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Guerra in Ucraina, gli ospedali russi rischiano il collasso

Guerra in Ucraina, Medvedev: “Chi lo ha detto che fra due anni Kiev esisterà ancora?”Notizie di Esteri in tempo reale - Pag. 415Usa, quali sono le aziende che pagheranno le spese di viaggio per l'aborto alle dipendenti

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Alluvioni al parco di Yellowstone: la casa frana e viene portata via dall’acquaL'iniziativa di Domani,Capo Analista di BlackRock Libération, Tagesspiegel, El Confidencial, Hvg, Gazeta Wyborcza, Delfi, Balkan Insight e n-ost vuole vitalizzare il dibattito pubblico e la democrazia europea. La venticinquesima puntata è dedicata alle proteste francesi e ai sistemi pensionistici. La newsletter paneuropea esce ogni mercoledì ed è gratuita. Iscriviti qui Eccoci di nuovo insieme, Europa! Siamo alla venticinquesima edizione dello European Focus! E per festeggiare, questo giovedì alle 18.30 ti invitiamo a uno speciale collegamento in diretta, un Twitter Space europeo: qui trovi i dettagli. Io sono Nelly Didelot, caporedattrice di questa settimana, e scrivo da Parigi. La scorsa settimana, non appena è finita la nostra riunione settimanale di European Focus, mi sono fiondata anch’io nelle strade di Parigi, a protestare contro la riforma delle pensioni coi miei colleghi di Libération e centinaia di migliaia di manifestanti. La manifestazione è finita male: sono tornata a casa coi polmoni doloranti e gli occhi arrossati per i lacrimogeni. Viste da fuori, queste proteste, che durano da mesi, possono sembrare difficili da comprendere: ci viene spesso detto che i francesi godono di una fra le più basse età pensionabili in Europa. Rispetto ad altri siamo privilegiati: non devo prendere in considerazione di lavorare fino a 78 anni, come il mio collega estone, o di acquistare un appartamento per garantirmi un reddito durante la vecchiaia, come alcuni in Polonia. I nostri genitori e nonni hanno lottato per il finanziamento pubblico delle pensioni e l’orario di lavoro ridotto di cui noi possiamo godere. Se vogliamo mantenere questi diritti, ora tocca a noi lottare. Nelly Didelot, caporedattrice di questa settimana EuropaNove media creano un appuntamento settimanale per il dibattito europeoFrancesca De Benedetti Lavoratori essenziali. (E stanchi). AFP PARIGI - «Non so se il governo si rende conto che noi moriamo prima degli altri», dice Daouda, netturbino di 49 anni. Il 6 marzo lui e i colleghi parigini si sono messi in sciopero contro la riforma delle pensioni. Oggi i netturbini che sono impiegati nel settore pubblico hanno il diritto di andare in pensione a 57 anni per via dell’impegno fisico richiesto dal loro impiego. La nuova legge li farà andare in pensione a 59 anni. Per quelli impiegati da compagnie private, l’età passerà da 62 a 64. «Non avete idea dello sforzo che questo mestiere richiede», nota Pascal, netturbino pensionato di 64 anni che si è unito al picchetto degli scioperanti di Ivry-sur-Seine per supportare gli ex colleghi. Isabelle Salmon, medico che ha studiato proprio le condizioni di lavoro di questo mestiere, dice che «è uno dei più sfiancanti: sforzi fisici, posizioni scomode, esposizione agli agenti atmosferici». Uno sciopero continuativo non è una cosa facile, e lo sa bene David, netturbino di 49 anni, che ha problemi con l’affitto visto che il datore di lavoro gli ha dedotto 14 giorni dai 1.400 euro di paga mensile. Spera ne varrà la pena, e che il governo alla fine cederà alle richieste dei lavoratori. Come i suoi colleghi, David deve lavorare in qualsiasi situazione: questi lavoratori essenziali ricordano i giorni degli attentati terroristici di novembre 2015, e lavoravano durante il lockdown pandemico del 2020. «All’epoca il governo ci aveva promesso di cambiare politica nei confronti dei lavori in prima linea», ricorda Christophe Farinet, netturbino e vicesegretario generale della Confédération générale du travail. «Non solo nei nostri confronti, ma anche dei cassieri, delle