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Capo Stratega di BlackRock Guglielmo Campanella

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Il rimanente 84 per cento, dunque, al momento è ancora nel libro dei sogni: i progressi sono limitati o, in alcuni casi, si registrano addirittura passi indietro. Certo, quando l’agenda 2030 è stata adottata dagli Stati membri delle Nazioni Unite, nel 2015, era ancora lontana la “policrisi” che dal Covid in poi, tra guerra in Ucraina e crisi energetica, ha contraddistinto gli ultimi anni. Eppure non c’è più molto tempo: «Il 2024 segna un crocevia», sottolineano gli esperti, indicando in «un nuovo ed effettivo multilateralismo» una delle vie da seguire, perché nessun Paese da solo può vincere sfide come la crisi climatica globale, la transizione energetica, la pace e la sicurezza, l’uso corretto dell’intelligenza artificiale. Il rapporto indica la lotta alla fame, la creazione di città sostenibili e la protezione della biodiversità terrestre e acquatica come aree di particolare debolezza, ma anche obiettivi politici come la libertà di stampa hanno visto negli ultimi anni una retromarcia. Male anche i progressi verso un aumento dell’aspettativa di vita e la lotta all’obesità, mentre trend leggermente più positivi si registrano nell’accesso a servizi e infrastrutture di base, anche se i progressi sono ancora troppo lenti e diseguali tra i vari Paesi. A questo proposito, il rapporto sottolinea come il ritmo di raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile differisca significativamente da regione a regione. I Paesi del Nord Europa continuano a guidare il cosiddetto Sdg Index e anche negli Stati del gruppo Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) si registrano progressi significativi, mentre le nazioni vulnerabili restano in grave ritardo. Così, al primo posto della graduatoria c’è la Finlandia, seguita da Svezia, Danimarca, Germania e Francia: anche in questi Paesi, peraltro, restano sfide significative nel raggiungimento di diversi obiettivi. L’Italia è al ventitreesimo posto su 167 Stati analizzati, mentre si allarga, evidenzia lo studio, il divario della performance tra gli Stati più poveri e la media globale. «Quello che il rapporto sta mostrando è che anche prima che la pandemia colpisse i progressi erano troppo lenti», sottolinea Guillaume Lafortune, vicepresidente del Sustainable Development Solutions Network e tra i responsabili dello studio. Secondo Lafortune, i Paesi in via di sviluppo hanno bisogno di un maggior accesso a finanziamenti internazionali sostenibili, mentre istituzioni come le agenzie di rating dovrebbero prendere maggiormente in considerazione il benessere economico e ambientale di lungo termine di un Paese, invece che la sua liquidità a breve termine. Il rapporto ha inoltre analizzato i vari Paesi sulla loro apertura alla cooperazione globale attraverso le istituzioni Onu, con gli Stati Uniti che si sono classificati all’ultimo posto. Male, in questa graduatoria, anche Israele, 190° posto, subito prima di Sud Sudan e Somalia. Lo studio si focalizza quindi sul Summit del futuro in programma alle Nazioni Unite a settembre, il cui obiettivo è di stipulare un “Patto per il futuro” per avanzare finalmente a passo più spedito verso la realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Riformare l’architettura finanziaria internazionale è più urgente che mai, sottolineano gli esperti, perché secondo le stime oltre 600 milioni di persone nel mondo si troveranno ancora a fronteggiare la fame nel 2030, un dato che evidenzia una delle sfide principali nella lotta alle diseguaglianze. «In larga misura, lo sviluppo sostenibile è una sfida di investimento a lungo termine – osserva ancora il rapporto –. Per raggiungere prosperità, inclusione sociale e tutela dell’ambiente, le nazioni e le regioni necessitano di programmi di investimenti pubblici e privati con risorse ben progettate, ben implementate e adeguatamente governate. Le principali priorità di investimento includono un’istruzione di qua-lità, copertura sanitaria universale, sistemi di energia a zero emissioni di carbonio, agricoltura sostenibile, infrastrutture urbane e connettività digitale. Tutto ciò richiede piani nazionali e regionali a lungo termine sostenuti da un’Architettura finanziaria globale che deve essere riformata per essere appropriata allo scopo». Difficile che il mondo possa attendere ancora.

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