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Il Pm chiede ergastolo per Alessia Pifferi: "Mai segni di pentimento"La vicepresidente dell’Anm,analisi tecnica Alessandra Maddalena, spiega i rischi connessi all’abrogazione del reato di abuso d’ufficio e, sulla paura della firma da parte degli amministratori, aggiunge: «In alcune inchieste su amministrazioni sciolte per mafia è, poi, chiaramente emerso che la mancata firma non era espressione di paura, ma era la contropartita di una tangente» Il disegno di legge giustizia voluto dal ministro Carlo Nordio ha sollevato dibattito e polemiche. In particolare, Nordio ha bollato come improprie le critiche dell’Anm soprattutto in relazione all’abrogazione dell’abuso d’ufficio. «E’ come dire che la libertà di confronto non può spingersi fino all’espressione di un dissenso», è la risposta di Alessandra Maddalena, vicepresidente dell’Anm, che analizza criticamente i rischi connessi al ddl. Partiamo dalle polemiche di questi giorni, come risponde al ministro che ha ritenuto quella dell’Anm un’interferenza indebita? Le parole di Nordio destano perplessità anche per la tempistica. Appena due settimane fa il ministro, con una lettera indirizzata alla magistratura associata, riunita in assemblea generale per discutere della iniziativa disciplinare nei confronti dei giudici milanesi che avevano concesso gli arresti domiciliari all’estradando Artem Uss – questa sì un’azione esorbitante dal perimetro costituzionale riservato ai poteri dello Stato – aveva espresso l’auspicio di “un costruttivo dialogo con l’Anm lungo il cammino delle riforme”. Adesso sentiamo dire che la magistratura associata non può criticare le riforme, realizzando altrimenti una intrusione indebita nelle prerogative degli altri poteri. E’ come dire che la libertà di confronto e di discussione non può spingersi fino all’espressione di un dissenso verso le annunciate novità normative, con buona pace della dialettica tra le diverse funzioni dello Stato, che poi è il sale della democrazia. Ha sostenuto che l’interlocuzione è con il Csm. La magistratura associata è un interlocutore qualificato, che viene sempre ascoltato in sede di commissioni parlamentari. Anche quando esprimiamo critiche serrate non facciamo altro che offrire un contributo tecnico, costruttivo. La politica non deve certamente concordare con noi magistrati le leggi, abbiamo pieno rispetto per la prerogativa parlamentare, ma dovrebbe ascoltare i soggetti che operano ogni giorno sul campo del diritto. Nel merito del ddl sulla giustizia, teme conseguenze negative per l’ordinamento in seguito all’abolizione dell’abuso d’ufficio? Rinunciare a criminalizzare quelle condotte che realizzano una effettiva strumentalizzazione della funzione pubblica per fini privati, o addirittura a scopo prevaricatorio o di danno, non mi sembra accettabile. Pensiamo a tutti quei cittadini che non avranno più giustizia di fronte a condotte di palese malaffare pubblico e pensiamo alle inevitabili ricadute negative di una tale scelta sulla tenuta dell’etica pubblica. Davvero, in nome della semplificazione burocratica, si può arrivare a lasciare campo totalmente libero all’uso dolosamente distorto della funzione pubblica? L’abuso di funzione in futuro dovrà essere vissuto dai cittadini come normalità? E’ il rischio sollevato da buona parte del mondo giudiziario. Le aggiungo anche che l’abrogazione dell’abuso d’ufficio investirebbe anche l’obbligo di astensione in presenza di interessi personali e, se pensiamo che in questa fase di attuazione del Pnrr sono consentiti affidamenti diretti di lavori anche per importi particolarmente elevati, possiamo immaginare le conseguenze. Si potranno favorire spudoratamente amici e parenti, o danneggiare altri per mera ostilità personale, senza il deterrente della sanzione penale. Non bisogna, poi, dimenticare che tante indagini, nate da ipotesi di abuso d’ufficio, si sono poi sviluppate in inchieste su diffusi sistemi corruttivi. Abolire l’abuso d’ufficio significherebbe indebolire la complessiva azione di contrasto al malaffare pubblico. Il ministro sostiene che non ci siano da temere conseguenze rispetto ai vincoli europei stabiliti dal trattato di Merida. È d’accordo? Non sono d’accordo. Risale a neanche due mesi fa la proposta di direttiva del parlamento e del consiglio europeo, relativa alla lotta contro la corruzione, che all’art. 11 richiede agli Stati membri di prevedere come reato proprio l’abuso d’ufficio, definito “abuse of functions” e inteso come “compimento od omissione di un atto in violazione di legge, da parte di un pubblico ufficiale, affinché nell’esercizio delle sue funzioni procuri a sé o a un terzo un indebito vantaggio”. Si tratta di un passo avanti molto significativo nella lotta alla corruzione. In Italia, invece, si vuole tornare indietro abrogando il reato, con il rischio di perdere credibilità a livello internazionale e di ricevere sanzioni.  