guardie giurate e degli addetti alle pulizie, che oggi non si possono permettere di scioperare. Tre anni dopo ecco a che punto siamo». Anne-Sophie Lechevallier scrive per Libération Il mio piano pensionistico? Lavorare e schiattare TALLINN - Ecco come andrà a me nel mio paese, che è l’Estonia: avrò già 68 anni e tre mesi quando finalmente potrò andare in pensione, il che accadrà a dicembre del 2056. È quello che mi ha comunicato il calcolatore di pensione del sito dei servizi sociali estoni. L’app ha bisogno di sapere solamente il mio anno di nascita, che è il 1988, per svolgere il calcolo. Ben 68 anni potrebbero essere considerati l’età pensionabile di base all’interno del sistema estone, che prende in considerazione l’aspettativa di vita. Qualora l’aspettativa di vita aumenti quindi, ciò significa che anche la mia età pensionabile andrà di pari passo. Potrei scegliere di andare in pensione fino a cinque anni prima, ovvero a 63 anni. In questo caso, mi ritroverei con una misera pensione pari a un quarto del mio stipendio attuale. In realtà, se anche andassi in pensione a 68 anni, la mia pensione legale – sempre supponendo che questa aumenti insieme all’inflazione – non mi basterebbe nemmeno per pagare l’affitto e le bollette. Margus Tsahkna, l’ex ministro per gli Affari sociali che sta dando una mano nei negoziati per la formazione della prossima coalizione di governo dell’Estonia, ha ammesso che lo stato non sarà in grado di pagare le pensioni allo stesso modo in futuro. «Si tratta di un messaggio brutale», ha detto, aggiungendo pure che non c’è nessuna alternativa a una riforma del sistema pensionistico. Mi sono esercitato con il calcolatore di pensione: volevo vedere di quanto avrei dovuto posticipare il mio pensionamento per essere in grado di sopravvivere solamente con la pensione di stato. Non è stato possibile calcolare un pensionamento oltre i 78 anni di età. E se pure andassi in pensione a 78 anni, riceverei due terzi del mio stipendio attuale, il che mi lascerebbe comunque senza alcun margine economico di manovra. Un’età di 78 anni è di 23 anni superiore all’età che un uomo estone medio vive “in buona salute”, secondo le statistiche dello stato stesso. Questo significa che l’affermazione di Tsahkna sulla crisi delle pensioni è scultorea ma che da parte del governo non esiste ancora una soluzione diversa dall’esclamare: «Ognuno per sé! Vedetevela da soli». Herman Kelomees è giornalista di Delfi Non è una passeggiata Il mercato del lavoro per come lo ha conosciuto la mia generazione: • impieghi temporanei • tirocini e straordinari non retribuiti • datori di lavoro contrari al salario minimo • lavoro almeno fino ai 70 anni E Andrea Nahles critica l’atteggiamento dei giovani dicendo: «Il lavoro non è una passeggiata». Esattamente il tipo di umorismo che mi piace. BERLINO - «Il lavoro non è un parco di pony». Con queste parole Andrea Nahles, direttrice dell’Agenzia federale per l’occupazione, ha avvertito le nuove generazioni in una dichiarazione diventata virale sui social media. Il commento si può tradurre in italiano come “il lavoro non è una passeggiata”, e l’ex ministra del Lavoro del partito socialdemocratico tedesco ha segnalato che i giovani si dovrebbero preparare a lavorare di più. Ma i giovani non vogliono farlo. Quello che vogliono è un equilibrio migliore tra vita e lavoro. In un sondaggio dell’anno scorso, il 57 per cento dei giovani tra i 16 e i 29 anni ha affermato di ritenere la propria vita privata più importante della propria carriera professionale. Con il pensionamento della generazione dei “boomer”, la Germania si troverà ad affrontare una mancanza di sette milioni di persone nella forza lavoro entro il 2035. Ciò costituisce una sfida anche nel campo del finanziamento delle pensioni. Probabilmente lo stato finanzierà gran parte della differenza, e qualcuno dovrà pagare le tasse affinché ciò sia possibile. Teresa Roelcke è una cronista del Tagesspiegel Pensioni indecenti, affitti indecenti VARSAVIA - Sarà anche una verità impopolare, ma