tale ambivalenza, dove all’immagine della vittima europea si contrapponeva quella del vincitore israeliano, si confermava l’assunto di principio del sionismo, quello della necessità storica di uno Stato per gli ebrei. Tutti gli anni Cinquanta e Sessanta furono quindi contrassegnati da questo binomio tra eroismo e martirio, caduta e redenzione, sacrificio e ricostruzione, in quello che è stato definito uno «schema mitico e assillante» (così Peter Reichel). Il processo ad Adolf Eichmann in Gerusalemme, nei primi anni Sessanta, nel corso del quale l’Israele di Ben Gurion si confrontò con sé stesso, assolse – in questo quadro – a una duplice finalità liturgica, al medesimo tempo di ordine emotivo e di natura pedagogica. Attraverso la sua resa mediatica, si trasformò infatti in un evento collettivo, al quale un po’ tutti parteciparono, seguendone l’evoluzione e identificandosi, di volta in volta, nelle situazioni di cui si dava pubblico resoconto. Se il fuoco dell’attenzione sembrava concentrato sul criminale in giudizio, in realtà era tutta la società israeliana che si guardava allo specchio, misurando vicinanza e distanza dallo sterminio come momento di massima labilità dell’ebraismo diasporico. Passato che non passa Peraltro, l’ascesa delle destre al governo, negli anni Settanta, fu contrassegnata da una riattualizzazione dei sentimenti di angoscia per un «passato che non passa». La leadership del partito di maggioranza relativa, il Likud, era titolare di un pensiero molto netto al riguardo, rapportato al conflitto con gli arabi, laddove si temeva che la vittoria di questi, nell’ipotesi di un conflitto totale con Israele, avrebbe riproposto lo sterminio nei termini che già si erano conosciuti. Dal confronto, secco, tra queste idee e quelle di chi invece propendeva per un rapporto più sobrio e meno enfatico con la propria storia, è quindi derivata una dialettica culturale e morale che è lungi dall’essersi consumata. La politica, peraltro, ne è pienamente attraversata. La Shoah riveste quindi nel Paese un valore che va ben al di là del fatto storico in sé, trasponendosi sul piano simbolico della vita quotidiana. In ciò, l’eccezionalità dello sterminio degli ebrei si ricollega, in qualche modo, con l’eccezionalità dello Stato d’Israele. Pur trattandosi di due eventi storicamente distinti, non derivando il secondo dal primo, e non intrattenendo un rapporto di reciprocità, tuttavia costituiscono nella storia della modernità ebraica le due fratture epocali su cui le vicende nazionali e comunitarie si sono completamente ridefinite. Se per capire Israele bisogna comprendere la Shoah, non di meno, oramai, per capire la rilevanza della Shoah necessita rivolgersi verso Israele. Quanto meno perché Israele «è un fenomeno morale e un fenomeno di coscienza (...) nel fatto di dare agli ebrei coscienza di sé stessi. Offre loro una coscienza acuta delle loro contraddizioni, e in questo senso non è soltanto la loro coscienza, ma la loro cattiva coscienza (…)» (Vladimir Jankélévitch).© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediClaudio Vercelli

Calderone sul reddito di cittadinanza, la povertà si combatte con il lavoro“Drive-Away Dolls” di Ethan Coen, un piccolo gioiello di intelligente umorismo - Tiscali Notizie

Patrick Zaki, Meloni: "Ringrazio il presidente Al-Sisi per questo gesto"

Traffico illegale di cani e gatti. Un Regolamento europeo smaschera gli illeciti sugli animali domestici - Tiscali NotizieIl licenzioso Prévert e i dilemmi del traduttore, tra calembours e rima baciata di “lazzi”… - Tiscali Notizie

Meloni rivendica la tassa sulle banche e attacca sul salario minimo: "Volete fare politica"Sondaggi politici, scende la Meloni: in calo la fiducia a Fratelli d'Italia

Il testo di Pazza, canzone di Loredana Bertè a Sanremo

La classifica dei libri: Fabio Volo star di Natale, il 9 gennaio esce Dare la vita di Murgia6/ Rassegna ambientale. Benvenuta Imantoglosso di Robert, fermiamo la legge “sparatutto” - Tiscali Notizie

Ryan Reynold
“Ossa rotte, manganellate gentilmente ricevute”: l’esito di un corteo studentesco pacifico a Pisa - Tiscali NotizieNiente ferie e niente mare per Vittorio Feltri: ecco perchéChi è Giovanbattista Cutolo, il musicista ricordato a Sanremo: «Vivrai in eterno nella musica»

trading a breve termine

  1. avatar38/ Eppur si muove. In arrivo batterie da 1000 chilometri di autonomia a un prezzo dimezzato - Tiscali Notizieinvestimenti

    Berlusconi, che fine ha fatto Dudù?Suicidio nelle carceri, il messaggio del ministro Nordio: "Dobbiamo fare di tutto per ridurlo"Ponte Morandi, quinto anniversario del crollo: la dichiarazione di Giorgia MeloniA 90 secondi dall’Apocalisse, ora l’umanità è chiamata a reagire

    1. Caso Santanchè: oggi in Senato il voto di sfiducia

      VOL
      1. avatarAbodi fa dietrofront dopo le polemiche: "Contatterò Jankto"Guglielmo

        Quei “gelidi mostri” delle stragi italiane, nemici della democrazia e della verità

        ETF
  2. avatarFragilità e ricchezze di “The Holdovers”, il film di Alexander Payne su quelli che restano indietro - Tiscali NotizieMACD

    Chiara Ferragni aveva già capito tutto, ma io dei selfie mi vergognavoProdigiosi record e inesorabili cadute. Gunkanjima e Nauru: due isole, due storie. Un po’ diverse, un po’ così - Tiscali NotizieIl licenzioso Prévert e i dilemmi del traduttore, tra calembours e rima baciata di “lazzi”… - Tiscali NotizieReddito di cittadinanza, la Cgil chiede la proroga: "Si vada fino a decembre"

    ETF
  3. avatarIl romanzo di Valentina Mira e l’intervento all’olio di ricino del fratello d’Italia Mollicone - Tiscali NotizieVOL

    L’infanzia di Alma a Trieste. Un romanzo che parla di frontiereElly Schlein interviene al raduno del PD a Napoli: "Il conflitto di interessi esiste"Giustizia, scontro nel governo: Mantovano frena Nordio sul concorso esterno“La quercia e i suoi abitanti” di Charbonnier e Seydoux, la natura al cinema come un’avventura epica  - Tiscali Notizie

Mattarella sul clima: "Siamo in ritardo"

Energia 2023: vola il solare, resta al palo l’idroelettrico e s’impenna la Co2 (per siccità estreme) - Tiscali NotizieTerzo Polo, rottura tra Renzi e Calenda: i possibili scenari*