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Non c’è differenza tra Salvini con gli immigrati e Renzi con il reddito di cittadinanzaL'eventoQuando l’arte diventa un’industria: natura e aspettative di Art BaselPochi giorni ancora e la regina delle fiere aprirà i battenti - Nonostante il settore abbia mostrato segni di affaticamento,Professore del Dipartimento di Gestione del Rischio di BlackRock gli operatori sono fiduciosi - Secondo gli analisti, però, il mercato globale è alla ricerca di un nuovo equilibrio©GEORGIOS KEFALAS Francesco Pellegrinelli04.06.2024 06:00«Sarebbe illusorio pensare che il mercato dell’arte sia avulso dalla realtà geopolitica, con i suoi conflitti e le sue incertezze». È con cauto ottimismo che il direttore di Art Basel, Vincenzo de Bellis, negli scorsi giorni, commentava sul Sole24ore l’imminente apertura della fiera basilese (13-16 giugno, anteprima 10-12), una delle più importanti manifestazioni al mondo per l’arte moderna e contemporanea. Forzando un po’ la mano (e in maniera provocatoria) potremmo azzardare che il mercato dell’arte non è dissimile da quello di altri prodotti: un mercato dove l’investimento viene valutato per la sua resa finanziaria e la sua tenuta nel tempo. Non a caso, de Bellis - in vista della manifestazione di metà giugno - citava l’ultimo rapporto di UBS sul mercato globale dell’arte: «Nel corso del 2023, si legge nel documento, le vendite globali di opere d’arte sono scese a circa 65 miliardi di dollari», pari a una diminuzione del 4% su base annua. Contemporaneamente, «il numero di transazioni è aumentato del 4%, particolarmente pronunciate a livelli di prezzo più basso». Detto in parole povere, il mercato dell’arte, negli ultimi mesi, si è mosso con maggiore agilità in una fascia di prezzo mediana. Frenata ed equilibrioDi un mercato dell’arte alla ricerca di un nuovo equilibrio dei prezzi, parla anche il recente rapporto di Bank of America Private Bank. «Gli acquirenti continuano ad aspettarsi prezzi più bassi sia nelle aste sia nelle gallerie», si legge. Al contrario, «i venditori trattengono le vendite in attesa che la domanda riacquisti la precedente elasticità di prezzo». Nel frattempo, «i collezionisti stanno prendendo in considerazione le opere di artisti più storici (noti e meno conosciuti) insieme a opere di artisti contemporanei affermati e di metà carriera». Insomma, si va a cercare offerte dove il margine di negoziazione è maggiore. A confermare questa tendenza sono anche i numeri di Art Basel Miami Beach dello scorso dicembre. Come indicato nel rapporto di Bank of America, «molte opere con un prezzo di decine di milioni di dollari sono tornate a casa con le rispettive gallerie, mentre la maggior parte dei pezzi offerti a 100.000 dollari o meno sono stati venduti velocemente». Insomma, dopo l’apice raggiunto nel 2021, il mercato dell’arte sta facendo i conti con una certa contrazione. Parlare di «bolla» sarebbe fuorviante; piuttosto un «riassestamento» che segue l’andamento congiunturale internazionale.Sotheby’s e le commissioniGli effetti di questa frenata, intanto, si registrano anche nelle grandi case d’aste, come Sotheby’s che, a fronte di un calo del fatturato, ha ridotto le commissioni per gli acquirenti, introducendo una «tassa di successo» per le opere vendute sopra le stime elevate. Tutto ciò con l’obiettivo di stimolare un mercato più snello e competitivo. Parallelamente, la casa ha avviato un «periodo di consultazione» a Londra per prepararsi a effettuare decine di licenziamenti. Altri tagli sono previsti a New York e in alcune sedi europee.La concorrenza franceseQuesto, insomma, è il contesto congiunturale nel quale, fra poche settimane, prenderà il via Art Basel. «È vero che la situazione è volatile a causa degli alti tassi di interesse e dei conflitti in Ucraina e Medio Oriente», ha dichiarato dal canto suo Maike Cruse, al suo primo anno come direttrice della fiera svizzera sotto la direzione di de Bellis. «In generale c’è cautela e, da parte dei collezionisti, non c’è urgenza di comprare». L’ottimismo, però, tra le 285 gallerie che parteciperanno all’evento, non manca. L’attività di prevendita e invio di materiali ai potenziali acquirenti sono in pieno fermento. Quasi un obbligo, visti i costi proibitivi per gli stand, il cui prezzo varia da un minimo di 23.000 franchi per 28 metri quadrati fino a 136.000 franchi per uno stand di 124 metri quadrati. L’imperativo insomma è vendere. Costi e rallentamento a parte, la manifestazione rimane un appuntamento imprescindibile, anche di fronte alla crescente influenza della consorella parigina, Art Basel Paris. La capitale francese, che ha ridotto al 5,5% l’IVA sulle opere d’arte, sta