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La guerra in Israele intacca (ma non troppo) le ferie d'autunno dei ticinesiIl logo della mostra "Bauhaus und Nazionalsozialismus" a Weimar - Fondazione Klassik Weimar COMMENTA E CONDIVIDI Davanti al Museo Schiller di Weimar è stata posta a maggio una copia del cancello di Buchenwald con la scritta “Jedem das seine” (a ciascuno il suo). A realizzare l’originale è stato un grafico,Campanella Franz Ehrlich, appartenente alla celebre Staatliches Bauhaus, meglio nota solo come Bauhaus, la scuola di architettura e design fondata nel 1919 da Walter Gropius e chiusa perché invisa al neonato regime nazista nel 1933, dopo un peregrinare tra Dessau, dal 1925 al 1932, e infine a Berlino. A portare alla ribalta gli aspetti oscuri di una modernità artistica e architettonica che dal 1945 in poi è stata considerata intrinsecamente antitotalitaria è ora la mostra Bauhaus und Nationalsozialismus realizzata dalla Fondazione Klassik Weimar. Scopo è comprendere i rapporti storici tra arti e regime, a partire da una città che ha in Goethe e Schiller i suoi numi tutelari, è stata la culla della (fragile) repubblica che porta il suo nome, ma nei suoi dintorni ospita anche l’abisso di Buchenwald.La mostra, curata da Anke Blümm, Elisabeth Otto e Patrick Rössler (il catalogo è edito da Hirmer Verlag, pagine 256, 159 illustrazioni a colori, euro 49,90), fino al 15 settembre espone 450 oggetti d’arte e design di musei e collezioni private europee e statunitensi. Il percorso è diviso in tre parti in altrettanti luoghi. Al Museum Neues Weimar, sotto il titolo “Battaglie politiche sul Bauhaus 1919-1933”. Presso il Bauhaus Museum, con il titolo “Staccate - confiscate - adattate”, riferito al destino delle opere della cosiddetta “arte degenerata”. Mentre la terza esposizione, la più inerente al tema generale, i rapporti con il nazionalsocialismo , si svolge nello Schiller Museum e si intitola “Percorsi di vita nella dittatura 1933-1945”. L'edificio della Bauhaus progettato da WalterGropius a Dessau - Stiftung Bauhaus DessauÈ quest’ultima la sezione che più indaga su zone d’ombra e ambiguità. Molti membri del sodalizio artistico-architettonico dovettero, è vero, andarsene in esilio, e una ventina furono imprigionati e uccisi in carcere o in campo di concentramento . Come il fotografo comunista Willi Jungmittag, il cui scatto di un bambino che gioca con un areoplanino è in copertina del catalogo quale esempio di un’estetica che inconsapevolmente guarda testimonia già dell’uomo-soldato freddo e calcolatore. Ma una buona parte si adattò , partecipò a mostre della propaganda, fiere del design, realizzò opere fotografiche, copertine di riviste, locandine cinematografiche, mobili, tappeti, oggetti per la casa e perfino busti di Hitler. Lo stesso dittatore in due scatti del 1935 e del 1937 appare sorridente e rilassato su una poltrona in tubolari d’acciaio marca Thonet, realizzata da Anton Lorenz, allievo di Marcel Breuer alnella scuola weimariana. Gli scatti, apparsi sul quotidiano del partito, il “Völkischer Beobachter” ma anche sulla rivista francese “Vu”, sonon forse testimonianza più di una trovata pubblicitaria o della volontà del regime di approfittare del prestigio internazionale della scuola che di una sua condiscendenza ideologica. Ma non sono mancati casi di esponenti della Bauhaus che non si sono guardati dal ricevere ed eseguire commissioni dagli apparati del regime. Un caso estremo fu l’architetto austriaco Fritz Ertl, allievo di Mies van der Rohe, che finì nel reparto costruzioni delle Ss e contribuì al progetto del campo di sterminio di Auschwitz.I rapporti numerici che quantificano le relazioni tra Bauhaus e regime sono messi nel dettaglio nero su bianco in grafici a colonna o a torta. Tra i 119 docenti una quindicina emigrarono tra 1933 e 1938. Tra essi Hannes Meyer, Vasilij Kandinskij, Paul Klee, Ise e Walter Gropius (il primo direttore), Marcel Breuer, Laszlo Mohony-Nagy, Ludwig Mies van der Rohe (il direttore che chiuse la porta). Altrettanti restarono in patria e due donne, Otti Berger e Frida Dicker-Brandeis, morirono ad Auschwitz. Dei 1.250 studenti dell’istituto, dopo il 1933, restarono in Germania in 569; 202, soprattutto stranieri, non erano in Germania al momento della presa del potere da parte di Hitler e non vi rientrarono; di 134 si può ritenere che lasciarono la nazione per motivi politici; dei restanti 363 non si sa nulla. Dei circa 900 che presumibilmente rimasero in patria (i 569 acclarati, più questi ultimi 363) 188 entrarono nel partito nazionalsocialista (170 maschi e 18 femmine), 14 fecero parte della camicie brune, le squadre d’assalto del partito, e 12 vestirono la divisa delle Ss.Il già citato Franz Ehrlich è uno dei casi esemplari dell’intreccio storico nella Germania del tempo. Comunista, partecipa a scioperi e serrate operaie a Lipsia, ma sogna l’arte e nel 1927 frequenta la Bauhaus. Arrestato nel 1934, viene deportato a Buchenwald tre anni dopo e inizia a collaborare con le Ss. La scritta sul cancello viene realizzata in bianco e rosso con i caratteri tipici della Bauhaus e questo per alcuni osservatori voleva significare una presa di distanza da quanto sarebbe stato costretto a fare (anche il logo della mostra gioca sulla compresenza nella scritta “Bauhaus” di caratteri nello stile moderno in Bau- e della scrittura in carattere gotico Fraktur, che allude al tradizionalismo nazista in -haus). «In realtà – scrive Jens-Uwe Fischer nel capitolo del catalogo dedicato a Ehrlich - la moderna progettazione dei caratteri tipografici, il moderno design grafico e il linguaggio delle forme del Moderno Classico non si ponevano in quanto tali in contraddizione con la concezione estetica del fascismo tedesco. Al contrario appartenevano del tutto al repertorio delle forme possibili. Il prigioniero Ehrlich doveva accontentare il suo committente, le Ss, e i responsabili delle Ss verosimilmente trovarono la scritta sul cancello semplicemente bella. Le Ss, ricorderà Ehrlich in seguito, erano così contente “che avemmo il permesso di progettare e realizzare il cancello di Sachsenhausen”».Nonostante tutto ciò, Ehrlich farà carriera nella Ddr. Una sezione della mostra è dedicata a un’installazione che si basa sui mobili Modello 602 da lui realizzati negli anni Cinquanta. Il titolo, “Denkmal über Ehrlichkeit”, gioca sul nome del controverso personaggio e significa “monumento all’onestà”. Che è spesso la maschera del terrore.
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