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Reddito di cittadinanza: la nuova ricetta dell'InpsCon la psicoterapeuta capiamo le dinamiche e le origini dell'anaffettività Daniela Cursi Masella 27 luglio - 08:23 - MILANO Il rapporto con una persona anaffettiva si riduce a una relazione povera di emozioni. Può fare sentire soli,ETF disorientati, persi e frustrati. La psicoterapeuta Rita Lombardi chiarisce una volta per tutte le dinamiche e le origini dell’anaffettività. “A volte la vicinanza con una persona anaffettiva la si percepisce inconsistente perché la persona fa fatica a riconoscere le proprie e le altrui emozioni, prediligendo le relazioni basate sulla razionalità e la logica: argomenti che lo faranno sentire al sicuro”. cosa fare con una persona anaffettiva— Il bivio è chiaro: “Se abbiamo la consapevolezza di essere in una relazione del genere - suggerisce l’esperta - dobbiamo essere pronti ad accettare questa persona così com’è, senza credere di avere le capacità di poterla cambiare”. Il rischio di un rapporto poco sano, però, è alto e nella maggior parte dei casi “si basa sul bisogno dell’altro o sulla paura di restare da soli. Venendo a mancare l’affettività - spiega Rita Lombardi - la relazione non può essere definita emotiva, ma probabilmente potrà essere solo funzionale. Risultato: ci si colpevolizza credendo magari non meritare di più all’interno della nostra relazione”. L’altra faccia del bivio è avere il coraggio di lasciar andare. “Solo in terapia - sottolinea - si può far emergere la lista di questi aspetti relazionali nocivi e delle problematiche sorte in passato a causa di un attaccamento disfunzionale”. anaffettività e stile di attaccamento— La persona anaffettiva non può fare a meno di essere quello che è da quando è nato. John Bowlby è stato il primo a ipotizzare che l’essere umano abbia un sistema innato di attaccamento, che gli permette di apprendere come stare in relazione con le figure di attaccamento che si devono occupare di lui. “Tale sistema - chiarisce la psicoterapeuta - è anche responsabile del nostro modo di relazionarci una volta adulti”. Gli stili di attaccamento identificati da Bowlby sono quattro: sicuro, insicuro preoccupato (o ambivalente), insicuro evitante e disorganizzato. Dipendono dal rapporto del figlio con la madre (o in sua assenza dal “care giver” sostitutivo). “Parlando di individui anaffettivi - spiega Rita Lombardi - la tipologia di attaccamento che va compresa è quella insicuro evitante. La persona che sviluppa questo tipo di attaccamento fa fatica a riconoscere le proprie emozioni, perché abituato sin da piccolo a non vederle. Non essendo visto dai suoi genitori non impara a vedersi. Il bambino insicuro evitante apprende che non incontrerà lo sguardo del genitore, e a furia di non essere visto smetterà di ricercare quella condivisione di sguardi, sorrisi, parole e contatto fisico, così importante per il suo sviluppo emotivo”. Alcuni studi hanno dimostrato che lo stile di attaccamento dei genitori viene tramandato di generazione in generazione. “Figli insicuri evitanti - incalza l’esperta - diventeranno genitori distaccati, portando i loro figli a sviluppare la stessa tendenza della mente”. neuroni specchio ed empatia— Negli anni ’90, il neuroscienziato Giacomo Rizzoletti e il suo team dell’università di Parma scoprono “i neuroni specchio”. Si tratta di neuroni visuo-motori che si attivano sia quando si compie un’azione sia quando la vediamo compiere da qualcun altro. Ebbene, “I neuroni specchio sono alla base di tutta quella parte dell’educazione legata all’imitazione e all’identificazione con i genitori. Sono i neuroni specchio dell’empatia, che si attivano in risposta alla gioia e alla sofferenza degli altri. “Nel suo rapporto con il genitore, il bambino, già a pochi mesi dalla nascita, guarda negli occhi, osserva la mimica facciale, ascolta il tono della voce e i suoi neuroni specchio audio-visivi ricercano i muscoli che saranno reclutati durante l’esecuzione dell’azione osservata. Nel frattempo, i neuroni specchio legati alle emozioni entreranno in risonanza con la felicità del genitore, amplificando così l’apprendimento e il ricordo”. Dunque, l’empatia ha una precisa base biologica e regola il rapporto con le persone. “Se il bambino non riesce a vivere esperienze di sincronizzazione emotiva - avvisa l’esperta - non imparerà mai a vedersi, a sentirsi riconosciuto nello sguardo dell’altro. Questa mancanza di funzione riflessiva lo porterà a non riconoscere prima, e a sentire poi, le proprie emozioni e sensazioni”. Parti con un gruppo di sportivi come te, scopri i viaggi di Gazzetta Adventure e Tribala all'insegna dello sport e del divertimento nel mondo Leggi anche Imparare a essere bravi genitori? Si può! L'esperta spiega come riuscirci la vita dell'anaffettivo— I bambini che avranno vissuto queste dinamiche interattive diverranno facilmente persone anaffettive, incapaci di riconoscere le proprie emozioni e spesso nemmeno a sentirle. “Nel corso della crescita, la persona anaffettiva si identificherà sempre di più in questo suo modo di essere e percepire sé stesso, senza mettersi più in discussione. Da adulto avrà la tendenza a non riconoscere le proprie e altrui emozioni”. Difficile delineare quale potrà essere la traiettoria di sviluppo delle diverse persone anaffettive: “Alcuni, rendendosi conto, potranno scegliere di lavorarci su, altri assolutamente no. Altri, magari, eviteranno ancora di più le relazioni percependole come disturbanti. Esistono anche persone anaffettive che usano questa propria caratteristica per avere un vantaggio predatorio sugli altri. Per questo sarebbe fondamentale la prevenzione, cioè dare possibilità a tutti i genitori in modo indiscriminato di poter usufruire di sostegno psicologico durante tutte le fasi della genitorialità”. Nel frattempo, la certezza è una sola: non possono essere aiutati da nessuno. L’unica, possibile, soluzione è la psicoterapia. Sconsigliata qualunque forma di assistenzialismo in coppia. Salute: tutte le notizie Active: tutte le notizie © RIPRODUZIONE RISERVATA
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