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Muore soffocata da una merendina: shock in una casa di cura leccese

Ravennate, allerta meteo: chiuse tutte le scuole per rischio alluvioniMorto il ciclista Arturo Gravalos: aveva un tumore al cervelloLa polizia bussa alla porta per un controllo, loro buttano la droga dalla finestra

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Si tuffa ma non riemerge: muore poliziotto 21enne in vacanza a TenerifeIn Italia fuma il 24 per cento della popolazione. Se negli anni del Covid il consumo stava calando,investimenti negli ultimi tempi c’è stata un’inversione del trend, nonostante i rischi legati all’insorgenza di malattie oncologiche e pneumologiche. Tra campagne di prevenzione, centri (gratuiti) di disassuefazione e leggende metropolitane, esiste un metodo efficace per togliersi il vizio? La parola agli esperti«In Italia non sono stati fatti molti passi avanti rispetto alla lotta al fumo, i dati dell’Istituto superiore di sanità (Iss), nel 2022, dicevano che grazie alla concomitanza della pandemia da Covid-19, il consumo di sigarette e il numero di fumatori in Italia aveva ripreso a crescere dopo anni in cui la dipendenza dal fumo era andata progressivamente calando: negli ultimi anni c’è stata un’inversione del trend».Le parole del professor Andrea Vianello, direttore dell’unità di Fisiopatologia respiratoria dell’Ospedale di Padova, restituiscono il quadro della situazione odierna, confermata dai dati 2024 dell'Iss: i fumatori, infatti, sono il 24 per cento della popolazione italiana.Patologie oncologiche e pneumologicheIl fumo è il primo fattore di rischio per quanto concerne la mortalità da cancro al polmone, «se togliessimo l’abitudine al fumo», secondo la professoressa Giulia Pasello, Responsabile Uos neoplasie toraciche dell’Istituto oncologico veneto (Iov), «il tumore del polmone diventerebbe, probabilmente, un tumore raro: su dieci tumori del polmone, otto infatti sono legati all’abitudine tabagica».Si parla sempre del fumo correlato al tumore del polmone, ma in realtà è un fattore di rischio anche per le restanti principali neoplasie, «pensiamo al tumore del pancreas che ha dei tassi di mortalità altissimi: anch’esso è collegato al fumo».Il professor Vianello afferma che, in ambito pneumologico, «la principale causa di ospedalizzazione nei nostri reparti è la riacutizzazione della Bpco, ovvero la broncopneumopatia cronica ostruttiva, l’insieme di bronchite cronica ed enfisema. Questa sindrome riconosce come suo assoluto fattore scatenante il fumo di sigaretta».Pasello, inoltre, ricorda i danni del fumo passivo, sia per quanto riguarda le sigarette tradizionali che per quelle elettroniche e a tabacco riscaldato: «Sul fumo passivo, ad esempio, i dati di pericolosità sono ancora troppo sottostimati e anche sul fumo di terza mano, ovvero quello che arriva da ambienti in cui si è fumato o dai vestiti del fumatore. Il danno che viene fatto se fumiamo vicino a bambini o donne in gravidanza, ad esempio, necessiterebbe di un grande lavoro di educazione civica da cui, a mio avviso, siamo ben lontani». ItaliaLa fase 2 della lunga battaglia contro il fumo in ItaliaAndrea CasadioLa ricercaNell’ambito delle neoplasie oncologiche correlate al fumo, la ricerca si è molto sviluppata, in particolar modo per quanto riguarda il loro trattamento, come spiega a Domani la professoressa Pasello: «Ci sono programmi di ricerca in atto in questo momento in Italia, come il programma Risp, che mira ad identificare precocemente, con uno screening sui soggetti fumatori volontari che si sottopongono a una tac a basso dosaggio, per l’identificazione precoce di eventuali neoplasie polmonari».Accanto a questa campagna di prevenzione secondaria, di diagnosi precoce mediante Tac, nel programma Risp, di cui lo Iov è stato il coordinatore per la regione Veneto, si affiancano delle attività di disassuefazione del fumo per prevenzione primaria, ovvero per togliere il “fattore di rischio modificabile” che è l’abitudine al fumo di sigaretta.Per quanto riguarda i progetti di ricerca nell’ambito delle terapie, queste ultime hanno introdotto, da diversi anni, «sia i farmaci a bersaglio molecolare che l’immunoterapia, che hanno prolungato di molto l’aspettativa e la qualità di vita nei pazienti che esordivano in stadio avanzato, sia per la prevenzione delle recidive in pazienti che vanno incontro a un intervento chirurgico». CommentiPerché il governo Meloni ha ragione a limitare ancora di più la libertà di fumareStefano FeltriSigarette