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Napoli, inaugurata stazione San Pasquale della linea 6 della metropolitana realizzata da WebuildI tempi sono stretti,èinbilico analisi tecnica perchè la nuova disciplina deve essere pronta entro marzo, per rispettare gli impegni del Pnrr. Il progetto attuale punta a mettere fine all’inferno normativo e a produrre un codice – già oggetto di tre riforme in vent’anni – «autosufficiente e autoesecutivo», ridimensiona il ruolo di Anac e aumenta lo spazio di valutazione delle stazioni appaltanti Comincia la marcia verso la definitiva approvazione del nuovo codice degli appalti, che ha l’obiettivo di rivoluzionare alla luce del Pnrr un settore che sembra irriformabile dal punto di vista sostanziale. Negli ultimi vent’anni, infatti, la materia è stata oggetto di tre riforme sistematiche e di infiniti ritocchi e anche quest’ultima riscrittura del codice arriverà in parlamento a valle di un iter politico accidentato. Tuttavia, la prospettiva di questa nuova riforma è coraggiosa e gli obiettivi sono ambiziosi, con l’obiettivo di contrastare i rischi dell’inferno normativo che oggi ingabbia il settore.  L’iter di approvazione Il 7 dicembre scorso è stato infatti presentato il progetto di decreto legislativo elaborato – in tempi brevissimi - dalla commissione appositamente istituita dal Presidente del Consiglio di Stato su richiesta del Governo Draghi, per dare attuazione alla legge delega n. 78/2022.   La versione finale è stata criticata dal Ministro delle infrastrutture, Matteo Salvini, che ha immediatamente dichiarato di «voler tagliare la metà del testo», nominando una commissione di sette esperti. Per placare le polemiche, la presidenza del Consiglio ha istituito un tavolo di confronto che ha trovato una mediazione, con alcune modifiche significative per il settore: l’innalzamento della soglia per l’affidamento dei lavori in autonomia da parte dei Comuni (da 150.000 a 500.000 euro); il contenimento  all’1 per cento delle garanzie che le imprese devono fornire al momento dell’aggiudicazione e l’ampliamento dell’istituto dell’appalto integrato (che consente di affidare al medesimo soggetto le fasi di progettazione ed esecuzione dell’opera) che viene escluso solo nel settore della manutenzione. Dopo questo ritocco, il testo è approdato al Consiglio dei ministri, che lo ha immediatamente approvato. I prossimi passaggi saranno, dunque, il parere della conferenza Stato-Regioni e la successiva discussione in Parlamento. I tempi sono strettissimi: secondo il cronoprogramma del PNRR il cantiere per la “ristrutturazione” della disciplina degli appalti pubblici deve concludersi entro il 30 marzo 2023. Cosa prevede «In heaven there will be no law … in hell there will nothing but law, and due process will be meticulously observed», «In paradiso non ci saranno le leggi, all’inferno non ci sarà altro che la legge e il giusto processo sarà meticolosamente applicato».  É con questa citazione del Professore americano Grant Gilmore che il presidente della prima sezione del Consiglio di Stato, Luigi Carbone, ha concluso il suo intervento di presentazione del lavoro della Commissione per la riforma del codice degli appalti pubblici ad un convegno organizzato da Global Advice e Il Sole 24ore. Il nuovo codice rispecchia le parole di Carbone, che evocano le aspirazioni e le difficoltà di un intervento propedeutico alla realizzazione delle ambiziose sfide del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e all’effettiva crescita del Paese. Si tratta della terza riforma sistematica del codice degli appalti dell’ultimo ventennio: l’ultimo – e attuale - codice (compendiato nel d.lgs. n. 50/2016, che ha sostituito il d.lgs. n. 163/2006) è stato destinatario di così tanti correttivi e deroghe, da evidenziare la sua sostanziale inadeguatezza a regolare la materia.  