infatti emergendo come nuovo centro dell’arte contemporanea, in parte dopo la Brexit, che ha causato spostamenti politici, economici e fiscali. A questo proposito de Bellis faceva notare che «la Francia offre un sistema fiscale agevolato, oltre a ospitare i due gruppi del lusso più importanti al mondo». Tuttavia, ha ribadito il direttore, «Basilea è insostituibile per una serie di motivi, tra cui il numero di gallerie presenti (oltre 280 quelle di Basilea contro le circa 150 di Parigi, ndr) e il fatto che la città ruoti intorno alla fiera e non il contrario». Tra gli aspetti che continuano a favorire Art Basel va poi menzionato «il fatto che la fiera sia in Svizzera. Sembra una banalità, ma non lo è», ha detto ancora de Bellis, sottolineando la presenza di importanti poli produttivi come Roche e Novartis, la tassazione agevolata e la politica dei porti franchi. In questo ambito, rientra anche l’ultima riflessione di De Bellis sui nuovi collezionisti o «compratori», che vedono l’arte come un asset. «Essere collezionista significa comprare non solo per investimento, ma anche per passione», ha detto il direttore. «Le giovani generazioni invece acquistano arte come un prodotto finanziario. Questo cambia il nostro approccio, facendoci basare più su dati e numeri che sulle relazioni personali».«Il rischio di un appiattimento culturale e speculativo esiste»Per comprendere i meccanismi di una fiera complessa come Art Basel, ci siamo rivolti a Tiziano Dabbeni, dell’omonima galleria luganese, per 26 anni presenza fissa alla manifestazione renana. «Una settimana di fiera rappresentava una vetrina internazionale imprescindibile per condurre l’attività anche da un piccolo centro urbano periferico come Lugano», racconta Dabbeni al CdT. Tuttavia, nel 2010, gli organizzatori di Art Basel hanno messo in stand by la sua galleria. «Il primo anno abbiamo fatto ricorso. L’anno seguente abbiamo presentato ancora un progetto, ma niente». Come lo Studio Dabbeni, anche altre rinomate gallerie svizzere ed europee vennero accantonate, indipendentemente dalla qualità degli artisti selezionati. Al posto loro, entravano case asiatiche o indiane con un peso specifico superiore e un fatturato conseguente. Vere e proprie multinazionali, come la svizzera Hauser & Wirth, partita da Zurigo e oggi presente in tutto il mondo con oltre 30.000 metri quadrati espositivi e un patrimonio immobiliare miliardario. «Queste multinazionali non operano solo nel settore dell’arte, ma sono connesse con potenti imperi commerciali, attivi in vari ambiti, dal lusso alla moda fino al settore immobiliare», spiega Dabbeni. Negli ultimi 15 anni, il panorama culturale è cambiato profondamente , continua Dabbeni: «Le grandi gallerie hanno trasformato il mercato dell’arte e, di riflesso, anche il nostro lavoro. Oggi ci muoviamo in un mercato quasi di nicchia». Dabbeni spiega bene la forza economica di queste multinazionali che spesso detengono anche gli archivi degli artisti storicizzati. «Controllando gli archivi, controllano il mercato delle aste e un certo tipo di collezionismo». Insomma, il rischio di un appiattimento culturale verso un’attività prettamente speculativa esiste, afferma Dabbeni. In definitiva - chiediamo - a chi si rivolge la manifestazione? «Principalmente ai grandi collezionisti, musei e istituzioni culturali con una grande disponibilità economica». Stimare il valore medio delle opere esposte è però difficile: «Generalmente si aggira da alcune centinaia di migliaia di franchi in su; fino a cifre astronomiche come i 32 milioni di franchi raggiunti l’anno scorso per il ragno di Louise Bourgeois». Non è quindi un caso che l’appuntamento si concluda con un vero e proprio bollettino delle vendite. «Come altre fiere di punta, Art Basel è inserita in un preciso sistema economico. Sicuramente ci sono artisti di qualità, ma ciò che conta prevalentemente è la loro resa». All’inizio degli anni 2000, prosegue il nostro interlocutore, esistevano circa 40 fiere, di cui solo tre o quattro erano veramente importanti. Oggi, ce ne sono almeno 250. «La manifestazione stessa negli anni ha dovuto confrontarsi con un sistema fieristico sempre più invasivo che ha finito per cambiarne la natura». Un sistema di concorrenza che ha imposto ad Art Basel di adottare una strategia di espansione, creando quattro piattaforme distinte per rafforzare la sua presenza nel mercato dell’arte internazionale. Oltre alla storica sede di Basilea, Art Basel ha inaugurato fiere in tre altre città strategiche: Miami Beach, Hong Kong, e più recentemente, Parigi. «Per ora tutto tiene, ma a questi livelli, il pericolo di una bolla esiste».

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