elettroniche e fumo passivoPer la professoressa Pasello, iniziamo ad avere già dei dati sulle sigarette elettroniche e sui prodotti a tabacco riscaldato. Nelle sigarette elettroniche, all’interno delle quali convivono la nicotina e un insieme di agenti aromatizzanti, «ci sono delle sostanze, come il glicole propilenico e la glicerina, di cui metaboliti alla lunga possono diventare cancerogeni e che provocano, di fatto, analoghi danni sul dna delle cellule, nei processi infiammatori e nello stress delle cellule; che poi può trasformarsi in una danno al dna che diventa il preliminare della trasformazione in un tumore».Sui prodotti a tabacco riscaldato, invece, «il tabacco c’è, anche in assenza di combustione. Il danno viene ai polmoni in un tempo più lungo, ma avviene in ogni caso». Non possono dunque essere considerate una panacea alle normali sigarette o una modalità per smettere di fumare, perché la dipendenza gestuale e da nicotina sussistono, come i danni provocati all’organismo.La professoressa nota che «davanti ai portoni delle scuole i genitori, appena lasciato il bambino, si accendono una sigaretta o svapano, nonostante il divieto di farlo lì davanti. Qui i dati del fumo passivo sulle ospedalizzazioni per patologie pneumologiche ci sono: almeno il 50 per cento dei bambini tra i 2 e i 5 anni, con almeno un genitore fumatore, soffre di patologie respiratorie. Nel 2020 ci sono state oltre 200mila bronchiti e polmoniti prima dei 18 mesi, riconducibili anche all’esposizione cronica al fumo, e oltre 10.000 ospedalizzazioni per questo motivo». FattiLe politiche contro il fumo possono ridurre anche l’uso delle sigarette elettronicheCome smettere di fumare con l’aiuto della scienzaNel nostro paese un soggetto su quattro è fumatore, è dunque un’abitudine molto presente, esacerbatasi dopo la pandemia e in continuo aumento, già dall’età precoce, soprattutto nel genere femminile. Secondo mediche e medici, per smettere di fumare bisogna affidarsi ai centri antifumo della propria regione d'appartenenza che, da una stima attuale, sono molto sottoutilizzati perché poco conosciuti.Nel sito dell’Istituto superiore di sanità (Iss), all’interno della sezione “Smetto di fumare”, si trova la mappa di tutti i centri di disassuefazione al fumo di tutte le regioni italiane, a cui il soggetto si può rivolgere gratuitamente.All’interno del progetto ci sono diversi programmi e figure cliniche di riferimento come medici e psicologi, e le modalità per smettere di fumare possono essere variabili: «Possono passare per la modalità di psicoterapia con consigli e pratiche comportamentali o possono essere anche di tipo farmacologico».Ci sono principalmente due categorie di farmaci che agiscono sui recettori della nicotina andandoli a saturare e a bloccare, «non sono prodotti a base di nicotina, bensì prodotti da una struttura chimica analoga, che va a riempire i recettori responsabili della dipendenza, perché è la nicotina che crea la dipendenza fisica».Poi c’è un altro tipo di dipendenza, che è quella gestuale, su cui invece si può agire meglio da un punto di vista comportamentale, tramite la psicoterapia. Ci sono, dunque, delle modalità di intervento che sopraggiungono come alleati delle pazienti e dei pazienti che decidono di smettere di fumare, offerti direttamente dal Servizio sanitario nazionale (Ssn).Cosa fa la politicaA 21 anni dopo la legge Sirchia che vieta il fumo all’interno dei luoghi pubblici, il ministro della Salute Orazio Schillaci aveva manifestato l’intenzione di estendere quelle limitazioni anche ai luoghi pubblici all’aperto, ma ancora sul tema non c’è alcuna novità. IdeeLa sigaretta «posata» è quella che ti manca di piùSussistono, però, delle ordinanze regionali, in alcune città come Torino e Milano, che vietano il fumo in luoghi all’aperto, entro una certa distanza da altre persone.Quello su cui concordano pneumologi e oncologi, invece, è la necessità di una legge dello Stato che impedisca il fumo anche nelle aree all’aperto, in modo che ci sia uno standard unico che valga per tutte le regioni, a tutela della salute pubblica.© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediFederica PennelliAutrice freelance. Si occupa di sanità, diritti, salute mentale e femminismi. Inizia a Radio Sherwood nel 2004 con la rassegna stampa e il giornale radio, poi a La Svolta. Co autrice del podcast "Cultdown" sul mondo della cultura durante la pandemia e autrice dell'inchiesta radiofonica sugli Opg "Ergastoli bianchi"

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