Ciò ha portato alla sovrapposizione di plurimi regimi normativi: a quello ordinario (rappresentato, appunto, dal d.lgs. n. 50/2016) si sono affiancate, in questo triennio, le discipline emergenziali contenute nei vari decreti semplificazioni (D.L. n. 76/2020 poi convertito in Legge n. 120/2020 e D.L. n. 77/2021, poi convertito con Legge n. 108/2021). L’intervento ora in approvazione ha però la finalità specifica, prevista dalla legge delega, di adeguare la normativa «al diritto europeo e ai principi espressi dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, interne e sovranazionali, e di razionalizzare, riordinare e semplificare la disciplina vigente». Il metodo e i principi Il primo obiettivo fissato dalla legge delega è quello della semplificazione della «costruzione normativa», in modo da redigere un codice facilmente fruibile da tutti gli operatori in modo da combattere i ritardi, che sono il vero male del sistema, contrastandoli su due fronti: la riduzione di un contenzioso che spesso si sviluppa su questioni essenzialmente interpretative e la costruzione di un sistema che incoraggi lo spazio valutativo delle stazioni appaltanti, in contrasto con il fenomeno della cosiddetta burocrazia difensiva. Non a caso, secondo la relazione allo schema, il nuovo codice dovrà essere «autosufficiente e autoesecutivo», «che racconti la storia delle procedure di gara» consentendo a qualunque cittadino una facile individuazione della disciplina di riferimento. A livello di struttura, vengono poste delle nuove fondamenta, rappresentate in particolare dalla parte generale dedicata all’individuazione dei “principi generali” che devono costituire i pilastri interpretativi dell’intero codice, individuati nei valori del risultato, della fiducia e dell’accesso al mercato. Il principio del risultato enuncia l’interesse pubblico primario del codice, che è quello di consentire l’affidamento (e la successiva esecuzione) del contratto con la massima tempestività e il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo, sempre nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza. In questo senso, la relazione allo schema attesta di aver voluto recepire quel percorso di “demitizzazione” della concorrenza che, sulla scorta di una recente giurisprudenza della Corte costituzionale, deve essere intesa non come un principio assoluto ma piuttosto come uno strumento capace di relazionarsi con tutti gli interessi coinvolti. Il principio della fiducia è volto a valorizzare e incentivare l’iniziativa dei funzionari pubblici, per superare quelle forme di immobilismo e burocratizzazione che sono inefficienti, anche rispetto agli obiettivi di rilancio economico. Il principio di accesso al mercato – che costituisce un criterio interpretativo ma anche un obiettivo di risultato - stabilisce, invece, l’obbligo per le stazioni appaltanti di assicurare la partecipazione di tutti gli operatori economici nel rispetto dei principi di concorrenza, di imparzialità, di non discriminazione, di pubblicità e trasparenza, di proporzionalità. Il ridimensionamento del ruolo di Anac Sul piano concreto, viene proposto l’abbandono degli strumenti di soft law, rappresentati principalmente dalle linee-guida dell’Anac, in favore del rinvio a singoli allegati in calce al codice. Viene, inoltre, particolarmente valorizzato il ruolo della relazione di accompagnamento, definita “materiale della legge” che “si propone come un vero e proprio manuale operativo per l’uso del nuovo codice”, che consta di 259 pagine. Pur dovendo tenere conto che si tratta, allo stato, di un mero progetto, sul piano del contenuto si individua la volontà di ridimensionare il ruolo dell’ANAC a favore della politica, non essendo più previsto un elenco delle amministrazioni e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti vigilato dall’autorità indipendente. L’art. 7, ad esempio, fissa il principio di auto-organizzazione amministrativa prevedendo che, tra le modalità di perseguimento dell’interesse pubblico, le singole pubbliche amministrazioni sono libere di scegliere “tra l’auto-produzione, l’esternalizzazione e la cooperazione nel rispetto della disciplina del codice e del diritto dell’Unione”, senza dover più dar motivatamente conto delle giustificazioni economiche che sorreggono l’eventuale scelta di non ricorrere al mercato.   