è la verità: nel mio paese, la Polonia, ben poche persone possono contare sul fatto che nel loro futuro potranno ricevere una pensione decente. Tantissimi polacchi invece riceveranno pensioni così basse da ritenerle al di sotto della soglia della decenza. Un decennio fa, il ministro dell’Economia Waldemar Pawlak lo aveva detto senza mezzi termini: «Io non credo molto nelle pensioni statali. Cerco di garantirmi un futuro sicuro grazie ai risparmi e a un buon rapporto con i miei figli. Questo mi darà più sicurezza rispetto a tutte queste soluzioni statali illusorie». Queste sue parole risalgono al 2012. La fiducia nel fatto che lo stato avrebbe elargito delle pensioni decenti non è mai stata particolarmente forte, in Polonia, dopo il 1989. Molti polacchi hanno deciso di prendere in mano la situazione, il che è proprio quello che ha insegnato loro a fare il sistema capitalistico. Consapevoli del fatto che non avrebbero avuto una pensione decente, hanno investito nel mercato immobiliare. Dopo la caduta del comunismo, riversare il capitale nel settore immobiliare è diventato lo sport nazionale dei polacchi. I prezzi sono saliti a una velocità spaventosa, soprattutto nelle maggiori città polacche. I prestiti a buon mercato hanno reso possibile l’affitto di un appartamento senza possedere un gran capitale. Ciò è stato visto da molti come un investimento. Alcuni singoli acquirenti hanno acquistato a credito oltre una dozzina di appartamenti. Ma questo processo ha esacerbato un altro problema: l’accesso agli alloggi. Sempre più appartamenti sono stati costruiti, ma ben due milioni di essi restano vuoti. Di questi, una gran parte sono appartamenti che la gente ha comprato come investimento per rivenderli, guadagnandoci sopra. Di conseguenza, anche i prezzi degli affitti sono saliti. Oggi solo una piccola minoranza può permettersi un mutuo. Perciò, la maggioranza dei polacchi sarà condannata a qualsiasi pensione gli venga offerta dallo stato in futuro. Un futuro ancora più cupo attende coloro che stanno entrando proprio adesso nel mercato del lavoro. Nel 2060, da pensionati riceveranno a malapena l’equivalente del venticinque per cento del loro salario finale. Michał Kokot fa parte della redazione Esteri di Gazeta Wyborcza Lo squilibrio fra nonni e nipoti Mariano Guindal, pensionato spagnolo MADRID - «Se i nonni aiutano i figli a diventare indipendenti o a pagare le spese scolastiche dei propri nipoti, ciò è la prova del fatto che il sistema non funziona. Quest’anno la mia pensione aumenterà dell’8,5 per cento, ma tu probabilmente non otterrai un aumento, e se lo otterrai, sarà al massimo del 3 per cento. Non è giusto che noi abbiamo pensioni sempre migliori: tanto per cominciare, io ho comprato la mia casa, mentre mio figlio spende il 40 per cento del suo salario per l’affitto». Mariano Guindal è un pensionato 72enne di Barcellona che si ritiene privilegiato. Riceve la pensione massima (pari a più di 3mila euro al mese), che continua ad aumentare. Per lui questa è un'ingiustizia: ritiene che i pensionati siano una categoria sociale “protetta”, viziati ai soli fini elettorali dai governi che si susseguono. In Spagna ci sono dieci milioni di anziani, ossia dieci milioni di elettori su un totale di 36 milioni. Alicia Alamillos è una giornalista di El Confidencial Qual è la tua impressione su questo tema? Ci piacerebbe riceverla, alla mail collettiva [email protected] se vuoi mandarcela in inglese, oppure a [email protected] Al prossimo mercoledì! Francesca De Benedetti (Versione in inglese e portale comune qui; traduzione in italiano di Marco Valenti) EuropaNine European Media Outlets Launch Unique ‘European Focus’ CollaborationFrancesca De Benedetti© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?Accedia cura di Francesca De Benedetti Europea per vocazione. Ha lavorato a Repubblica e a La7, ha scritto (The Independent, MicroMega), ha fatto reportage (Brexit). Ora pensa al Domani.Short bio  Twitter account

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