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Dpcm 16 gennaio: regioni che rischiano di diventare arancioniCi avrete fatto caso più e più volte soffermandovi sugli annunci immobiliare sui siti o ancor più per strada. “Fondo commerciale 55 mq con bagno SENZA canna fumaria”. “Ampio negozio 110 mq ad angolo con accesso al cortile e CON canna fumaria”. Nonostante le parecchie alternative all’antico metodo di captazione dei fumi che li prende e li porta nel punto più alto del palazzo,trading a breve termine l’Italia e in particolare alcune città (i regolamenti su queste cose sono locali) sembrano non guardare di buon occhio qualsiasi innovazione in questo comparto. E così la presenza o l’assenza di una canna fumaria diventa per ristoranti, pizzerie e laboratori artigianali un elemento discriminante nella scelta di uno spazio obbligando spesso al subento ad un locale già esistente. L’Italia predilige le canne fumarie anche se consumano di piùNon importa che le canne fumarie inquinino molto più di altri sistemi di filtraggio dell’aria, non importa che spesso deturpino facciate e profili delle città, non importa che la loro manutenzione sia tutt’altro che agevole: bisogna-avere-la-canna-fumaria. Un po’ come la licenza per i tassisti o come la concessione per gli stabilimenti balneari, la canna fumaria sembra essere rimasto uno degli ultimi cespiti e una delle ultime resistenze di categoria per un settore che dovrebbe invece essere pienamente liberalizzato da quasi trent’anni. Se sei un imprenditore puoi aprire un ristorante dove vuoi? In teoria sì. Ma poi occorre lei, la canna fumaria: che a volte non c’è, a volte non si può installare per parere negativo della Soprintendenza, a volte non è bene accetta dal condominio. “Dopo le liberalizzazioni di Bersani la canna fumaria è rimasta una delle ultime rendite di posizione del settore” ci spiega il ristoratore romano Fabio Spada, che incalza: “non c’è nessun motivo per ostacolare le alternative alla canna fumaria che sono ormai tecnologicamente più avanzate, inquinano molto meno e sono la norma in tutto il mondo quando si cucina senza fiamma viva e quando non si è in presenza di friggitorie: l’aria si può captare, trattare e reimmettere nel locale una volta climatizzata e trattata invece di spedirla inquinata all’ultimo piano dell’edificio”.La questione delle canne fumarie e dei carboni attivi a RomaLa stuazione è particolarmente paradossale a Roma dove regolamenti comunali surreali e male interpretati hanno portato tanto per cambiare al caos. Nella Capitale i sistemi alternativi alla canna fumaria sono di fatto accettati solo in zone di particolare pregio architettonico e solo in caso di diniego al montaggio della tradizionale canna esterna da parte della Soprintendenza. Questa impostazione ha fatto sì che tutti gli altri Municipi al di fuori del Primo, quello del centro storico, interpretassero il regolamento in maniera irragionevole: visto che da loro la Soprintendenza non può essere proprio interpellata poiché non competente su quei territori, allora automaticamente è impossibile chiedere il ricorso a sistemi alternativi non potendo dimostrare il diniego da parte delle belle arti. Ergo o hai la canna fumaria o nulla. “Dio solo sa quanto si sono impoverite le casse del Comune a causa di una impuntatura simile visto che non ci vuole un principe del foro per compilare e stravincere i ricorsi al TAR” insiste Spada. “Non si capisce come si possa rimanere fermi in una maniera così provinciale” gli fa eco un altro influente ristoratore capitolino come Marco Pucciotti “tutti si stanno adeguando su questo fronte, ma te la immagini una canna fumaria in una torre per uffici di Singapore o in un grattacielo di New York?, ormai i forni per pizza escono con le cappe incorporate, odori ed eventuali particelle vengono trattenute dai filtri e viene emessa solo aria o vapore acqueo. È normale che quello sia il futuro”. Regolamenti diversi per ogni comune e imprenditori nel caosIl contesto che presta il fianco a piccole attività di lobby di categoria e getta nella confusione chi deve verificare è perturbato anche dai regolamenti: “il problema” spiega a CiboToday Matteo Musacci vicepresidente della FIPE (Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi) “è che i regolamenti delle usl sono comunali e molto spesso non vengono proprio citate queste nuove tecnologie come le cappe a carboni attivi o i forni elettrici con le cappe auto installate, per cui poi i controllori che si trovano davanti questi apparecchi non sanno come comportarsi. Come FIPE non siamo in alcun modo contrari a queste innovazioni, anzi posso in alcuni casi superare infrastrutture esteticamente discutibili come le canne fumarie, l’essenziale è che non rappresentino un cavallo di Troia per trasformare laboratori in luoghi dove si fa somministrazione senza sottostare