In questo modo, si propone di superare le restrizioni al ricorso del modello in-house (attraverso il quale il soggetto pubblico, invece di indire una gara, provvede in proprio al soddisfacimento dei propri bisogni, grazie all’affidamento ad una propria articolazione) alle quali il nostro legislatore – a differenza di quello europeo - è in questi anni rimasto legato per il timore che l’attribuzione diretta senza gara portasse con sé un rischio corruttivo troppo elevato. Il subappalto a cascata Cade definitivamente anche il limite al subappalto cd. a cascata (ossia la possibilità che il subappaltatore possa a sua volta subappaltare) - anch’esso non presente nella disciplina europea e sul quale la Commissione europea aveva aperto una procedura d’infrazione – quale ulteriore presidio di maggiore trasparenza e “controllabilità” dell’esecutore dell’opera. L’unico baluardo rimane, quindi, quello che impedisce la cessione del contratto: ipotesi che si differenzia dal subappalto perché determina il subentro del cessionario nella titolarità dei rapporti giuridici, attivi e passivi, derivanti dal contratto oggetto della cessione, e non semplicemente la nascita di un nuovo rapporto obbligatorio. I raggruppamenti di imprese Sempre sul piano soggettivo, viene eliminata la distinzione tra raggruppamenti di imprese verticali e orizzontali, stabilendo che le scelte in ordine alle modalità esecutive dell’attività oggetto di affidamento devono essere riservate alle sole stazioni appaltanti. Il legislatore, quindi, non potrà imporre che sia il mandatario del raggruppamento di operatori economici ad eseguire direttamente la maggior parte dei compiti. Sotto questo profilo, è stata anche prevista la facoltà di sostituire o estromettere l’operatore per le cause escludenti che si verificano in corso di gara e per le cause che si verificano in precedenza per le quali l’offerente abbia comprovato l’impossibilità di farvi fronte prima della presentazione dell’offerta, dando seguito alla sentenza della Corte di Giustizia dello scorso 3 giugno 2021 (causa C-210/20), che aveva stigmatizzato l’operatività, in questi casi, di un’esclusione automatica. Niente prestazioni gratuite Altra innovazione rilevante per la galassia dei liberi professionisti è quella, prevista dall'articolo 8, che prevede il divieto di prestazioni professionali gratuite nei confronti della pubblica amministrazione. L’potesi si realizza quando il professionista - pur non ricevendo alcuna controprestazione - presta il proprio contributo perché motivato da un proprio interesse economico, di regola rappresentato dal prestigio di essere coinvolto in una determina opera pubblica. Ai soggetti diversi dai professionisti, prosegue la norma, è possibile affidare incarichi a titolo gratuito qualora questi abbiano comunque un interesse economico nell’esecuzione dell’incarico. Le sopravvenienze L’art. 9 si occupa, invece, dell’importante tema delle cd. sopravvenienze, proponendo di assicurare una maggiore flessibilità del contratto che lo renda capace di “assorbire” - attraverso le necessarie rinegoziazioni - i mutamenti imprevisti della realtà in cui si trova ad operare e che turbino l’originario equilibrio delineato dalle parti. Il senso dell’istituto è quello di tutelare gli operatori economici che vengano a trovarsi in un’imprevedibile situazione di svantaggio (come sta avvenendo a causa dell’attuale rincaro delle materie prime per le aziende che operano nel settore energetico) prevenendo situazioni di crisi aziendale che si rifletterebbero drammaticamente sull’interesse pubblico relativo alla realizzazione dell’opera pubblica in tempi brevi. Queste sono solo alcune delle novità del nuovo schema di Codice degli appalti, che però fanno emergere la prospettiva di fondo: un sistema caratterizzato da regole più snelle e meno divieti, che scommette sul capitale umano, sulla competenza e sull’auto-responsabilità delle stazioni appaltanti e sulla trasparenza, come antidoti sufficienti per contrastare le infiltrazioni corruttive. © Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediBianca Agostini Dottoressa di ricerca in diritto processuale penale

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