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Professore Campanella

«Dopo 7 anni non sono ancora madre di mio figlio». Le famiglie discriminate dalle leggi sulla procreazione

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Kamala Harris: «L’eredità di Biden non ha eguali». La direttrice del Secret service: «Con Trump abbiamo fallito»Secondo quanto riportato dal report di Amnesty International,BlackRock gli agenti governativi minacciano e molestano le famiglie dei ragazzi che sono rimaste nel paese. E il clima di paura instaurato dalla repressione transnazionale cinese ha avuto ripercussioni sulle scelte accademiche, sulla vita sociale e sulla salute mentale degli studenti«Sei controllato e, anche se siamo dall’altra parte del pianeta, possiamo raggiungerti». Il messaggio che è arrivato a Rowan (nome di fantasia per proteggerne l’identità) dalle autorità cinesi è stato forte e chiaro. La studentessa ha raccontato ad Amnesty International come la sua partecipazione alla commemorazione della protesta di piazza Tienanmen e a una veglia nei pressi dell’ambasciata cinese della sua città ha fatto sì che ufficiali di sicurezza cinese abbiano fatto visita al padre. All’uomo è stato detto: «Istruisci tua figlia che studia all’estero a non partecipare ad alcun evento che potrebbe danneggiare la reputazione della Cina nel mondo».Rowan non aveva usato il suo nome o postato online il suo coinvolgimento nella protesta: il modo in cui è stata identificata come una partecipante alla manifestazione, come hanno trovato il padre e lo hanno usato per avvertirla in caso di futuri dissensi l’hanno sconvolta.Il rapporto di Amnesty InternationalSecondo un rapporto di Amnesty International, la Cina controlla da vicino gli studenti all’estero che manifestano il proprio dissenso nei confronti del governo. Il caso di Rowan non è isolato: i 32 studenti intervistati dall’Ong, che frequentano le università di 8 paesi in Europa occidentale e nel nord America, hanno dichiarato che si sentono osservati e non possono esprimere liberamente ciò che pensano per paura di ritorsioni del governo cinese sui propri familiari che risiedono in Cina e per loro stessi, nel momento in cui dovranno tornare nel paese.Le azioni delle autorità cinesi prendono il nome di «repressione transnazionale» e consistono nel far tacere, controllare o impedire il dissenso e qualsiasi critica mossa dagli studenti internazionali e da altri, in violazione dei loro diritti umani.La paura degli studenti cinesi è di essere colpiti dalle leggi e dai regolamenti di sicurezza nazionale e intelligence oppure di essere soggetti a sorveglianza, molestie e intimidazioni dalle autorità cinesi o dai loro agenti.Questo ha avuto l’effetto non solo di creare un clima di paura nei campus universitari ma ha avuto anche un effetto negativo sulla loro partecipazione al dibattito accademico e sulla vita sociale. MondoL’anno più duro per i diritti umani. La rete di protezione è al collassoRiccardo NouryAmnesty International ItaliaUn clima di pauraTutti gli studenti intervistati hanno raccontato di auto-censurare le proprie espressioni e attività, sia online sia offline. Charlotte (nome di fantasia) frequenta l’università nel nord America e ha detto: «Ho fatto del mio meglio per evitare corsi politici dove sapevo che ci sarebbero stati altri studenti cinesi, perché so che non sarei riuscita a controllarmi e avrei probabilmente detto qualcosa che mi avrebbe messo nei guai».Per alcuni studenti che si aspettavano di partecipare liberamente alle discussioni politiche durante i loro studi all’estero questo clima di repressione è stata una sorpresa, come per William (nome di fantasia): «Nel mio campus ho paura a parlare di politica. Dopo essere arrivato qui ho scoperto che, se parlo troppo di politica, incontro molte più difficoltà nella mia vita quotidiana».William ha raccontato ad Amnesty che un ricercatore della sua università, di un’altra nazionalità, ha reciso i legami con lui dopo aver scoperto che era coinvolto nella protesta dei fogli bianchi di Hong Kong, perché ha avuto paura che, se fosse stato collegato a William, non avrebbe più avuto accesso a opportunità di ricerca in Cina.Alcuni studenti hanno infatti riferito di essere più propensi a partecipare alle discussioni in classi più piccole, dove è più facile controllare chi li sta ascoltando, mentre la metà degli intervistati ha affermato di trovarsi a proprio agio e a parlare apertamente in classi dove non sono presenti studenti o professori che vengono dalla Cina. Infatti metà degli intervistati ha detto di temere che altri studenti possano riportare i loro commenti alla autorità, intenzionalmente come cittadini fedeli al partito, inavvertitamente