alle norme per la somministrazione”.L’ultimo ricorso perso dal Comune di Roma sulle cappe a carboni attivi“Le nostre cappe a carboni attivi purificano l’aria, i filtri vengono cambiati ogni sei mesi, ci sono anche dei sistemi per trattenere le particelle di grasso, insomma inquiniamo molto meno così che liberando i fumi in una normale canna fumaria: abbiamo così un impatto ambientale enormemente inferiore”. A parlare sono i tecnici della Pizzeria Vulcano, in zona Ponte Milvio, una delle insegne che fa capo al noto pizzaiolo Giuseppe Vesi. Il Comune di Roma aveva imposto la chiusura non riconoscendo le loro cappe innovative, ma il TAR ha recentemente rigettato la decisione dell’amministrazione con un pronunciamento datato giugno 2024. Il Comune per far chiudere la Pizzeria Vulcano si era come al solito appellato al famigerato articolo 64 bis del vigente Regolamento di Igiene Urbana, ovvero quell’articolo (modificato nel 2019 dal Consiglio Comunale) dove si afferma secondo l’interpretazione dei Municipi che è possibile installare un impianto alternativo alla canna fumaria solo se sei in un edificio di pregio architettonico nel quale la Soprintendenza abbia dato parere negativo all’installazione di una canna fumaria esterna. Il TAR nel discutere il ricorso dell’avvocato Andrea Ippoliti ha specificato molto chiaramente che le cappe a carboni attivi sono “meno inquinanti” delle cappe e che la scelta del Comune di consentirne l’installazione solo in edifici di pregio si basa su “un presupposto giuridico errato”.Il primo ricorso contro il Comune di Roma: Zampa Forno EticoMa i casi sono tanti. Un giovane forno contemporaneo di cui alcune volte abbiamo parlato come Zampa Forno Etico in zona Tuscolana è emblematico. “Probabilmente siamo stati i primi a fare causa al Comune” ci racconta Giacomo Carlizza “visto che il nostro condominio non ci permetteva di installare canna fumaria siamo andati su un sistema innovativo, ancora più avanzato dei carboni attivi, ovvero una cappa a condensazione. Quando abbiamo presentato la pratica il Municipio si è premurato di emanare una circolare ad personam dicendo che ogni richiesta su questa nuova tipologia di cappa andava rigettata e così hanno fatto facendomi chiudere e procurandomi anni di disagi senza un vero motivo fondato”. In questo caso l’avvocato Bernardino Iacobucci ha prima incassato un pronunciamento negativo del TAR che che confermava la chisura e poi di ricorso in ricorso è salito fino al Consiglio di Stato che gli ha dato definitivamente ragione confermando le sue memorie che demoliscono punto per punto l’atteggiamento del Comune di Roma. “Il Consiglio di Stato” dice Iacobucci “ha esplicitamente indicato che le gli impianti innovativi sono meno inquinanti delle canne fumarie e che dunque possono essere installate anche fuori da contesti di pregio architettonico”. Ma per un giovane artigiano come Carlizza che si imbarca in anni di battaglia giudiziaria quanti ce ne sono molti che alzano bandiera bianca e decidono di andare ad aprire la loro azienda in un’altra città o in un altro paese? Dopo tutti questi pronunciamenti il Comune ha un po’ attenuatio il suo accanimento e ha diminuito la sua errata interpretazione delle norme, ma non del tutto come dimostra appunto il recente caso della Pizzeria Vulcano.Il caos delle canne fumarie a Roma è uno svantaggio per molti ma un vantaggio per alcuni“Resta il fatto” dice ancora Fabio Spada “che così gli imprenditori restano in un contesto di scarsa chiarezza. Puoi aprire ma puoi anche aspettarti che da un giorno all’altro arrivi qualcuno che ti faccia chiudere”. E questo non aiuta di certo gli investimenti, men che meno quelli di qualità o quelli internazionali visto che gli operatori esterni non concepiscono uno scenario simile. Rimane da capire a chi giovi un caos simile. E a quanto pare i motivi per mantenerlo sono almeno quattro: da una parte le canne fumarie sono state la “linea del Piave dei ristoratori” (dice sempre Spada) che una volta visto svanire il valore della licenza si sono arroccati su questo grimaldello; poi le canne fumarie sono diventate la difesa dei residenti per evitare una proliferazione dei locali di somministrazione; in più si è aggiunta la foglia di fico della canna fumaria per un Comune che non aveva altri mezzi di pianificazione e di strategia urbanistica per arginare le aperture liberalizzate di locali di somministrazione e infine nel caos c’è sempre qualcuno che ci guadagna gestendo il caos stesso… “Roma è quella città” conclude Spada “dove la stessa funzionaria dell’Asl che negli anni 2005\2010 segnalava al Comune i locali sprovvisti di canna fumaria, tra l’altro senza che la segnalazione fosse in alcun modo richiesta, oggi, da pensionata, fa la consulente per l’installazione delle cappe a carboni attivi”. 

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