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Blinken: «Alcune richieste di Hamas sono difficili da accettare». L’Onu accusa Israele di «crimini di guerra»Il ministro ha detto che lavorerà «alacremente» sull’attuazione della legge delega sull’ordinamento giudiziario,Campanella vale a dire sulle nuove norme che regolano la vita professionale delle toghe, approvate dal precedente governo come risposta agli scandali passati che hanno travolto il Csm. Doveva abbassare i toni e lo ha fatto come gli ha imposto la maggioranza di cui fa parte, ma il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, non ha arretrato del tutto e ha mandato qualche messaggio indiretto mai chiaro alle toghe. L’occasione per farlo è stata l’inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione, momento solenne e occasione di bilanci per il settore giustizia, in cui il guardasigilli si rivolge formalmente a tutti i soggetti della giurisdizione. Nel suo discorso, infatti, Nordio ha voluto rispedire al mittente le critiche di chi lo ha accusato di voler indebolire la magistratura, minandone l’indipendenza e l’autonomia. «Sono principi inderogabili, che hanno accompagnato tutta la mia lunga attività professionale in procura. Se non avessi creduto e non credessi nella loro sacralità, non avrei rivestito la toga, come spero di aver fatto, con dignità e onore», ha detto con un riferimento personale che è suonato anche come una difesa delle ragioni del proprio operato da ministro. Il vero avvertimento, però, è arrivato quando ha parlato delle riforme. Ha elencato l’immissione in ruolo di nuovi magistrati, la digitalizzazione del processo grazie al Pnrr per ridurre i tempi dei giudizi e la prospettiva di una nuova giustizia di prossimità. Soprattutto, però, ha ribadito che nel 2023 lavorerà «alacremente» sull’attuazione della legge delega sull’ordinamento giudiziario, vale a dire sulle nuove norme che regolano la vita professionale delle toghe, approvate dal precedente governo come risposta agli scandali passati che hanno travolto il Csm. Nell’annunciarlo, ha citato testualmente le parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, un richiamo non causale quasi a voler prevenire qualsiasi futura critica – che quasi certamente arriverà dalle toghe – ricordando i desiderata del Quirinale di «proseguire nel percorso di “rivitalizzazione delle proprie radici deontologiche”, con l’auspicio di realizzare “quel profondo processo riformatore e quella rigenerazione etica e culturale”». L’apertura dell’anno giudiziario è stata anche l’occasione per la prima uscita pubblica del neo vicepresidente del Csm, Fabio Pinelli, il laico in quota Lega che riporta il ruolo nelle mani del centrodestra dopo trent’anni. «Parleremo poco e lavoreremo tanto. Dovranno parlare i fatti. Credo ci sia bisogno, innanzitutto, di questo», ha detto Pinelli, ribadendo la sua volontà di confronto e ascolto e guadagnandosi così l’apprezzamento anche dell’Anm. Magistrati L’inagurazione è stata anche occasione di bilanci sulla qualità della giurisdizione da parte del primo presidente della Cassazione, Pietro Curzio, che tra due settimane andrà in pensione. Ha parlato di un 2022 con «luci ed ombre» ma con un progressivo miglioramento della situazione sia nel settore civile che in quello penale: «Il numero dei processi civili pendenti al 30 giugno 2022 è di 2.881.886 unità, con una decrescita del 7,2 per cento rispetto al 2021. Quello dei processi penali è di 2.405.275 unità, in questo caso la decrescita è del 4,5 per cento. Si sta dunque lentamente ma progressivamente riducendo l'arretrato». Ha sottolineato poi come le riforme per ridurre i tempi dei giudizi richiedono grandi sforzi organizzativi ma gli obiettivi europei del Pnrr di ridurre del 40 per cento i tempi del civile e del 25 per cento quelli del penale sono raggiungibili. Nel civile, infatti, i tempi si sono già ridotti rispetto all’anno scorso «del 8,6% nelle Corti d'appello e del 6,5 per cento nei tribunali» e nel penale «del 14,7 per cento nelle Corti d'appello e del 9,4 per cento nei tribunali». Ha però sottolineato le carenze di personale: «A fronte di un organico di 10.558 unità risulta scoperto il 13.7 per cento dei posti, percentuale anch'essa in crescita rispetto allo scorso anno. In sostanza oggi mancano 1.458 magistrati». Sul fronte dei reati, infine, ha sottolineato la riduzione del numero degli omicidi, 310 nel 2022, di cui però «circa la metà sono avvenuti nell'ambito dei rapporti familiari» e 122 su 310 hanno «come vittima la donna, spesso ad opera del partner o ex partner». Altro dato preoccupante è quello degli infortuni e delle morti sul lavoro, «che anche quest'anno ha superato il livello di 1.000 casi, con l'inquietante ritmo di tre morti al giorno». Avvocati Voce dissonante è stata invece quella dell’avvocatura, con la presidente del Consiglio nazionale forense, Maria Masi, che ha parlato di «valutazione negativa» per l’anno appena concluso. In particolare, ha criticato «l’anticipazione di molte, troppe norme relative al processo di primo grado», con la creazione di un «quadro attuale frammentato e incerto, incompatibile con le esigenze di garanzia». Inoltre è tornata a criticare la scelta di tenere fuori gli avvocati «dai tribunale e dalle sedi di giustizia», con un nuovo processo che «ci vede ai margini» e che «fa prevalere lo sbarramento alla domanda di giustizia». Masi, infatti, ha accusato un mancato ascolto dell’avvocatura in occasione delle scelte di giustizia, a partire dal l’anticipazione dell’entrata in vigore della riforma civile e avvertito che «la giustizia continuerà a non funzionare o a funzionare male se, in attesa della annunciata separazione delle carriere, si continuerà ad alimentare la separazione tra loro degli operatori di giustizia: giudici e avvocati sono oramai distanti, lontani». Un messaggio soprattutto al ministro Nordio, che dopo l’inaugurazione ha incontrato la premier Giorgia Meloni per stabilire il cronoprogramma delle riforme, per riassorbire le crepe in maggioranza degli ultimi giorni. © Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediGiulia Merlo Mi occupo di giustizia e di politica. Vengo dal quotidiano il Dubbio, ho lavorato alla Stampa.it e al Fatto Quotidiano. Prima ho fatto l’avvocato.
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