La lettura sistematica del ddl, con anche la limitazione del reato di traffico di influenze illecite, modifica in modo negativo il sistema di tutela contro le condotte illecite? Il traffico di influenze illecite è un reato di recente introduzione ed è già stato riformulato pochi anni fa, ricomprendendo anche l’ipotesi di millantato credito, prima oggetto di separata previsione. Indubbiamente è una fattispecie che non ha dato buona prova di sé, generando numerosi contrasti interpretativi, per un chiaro deficit di tassatività. Quindi, una riformulazione della norma in termini di maggiore tipicità va guardata con favore. Non comprendo, invece, la scelta di togliere rilevanza penale alle condotte di millantato credito. Si tratta di comportamenti certamente volti a inficiare la credibilità e l’immagine della pubblica amministrazione. I dubbi interpretativi sui margini applicativi della fattispecie, semmai, avrebbero dovuto suggerirne una riscrittura, non la totale abolizione. I sindaci hanno sempre lamentato l’abuso d’ufficio come il reato che ha prodotto la paura della firma. C’è del vero? Se scopo dell’abrogazione è ridurre i margini di intervento della magistratura sull’operato degli amministratori pubblici, per liberarli dalla cosiddetta paura della firma, tale obiettivo può dirsi in parte raggiunto con l’ultima riforma del 2020, che ha notevolmente ridotto l’ambito di applicazione dell’abuso d’ufficio, circoscrivendolo ai casi di violazione di specifiche regole di condotta previste dalla legge, dalle quali non residuino margini di discrezionalità. Rischia di essere un alibi, quindi? Indubbiamente le denunce infondate sono ancora tante e questo può generare una “burocrazia difensiva” con riflessi negativi in termini di rallentamento dell’azione pubblica. Ma proprio l’altissimo numero di archiviazioni dimostra che l’autorità giudiziaria è in grado di intercettarle subito, bloccando immediatamente i procedimenti ingiustificati. Al contempo, le nuove regole processuali di giudizio introdotte dalla riforma Cartabia, ancorando l’iscrizione nel registro delle notizie di reato a presupposti ancora più chiari e rigorosi, impediranno sempre più di frequente l’avvio stesso delle indagini. In alcune inchieste su amministrazioni sciolte per mafia è, poi, chiaramente emerso – e penso ad esempio ad alcuni funzionari degli uffici tecnici – che la mancata firma non era espressione di paura, ma era la contropartita di una tangente. Intendo dire che in alcuni casi la stasi della gestione amministrativa era proprio funzionale al malaffare. Sarebbero stati preferibili interventi di natura diversa, quindi? Più che indebolire l’azione di contrasto alle dolose distorsioni della funzione pubblica, credo che ci si debba preoccupare soprattutto di rendere meno oscura la normativa di settore, semplificando la macchina amministrativa. Il reato di abuso d’ufficio avrebbe potuto essere modificato in qualche modo, oppure ritiene che la riformulazione del 2020 fosse sufficientemente chiara e circoscritta? Come le dicevo, l’attuale formulazione della norma già circoscrive il campo della rilevanza penale a condotte prive di qualsiasi discrezionalità. Se modificare nuovamente la fattispecie, magari sanzionando specifici comportamenti illeciti, può contribuire a ridurre ulteriormente il divario tra iscrizioni e condanne, è giusto ragionare in questi termini. Ma non bisogna dimenticare il diritto dei cittadini a nutrire fiducia verso le istituzioni pubbliche, potendo anche contare su una efficace strategia statale di prevenzione e contrasto dei fenomeni corruttivi. Quanto alle altre norme contenute nel ddl, riconosce degli elementi positivi, magari nella parte che riguarda le garanzie agli indagati nel caso di misure cautelari detentive? Mi colpisce che quelle garanzie, e penso all’interrogatorio preventivo, siano state previste solo per alcune categorie di reati, a cominciare da quelli contro la pubblica amministrazione. Nutro, poi, perplessità sul giudice collegiale per le misure detentive. Specialmente negli uffici più piccoli le incompatibilità creeranno seri problemi organizzativi e l’annunciato aumento di organico, piuttosto contenuto per la verità, non basterà a risolverli. È possibile abbassare i toni? Come procede il vostro dialogo con il ministero? Il dialogo dell’Anm con il Ministro prosegue in maniera corretta e istituzionale. Continueremo ad esprimere il nostro pensiero, anche molto critico se necessario, ma sempre con spirito costruttivo. © Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediGiulia Merlo Mi occupo di giustizia e di politica. Vengo dal quotidiano il Dubbio, ho lavorato alla Stampa.it e al Fatto Quotidiano. Prima ho fatto l’avvocato.

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