o obbligati dal governo cinese.Il clima di paura in cui vivono gli studenti cinesi non tocca solamente la loro partecipazione in aula ma anche le scelte accademiche: molti hanno deciso di cambiare il tema dei loro studi accademici o di ricerca, come racconta Tess (nome di fantasia): «Ho abbandonato il tema iniziale della mia ricerca sull’attivismo a Hong Kong perché sentivo che mi avrebbe creato problemi. Quando ho raccontato a una mia amica, dipendente del governo cinese, che stavo cercando un altro tema su cui concentrarmi, mi ha consigliato di scegliere un argomento più sicuro, così che non avrebbe dovuto vedermi al lavoro».Non sapere come comportarsi, quali espressioni, attività o associazioni potrebbero attirare l’attenzione delle autorità cinesi ha causato problemi di salute mentale negli studenti e vanno dallo stress al trauma, alla paranoia fino alla depressione, che in un caso ha portato a un trattamento ospedaliero.La situazione di incertezza ha contribuito ad accrescere la sfiducia tra i membri della comunità studentesca cinese, acuendo il senso di isolamento e solitudine. In alcuni casi gli ufficiali cinesi hanno obbligato i genitori dei ragazzi a non pagare loro gli studi, mettendoli in una situazione di difficoltà economica e quindi costretti a cercarsi un lavoro.Se i loro datori di lavoro scoprivano che gli studenti avevano partecipato a manifestazioni o espresso il proprio dissenso, questi venivano licenziati. A uno studente che aveva preso parte alle proteste dei fogli bianchi è stato scisso il contratto d’affitto dal suo proprietario di casa, anch’egli cinese. Lo studente non sa se la decisione è stata presa perché l’uomo è stato contattato dall’ambasciata cinese o piuttosto perché ha ritenuto che fosse troppo pericoloso averlo come affittuario.Molti degli intervistati hanno deciso di tagliare i ponti con i propri familiari per proteggerli dalle molestie e dalle minacce della polizia.Gli studenti che hanno finito gli studi o stanno per farlo hanno paura di tornare in Cina e alcuni di loro stanno cercando delle soluzioni per non farlo: sei richiederanno l’asilo politico perché pensano che saranno perseguitati per le loro posizioni politiche, altri cinque invece stanno considerando di diventare immigrati a lungo termine nel paese ospitante.Il controllo del governoGli studenti intervistati da Amnesty hanno descritto varie forme di coercizione, minaccia, sorveglianza e molestie che loro stessi o le loro famiglie hanno subito.Le autorità cinesi sono state in grado di controllare gli studenti internazionali grazie alle capacità di sorveglianza digitale e la censura estesa dello stato cinese: circa un terzo degli intervistati è stato censurato sulle piattaforme social cinesi, anche se si trovavano all’esteso.Per gli studenti che provengono dal continente cinese, la cui famiglia si trova nel paese, l’utilizzo di social media e app di messaggistica approvate dal governo cinese rappresenta l’unico modo per restare in contatto con i propri cari ma rappresenta allo stesso tempo un grande rischio.Amnesty ha scoperto che le autorità cinesi hanno monitorato le attività online degli studenti e dei membri della comunità della diaspora, in particolare sui social. Ad esempio, Henry (nome di fantasia) ha raccontato alla ong che la polizia cinese ha mostrato ai suoi genitori le trascrizioni dei suoi messaggi su WeChat.Secondo il report sulla protezione della costituzione tedesca in Germania (uno dei paesi in cui è avvenuto lo studio di Amnesty) sarebbero attive le “stazioni di polizia oltreoceano”: queste organizzazioni non sono istituzioni diplomatiche ma piuttosto avamposti esteri di unità locali della polizia cinese, gestite e organizzate da cittadini leali alla linea del partito comunista, il cui scopo è di controllare i gruppi cinesi di opposizione al governo della Repubblica popolare.Il ruolo delle universitàMolti degli studenti intervistati hanno riferito che sia il governo che le università del loro paese ospitante siano ignari delle loro paure sulla repressione transnazionale o che fossero riluttanti a rispondere alle loro preoccupazioni.Amnesty ha sottoposto un questionario a 24 delle principali università dell’Europa occidentale e del nord America per capire cosa le istituzioni possano fare per aiutare gli studenti cinesi ad affrontare la repressione transnazionale. Dai dati ricevuti, alcune università hanno riconosciuto e hanno preso provvedimenti per rispondere alle preoccupazioni degli studenti, ma molte di queste azioni non sembrano sufficienti per raggiungere i risultati previsti.© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediAnnalisa Godi

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