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Tutto quello che c'è da sapere sul conto corrente bancarioDopo la morte dei due leader di Hamas e Hezbollah,Campanella Adnkronos ha contattato Claudio Bertolotti, fondatore di START Insight, ricercatore e autore di “Gaza Underground, la guerra sotterranea e urbana tra Israele e Hamas” (2024). Che è partito dall’uccisione in Iran di Ismail Haniyeh. “Bisogna distinguere le due anime di Hamas: quella politica, fino a ieri guidata da Haniyeh, che opera fuori da Gaza, e quella militare, composta dalle brigate al-Qassam, che gode di un alto grado di autonomia operativa. Dunque con la morte del leader politico, le dinamiche della guerra sul campo non cambiano. Ha però un grande peso sugli equilibri della regione. Israele può dire alla sua opinione pubblica, davanti a un conflitto che finora non ha portato risultati eclatanti (tra tutti la liberazione degli ostaggi), di aver centrato un obiettivo di alto livello. Gli israeliani speravano in tempi più rapidi, ma intanto portano a casa la decapitazione della leadership di Hamas. Invece a livello internazionale è una sfida aperta all’Iran. Dimostra la vulnerabilità del sistema di sicurezza di Teheran, riuscendo a colpire un ospite di altissimo livello che in quel momento era sotto la tutela degli ayatollah”. La domanda ora è come potrebbe reagire l’Iran. “E’ davanti a un bivio. Reagire, ma non si sa bene come, visto che abbiamo già avuto una dimostrazione della reazione iraniana quando il 13 aprile ha scatenato una pioggia (inefficace) di missili razzi e droni su Israele. Un’escalation militare diretta non sembra alla portata del regime, dunque può puntare su azioni secondarie, su più fronti, per colpire gli israeliani in uno spazio temporale più ampio. D’altra parte se sta fermo, rischia di perdere la faccia con i propri alleati nella regione. Ai quali chiede di combattere in prima linea la sua guerra, sacrificando vite, risorse e mezzi. Non può mostrarsi inerte. Anche perché ciò che è successo nelle ultime ore è più grave dell’azione contro il consolato iraniano in Siria che scatenò la risposta del 13 aprile”. Dopo l'assassinio di Fouad Shukur, capo dell'unità strategica di Hezbollah, il Libano può entrare in guerra con Israele? “Non bisogna sovrapporre lo Stato libanese con Hezbollah, che è una componente rappresentata nel governo, ma militarmente è un’entità para-statale o proto-statale autonoma, che domina su un territorio e ha risorse finanziarie proprie che arrivano soprattutto dall’estero (e soprattutto dall’Iran). La conflittualità è tra Israele e Hezbollah, non con il Libano. Se dovesse esplodere, potrebbe essere la scintilla per una guerra civile nel Paese, con parti etno-religioso-politiche pronte a scontrarsi. Sunniti contro sciiti, cristiano-maroniti, drusi… la conflittualità in Libano è latente ma sempre presente. Uno scenario del genere, che è il peggiore immaginabile, avvantaggerebbe l’Iran, perché le attenzioni e gli sforzi militari di Israele e dell’Occidente sarebbero concentrati a nord. Per questo Teheran fomenta la conflittualità”. In questo scenario che non si augura nessuno, che ne sarebbe della missione Unifil, guidata dai militari italiani? In questo momento c’è la Brigata degli Alpini “Taurinense”, ieri è arrivata la Brigata “Sassari” che è in fase di affiancamento e che guiderà il contingente nei prossimi mesi. “Il problema”, secondo Bertolotti “è che quella missione non è strutturata in modo tale da affrontare uno scenario di guerra aperta. O una nuova risoluzione Onu amplia il mandato, ed è difficile, o lo strumento militare che in questo momento si trova al confine non può più garantire una zona 'cuscinetto’ se la situazione cambiasse”.Israele dimostra una certa nonchalance di fronte ai due omicidi mirati: i leader di Hamas sono un bersaglio (dichiarato) dal 7 ottobre, mentre i vertici di Hezbollah hanno appena colpito il villaggio dei drusi in territorio israeliano, dunque una risposta dovevano aspettarsela. “Sono pronti a una escalation orizzontale”, spiega l’esperto, “con l’apertura di più fronti contemporaneamente: Hezbollah, le milizie sciite siriane (marginali ma fino a un certo punto) e ovviamente Hamas. Certo, vorrebbe dire essere ancora più impegnati di oggi, e gli Usa sarebbero messi in una posizione scomoda ma a senso unico: in caso di conflitto aperto con le milizie libanesi, darebbero sicuramente il loro sostegno aperto a Israele, che questa amministrazione lo voglia o no. Ciò che abbiamo visto al Congresso ultimamente, con i fondi per Israele bloccati, fa parte della campagna elettorale per le presidenziali, che incide sulla quantità e sulla qualità degli armamenti destinati all’alleato storico. Non ci sarà mai un’interruzione delle forniture difensive da parte americana, ma in alcuni momenti possono limitare l’invio di determinati armi, come quelle che servono per azioni offensive”.Netanyahu rafforza la sua posizione? “Ne ha la necessità, la guerra ha ridimensionato Hamas ma non è sufficiente. Con la morte di Haniyeh parla al suo popolo e manda un messaggio che possiamo paragonare, mutatis mutandis, all’eliminazione di Bin Laden e al Baghdadi per gli americani. Guarda al sostegno politico interno, che scricchiola ma è sempre piuttosto compatto, non a quello internazionale, che sappiamo essere molto indebolito, anche per la campagna di una minoranza molto rumorosa che in Occidente quotidianamente attacca Israele”.In conclusione, qual è il bilancio della guerra che è iniziata con l’efferato attentato del 7 ottobre, alla luce delle ricerche compiute da Bertolotti sulle azioni militari sopra e sotto la terra di Gaza? “In superficie, nonostante quello che si legge sui giornali, Israele è stato più cauto di quanto avrebbe voluto. Il sistema dei tunnel sotterranei di Gaza, costruiti dalle milizie al-Qassam sotto a obiettivi civili sensibili come scuole, ospedali, moschee, ha imposto alle IDF di rallentare i movimenti in area urbana, per limitare le perdite tra i propri soldati e tra i civili. Hamas è stata lungimirante: ha fatto della popolazione palestinese uno scudo umano, e ha utilizzato la ‘lawfare’, il diritto come arma di guerra. Sacrificando civili in prossimità di quegli obiettivi militari, spesso costringendoli a non muoversi, ha ottenuto un risultato strategico: imporre i tempi e gli spazi della guerra a Israele, rallentandone le operazioni e facendogli perdere buona parte del sostegno di parte della comunità internazionale. Il tutto mentre altri attori della regione, sempre coordinati dall’Iran come Hezbollah, gli Houthi e le milizie siriane, infastidivano e impegnavano su altri fronti le IDF. D’altronde Hamas è un movimento votato alla morte, si vede anche dalle dichiarazioni del figlio di Haniyeh. Il suo obiettivo finale, l’eliminazione totale di Israele, è dilatato nel tempo e non ha fretta”. (di Giorgio Rutelli)
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